lunedì

Enzo Tortora




« Io sono qui anche per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti e sono troppi; sarò qui, resterò qui anche per loro. »

(Enzo Tortora, 20 febbraio 1987)

Enzo Claudio Marcello Tortora è stato un conduttore televisivo e politico italiano.
Insieme a Raimondo Vianello, Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo è considerato uno dei padri fondatori della radio e della televisione italiana. Il suo nome è ricordato soprattutto per l'incredibile caso di persecuzione giudiziaria di cui fu ingiustamente vittima fino alla morte, che lo portò anche a un impegno politico in prima linea nel Partito Radicale.
Negli anni cinquanta è stato anche interprete di fotoromanzi per il periodico femminile Grand Hotel.
Nato da Salvatore e Silvia, originari di Acerra in provincia di Napoli ma trasferitisi a Genova molto giovani, con la sorella Anna, futura autrice televisiva, collabora da giovanissimo con propri testi con la Compagnia goliardica Mario Baistrocchi.
Nel 1947 entra nell'Orchestra di Totò Ruta come percussionista, esibendosi nei night club di tutta Italia.
Dopo aver conseguito la laurea all'Università degli studi di Genova, lavora per alcuni spettacoli con Paolo Villaggio, prima di entrare in RAI a ventitré anni. In quello stesso periodo fanno il loro ingresso nella radio di stato Piero Angela, Luigi Marsico e, come direttore del giornale radio, Vittorio Veltroni. Al giovane Enzo viene affidato lo spettacolo radiofonico Campanile d'oro.
Il 26 dicembre 1953 Tortora si sposa a Rapallo con Pasqualina Reillo, unione dalla quale nascerà Monica. La coppia si separerà nel marzo del 1959 e successivamente il loro matrimonio verrà dichiarato nullo dalla Sacra Rota.
La prima apparizione in video è del 1956, quando presenta, in coppia con Silvana Pampanini, Primo applauso.
Le sue prime trasmissioni di grande successo, risalenti alla seconda metà degli anni cinquanta, sono Telematch e soprattutto Campanile sera, in cui è spesso inviato esterno. Dopo un breve periodo passato alla Televisione Svizzera (a causa dell'allontanamento dalla RAI nel 1962 per un'imitazione di Alighiero Noschese di Amintore Fanfani in un suo programma) in cui presenta Terzo grado, torna nell'azienda radiotelevisiva di stato per condurre in radio Il gambero.

La Domenica Sportiva e l'allontanamento dalla Rai

Dal febbraio 1965 conduce La Domenica Sportiva, trasformandola radicalmente, anche attraverso gli ospiti per la prima volta presenti in studio. Nel maggio dello stesso anno tiene a battesimo la prima edizione di Giochi senza frontiere, di cui è il primo presentatore italiano.
Il 19 dicembre 1964 a Fiesole si unisce in matrimonio a Miranda Fantacci, un'insegnante ventisettenne incontrata 3 anni prima a Firenze. Da questa unione nasceranno Silvia nel 1962 e Gaia nel 1969. Il matrimonio si concluderà nel 1972, a motivo della relazione che Tortora avrà con la giornalista Anna Angelini.
Con Mike Bongiorno, Corrado e Pippo Baudo diviene uno dei presentatori televisivi più noti e popolari di quegli anni. I quattro appaiono insieme in televisione una sola volta, in "Sabato Sera" del 1967, in un siparietto in cui Mina li invita a cantare e ballare con lei.
A fine 1969, all'apice della sua popolarità (in contemporanea a La Domenica Sportiva Tortora conduce il gioco a premi Bada come parli! alla televisione e il quiz alla rovescia Il gambero alla radio), Enzo Tortora viene licenziato in tronco dalla RAI a causa della pubblicazione di un'intervista sul settimanale Oggi in cui definisce l'ente radiotelevisivo come un jet supersonico pilotato da un gruppo di boy scout che litigano ai comandi, rischiando di mandarlo a schiantarsi sulle montagne. Inizia così a lavorare per alcune emittenti private e testate giornalistiche tra le quali La Nazione e Il Nuovo Quotidiano. Diventa vicepresidente della prima TV via cavo italiana, Telebiella e partecipa alla fondazione di Telealtomilanese dove è l'ideatore e il conduttore della trasmissione cult Il Pomofiore e di Aria di mezzanotte. Lavora pure molto per la TSI, Televisione della Svizzera italiana, dove conduce programmi seguitissimi come "Si rilassi" e "La domenica sportiva".

Il ritorno e Portobello

Con la riforma RAI del 1976 e la nascita delle reti concorrenti, a differente impronta politica, diversi personaggi fanno ritorno al piccolo schermo dopo anni di assenza. Tra questi, sulla socialista Rete 2, Dario Fo ed Enzo Tortora. Nella primavera del 1977 il presentatore genovese assume la conduzione di Portobello. La trasmissione, inizialmente prevista in seconda serata e successivamente spostata in prima dato il gradimento del pubblico, batterà ogni record di share mai realizzato fino a quel momento.
Ispirata nel nome al celebre mercatino londinese verrà poi considerata la madre della televisione degli anni novanta. In essa si vede già buona parte delle idee che saranno poi protagoniste dei successivi format tv come Stranamore, Carràmba che sorpresa, I cervelloni, Chi l'ha visto?.
Il 3 novembre del 1977 Tortora tiene a battesimo l'emittente Antenna 3 Lombardia di Legnano di cui è co-fondatore insieme all'amico Renzo Villa.

Gli anni ottanta: il "caso Tortora"

L'attività lavorativa di Tortora prosegue fino al 1982 in RAI con programmi quali Portobello e L'altra campana (1980) e su Antenna 3 Lombardia; durante quell'anno passa a Retequattro per condurre Cipria. Conduce infine con Pippo Baudo alcune puntate della rubrica Italia parla.
La carriera di Tortora viene bruscamente interrotta il 17 giugno 1983, quando viene arrestato con l'accusa di associazione per delinquere di stampo camorristico dalla Procura di Napoli.
Le accuse si basano sulle dichiarazioni dei pregiudicati Giovanni Pandico, Giovanni Melluso detto "Gianni il bello", Pasquale Barra, noto come assassino di galeotti quand'era detenuto e per aver tagliato la gola, squarciato il petto e addentato il cuore di Francis Turatello, uno dei vertici della malavita milanese; infine altri 8 imputati nel processo alla cosiddetta Nuova Camorra Organizzata, tra cui Michelangelo D'Agostino pluriomicida, detto "Killer dei cento giorni", accusano Tortora. A queste accuse si aggiungeranno quelle, rivelatesi anch'esse in seguito false, del pittore Giuseppe Margutti, già pregiudicato per truffa e calunnia, e di sua moglie Rosalba Castellini, i quali dichiareranno di aver visto Tortora spacciare droga negli studi di Antenna 3.
L'accusa si basa, di fatto, unicamente su di un'agendina trovata nell'abitazione di un camorrista, Giuseppe Puca detto O'Giappone, con su scritto a penna un nome che appare essere, all'inizio, quello di Tortora, con a fianco un numero di telefono; nome che, a una perizia calligrafica, risulterà non essere il suo, bensì quello di tale Tortona. Nemmeno il recapito telefonico risulterà appartenere al presentatore. Si stabilirà, per giunta, che l'unico contatto avuto da Tortora con Giovanni Pandico fu a motivo di alcuni centrini provenienti dal carcere in cui era detenuto lo stesso Pandico, centrini che erano stati indirizzati al presentatore perché venissero venduti all'asta del programma Portobello.
La redazione di Portobello, oberata di materiale inviatole da tutta Italia, smarrisce i centrini ed Enzo Tortora scrive una lettera di scuse a Pandico. La vicenda si conclude poi con un assegno di rimborso del valore di 800.000 lire.
In Pandico, schizofrenico e paranoico, crescono sentimenti di vendetta verso Tortora. Inizia a scrivergli delle lettere, che pian piano assumono carattere intimidatorio con scopo di estorsione.
Il presentatore sconta sette mesi di carcere - ottenendo tre colloqui con i magistrati inquirenti Lucio Di Pietro e Felice Di Persia - e continua la sua detenzione agli arresti domiciliari per motivi di salute. Nella sua autobiografia, relativamente al suo periodo carcerario, racconterà di un suo sogno in cui assieme ai suoi compagni di cella diviene ladro di appartamenti.
Nel giugno del 1984 Enzo Tortora viene eletto deputato al Parlamento europeo nelle liste del Partito Radicale, che ne sosterrà le battaglie giudiziarie.
Il 17 settembre 1985 Tortora viene condannato a dieci anni di carcere, principalmente per le accuse di altri pentiti.
Il 9 dicembre 1985 il Parlamento Europeo respinge all'unanimità la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell'eurodeputato Enzo Tortora per oltraggio a magistrato in udienza. I fatti contestati sono relativi all'udienza del processo alla N.C.O. del 26 aprile 1985, in occasione della quale il pubblico ministero Diego Marmo afferma:

« Il suo cliente è diventato deputato con i voti della camorra! »

accusa dinanzi alla quale Tortora grida:

« È un'indecenza! »

Nella motivazione della decisione del P.E. si legge tra l'altro:

« Il fatto che un organo della magistratura voglia incriminare un deputato del Parlamento per aver protestato contro un'offesa commessa nei confronti suoi, dei suoi elettori e, in ultima analisi, del Parlamento del quale fa parte, non fa pensare soltanto al «fumus persecutionis»: in questo caso vi è più che un sospetto, vi è la certezza che, all'origine dell'azione penale, si collochi l'intenzione di nuocere all'uomo e all'uomo politico. »

Il 31 dicembre 1985 si dimette da europarlamentare e, rinunciando all'immunità parlamentare, resta agli arresti domiciliari.
Il 15 settembre 1986 Enzo Tortora viene assolto con formula piena dalla Corte d'appello di Napoli e i giudici smontano in tre parti le accuse rivolte dai camorristi, per i quali inizia un processo per calunnia: secondo i giudici, infatti, gli accusatori del presentatore - quelli legati a clan camorristici - hanno dichiarato il falso allo scopo di ottenere una riduzione della loro pena. Altri, invece, non legati all'ambiente carcerario, avevano il fine di trarre pubblicità dalla vicenda: era, questo, il caso del pittore Giuseppe Margutti, il quale mirava ad acquisire notorietà per vendere i propri quadri.
Così, in una intervista concessa al programma La Storia siamo noi, in una puntata dedicata specificamente al caso Tortora, il giudice Michele Morello racconta il suo lavoro d'indagine che ha portato all'assoluzione del popolare conduttore televisivo:
« Per capire bene come era andata la faccenda, ricostruimmo il processo in ordine cronologico: partimmo dalla prima dichiarazione fino all'ultima e ci rendemmo conto che queste dichiarazioni arrivavano in maniera un po' sospetta. In base a ciò che aveva detto quello di prima, si accodava poi la dichiarazione dell'altro, che stava assieme alla caserma di Napoli. Andammo a caccia di altri riscontri in Appello, facemmo circa un centinaio di accertamenti: di alcuni non trovammo riscontri, di altri trovammo addirittura riscontri a favore dell'imputato. Anche i giudici, del resto, soffrono di simpatie e antipatie... E Tortora, in aula, fece di tutto per dimostrarsi antipatico, ricusando i giudici napoletani perché non si fidava di loro e concludendo la sua difesa con una frase pungente: «Io grido: “Sono innocente”. Lo grido da tre anni, lo gridano le carte, lo gridano i fatti che sono emersi da questo dibattimento! Io sono innocente, spero dal profondo del cuore che lo siate anche voi.» »
Enzo Tortora torna in televisione il 20 febbraio del 1987, quando ricomincia con il suo Portobello.
Il ritorno in video è toccante, il pubblico in studio lo accoglie con una lunga standing ovation. Tortora, leggermente invecchiato e fisicamente molto provato dalla terribile vicenda passata, con evidente commozione pronuncia serenamente la famosa frase:
« Dunque, dove eravamo rimasti?Potrei dire moltissime cose e ne dirò poche. Una me la consentirete: molta gente ha vissuto con me, ha sofferto con me questi terribili anni. Molta gente mi ha offerto quello che poteva, per esempio ha pregato per me, e io questo non lo dimenticherò mai. E questo "grazie" a questa cara, buona gente, dovete consentirmi di dirlo. L'ho detto, e un'altra cosa aggiungo: io sono qui, e lo so anche, per parlare per conto di quelli che parlare non possono, e sono molti, e sono troppi. Sarò qui, resterò qui, anche per loro.Ed ora cominciamo, come facevamo esattamente una volta. »
L'accoglienza del pubblico non è tuttavia unanime. Sono in molti a dubitare dell'innocenza del conduttore che, a loro parere, si sarebbe avvalso della notorietà e dell'elezione a parlamentare europeo per scagionarsi.
Una trasmissione di Giuliano Ferrara, "Il testimone" del 1988, documenta per la prima volta la vicenda giudiziaria di Tortora, chiarendo l'infondatezza degli indizi che indussero gli inquirenti al suo arresto.
Tortora sarà assolto definitivamente dalla Corte di Cassazione il 17 giugno 1987, a quattro anni esatti dal suo arresto.
Il caso Tortora porterà, in quello stesso anno, al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati: in quella consultazione voterà il 65% degli aventi diritto, l'80% dei quali si esprimerà per l'estensione della responsabilità civile anche ai giudici.
Nessuna azione penale o indagine di approfondimento venne mai avviata, né alcun procedimento disciplinare verrà mai promosso davanti al Consiglio Superiore della Magistratura a carico dei pubblici ministeri napoletani, che proseguiranno le proprie carriere, senza ricevere censure per il loro operato nel caso Tortora.

La morte

Conclusa in anticipo, causa malattia, la conduzione del suo ultimo programma televisivo intitolato Giallo andato in onda nell'autunno 1987, Enzo Tortora muore la mattina del 18 maggio 1988 nella sua casa di Milano, stroncato da un tumore polmonare.
A Tortora è stata dedicata la Biblioteca Enzo Tortora a Roma e la Fondazione per la Giustizia Enzo Tortora, presieduta dalla compagna, Francesca Scopelliti.
Molte associazioni dei Radicali Italiani e alcuni club dei Riformatori Liberali (scissione di questi ultimi) sono intitolati a Tortora, che è ritenuto un simbolo dal mondo Radicale e liberale italiano.
In un'intervista rilasciata al settimanale L'Espresso del 25 maggio 2010, l'ex collaboratore di giustizia Gianni Melluso, uscito dal carcere nel 2009, chiede ufficialmente perdono ai familiari di Enzo Tortora per le dichiarazioni rilasciate ai magistrati dell'epoca e sostiene che il tutto fu una vendetta dei due boss Barra e Pandico.

Riconoscimenti

Ad Enzo Tortora è intitolata la biblioteca comunale del Municipio I a Testaccio (Roma).

Monumenti

A San Benedetto del Tronto per ricordarlo gli è stata intitolata "piazza Enzo Tortora" che si trova di fronte al palazzo di giustizia in via Palmiro Togliatti.
Il 18 maggio 1998, a dieci anni dalla sua scomparsa, il Comune di Milano intitola al noto conduttore "Largo Enzo Tortora" un piazzale lungo Corso Margenta, nel cuore del centro storico della città.
Nel 2008 il Comune di Genova ha intitolato ad Enzo Tortora una galleria.
La cerimonia d'inaugurazione viene svolta il 27 giugno, alla presenza di Marco Pannella, Marta Vincenzi ed Alfredo Biondi.
Nel 2009 il comune di Napoli ha intitolato una strada ad Enzo Tortora.
Anche il comune di Roma gli ha intitolato una via, nel quartiere di Saxa Rubra, vicino al centro Rai.
Il comune di Mondovì (CN) gli ha dedicato una via, questo anche a ricordo della partecipazione della città nell'anno 1959 alla trasmissione "Campanile Sera", nel quale Enzo Tortora fu l'inviato.

Cinema

Sulla vicenda di Tortora nel 1999 è stato girato il film Un uomo perbene, per la regia di Maurizio Zaccaro e con Michele Placido nel ruolo del protagonista.

fonte: Wikipedia

martedì

Renato Curcio




è un ex terrorista, editore e saggista italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse.
Figlio di Jolanda Curcio, una giovane ragazza-madre nata ad Orsara di Puglia, emigrata a Roma, e di Renato Zampa, fratello del regista cinematografico Luigi Zampa. I primi anni della sua vita sono molto difficili, sia per le difficoltà scolastiche che per la precarietà dei lavori della madre.
Fino ai 10 anni vive a Torre Pellice (TO), con la famiglia materna, crescendo in un contesto valdese-protestante. Nella sua autobiografia racconta che la morte dello zio Armando, operaio della FIAT ucciso da un gruppo di nazisti la sera della liberazione di ritorno da Torino, lo segna profondamente, dal punto di vista affettivo e non da quello politico: rispondendo alla domanda di Scialoja se l'immagine della morte dello zio avesse contato molto per lui, Curcio rispose "Moltissimo dal punto di vista umano e affettivo. Sul piano politico non direi. Per tanti anni non ho attribuito nessuna valenza politica al dolore di quel ricordo. Solo molto più tardi quando ero già a Trento, ho scoperto il significato della morte di zio Armando". Il suo primo "nome di battaglia" da brigatista fu proprio "Armando".
Dopo le scuole elementari, viene iscritto al collegio cattolico "Don Bosco" di Centocelle, a Roma, dove viene bocciato. Dopo questo insuccesso scolastico viene mandato ad Imperia ed affidato ad una nuova famiglia di amici della madre. Finita la scuola di avviamento, a quindici anni, il padre gli trova un posto come ascensorista all'Hotel Cavalieri di Milano. Dopo un anno di lavoro come ascensorista, si ricongiunge alla madre, che nel frattempo ha rilevato una pensione a San Remo (IM). Si iscrive e poi si diploma con ottimi voti come perito chimico all'Istituto Contardo Ferrini di Albenga (SV).
I suoi primi approcci politici vanno in direzione dell'estrema destra, secondo quanto contenuto in alcuni opuscoli riconducibili a quest'area. Ad Albenga milita dapprima nel gruppo "Giovane nazione", quindi in "Giovane Europa", due piccole organizzazioni che riprendono le tesi nazional-socialiste di Jean Thiriart. Curcio viene anche citato come capo della sezione di Albenga e celebrato il suo zelo militante nella Rivista "Giovane Nazione": bisogna notare, tuttavia, che nell'autunno '63 Curcio già frequenta l'Università di Trento - città in cui si è trasferito giugno '62 dopo un anno trascorso a Genova - e i suoi studenti. Curcio non ha mai fatto riferimento a questa sua militanza nell'estrema destra, affermando anzi di aver cominciato ad occuparsi di politica quando era già all'Università di Trento, "e neanche subito".
Dopo un anno trascorso in condizioni precarie a Genova, dove vive di piccoli espedienti, nel 1963 si iscrive all'Istituto Superiore di Scienze Sociali (poi Università) di Trento, al corso di laurea in sociologia. Lì, tra i vari corsi, le cronache raccontano che Curcio seguisse con particolare interesse le lezioni di un allora giovanissimo Romano Prodi, all'epoca assistente universitario del professor Beniamino Andreatta.
A Trento, intorno al 1964, lavora come portaborse del vicesindaco di Trento Iginio Lorenzi, socialista, scomparso nel 2004. Viene poi coinvolto dalla mobilitazione studentesca, che a Trento inizia prima di altrove con l'occupazione dell'università. Nel 1965 entra a far parte del G.D.I.U.T., il gruppo trentino dell’Intesa Universitaria, fondato da Marco Boato, in cui si ritrovavano giovani di ispirazione cristiana, ma politicamente laici. In tale contesto conosce Margherita Cagol, studentessa cattolica che sarà la sua compagna fino alla morte. Matura il proprio credo ideologico all'interno delle lotte universitarie e aderisce ad alcuni piccoli gruppi d'estrema sinistra. Per un certo periodo condivide l'abitazione con Mauro Rostagno, soprannominato il "Che" di Trento, che sarà uno dei fondatori di Lotta Continua.Nel 1967 forma un gruppo di studio denominato Università Negativa, in cui viene svolto un lavoro di formazione teorica con una rilettura di testi ignorati dai corsi universitari tra i quali Mao Zedong, Herbert Marcuse, Che Guevara, Raniero Panzieri, Amilcar Cabral. Entra a far parte della redazione della rivista "Lavoro Politico" di ispirazione marxista-leninista: dai suoi articoli traspare una critica verso il "filocastrismo" e verso l'avventurismo di chi arrivava a proporre azioni armate in Italia; come si legge testualmente " è solo un piccolo borghese in cerca di emozioni e non un vero rivoluzionario" chi queste azioni proponeva, poiché la presa del potere da parte del proletariato è un processo lungo che non può essere ridotto alla sola parola d'ordine della guerriglia.
Pur avendo completato tutti gli esami, fa la scelta politica di non laurearsi.
Il primo agosto 1969 sposa, nel Santuario di San Romedio in Val di Non, con rito misto, cattolico-valdese, Margherita Cagol.

La nascita della lotta armata

L’8 settembre 1969 Curcio, Cagol ed altri fondano il Collettivo Politico Metropolitano (CPM): è questo il periodo in cui vengono introdotti nelle fabbriche e in cui conoscono i giovani che faranno parte delle future Brigate Rosse. Nel clima dell'"Autunno caldo", nel novembre 1969, Curcio partecipa al convegno di Chiavari. Stando a quanto riportato da Giorgio Galli, all'Hotel Stella Maris di Chiavari, di proprietà di un istituto religioso, si riuniscono una settantina di appartenenti al Collettivo politico metropolitano di Milano. Tra di loro ci sono molti di coloro che - nell'anno successivo - fondano le Brigate Rosse. Secondo Curcio quando il movimento trovò la "strada sbarrata", di fronte all'alternativa se "vivere o no in democrazia tutelata" alcuni come lui "dissero no". E nacque la lotta armata, quasi per necessità. Nella sua relazione a Chiavari, Curcio cita un noto rivoluzionario brasiliano, Marcelo de Andrade, il quale asseriva che "Ogni alternativa proletaria al potere è - fin dall'inizio - politico-militare, nel senso che la lotta armata cittadina costituisce la via principale alla lotta di classe". Dunque, in questa occasione, Curcio si mostra favorevole alla presa delle armi da parte dell'avanguardia proletaria. Ma la sua posizione e quella di qualche altro oratore rimane, al momento, minoritaria. Il CPM, però, si trasforma in un gruppo più centralizzato, Sinistra Proletaria, che stampa anche due numeri di una rivista. Le posizioni di molti di coloro che avevano rifiutato la lotta armata cominciano a mutare con la strage di Piazza Fontana, avvenuta il 12 dicembre dello stesso 1969.
Nel settembre 1970 si tiene il Convegno di Pecorile, con il quale ha fine l'esperienza di Sinistra Proletaria: alcuni, tra cui Curcio, Cagol, Alberto Franceschini, decidono di passare alla lotta armata. Il 17 settembre 1970 si ha la prima azione politico-militare firmata "Brigate Rosse": viene incendiata l'automobile di un dirigente della Sit Siemens, Giuseppe Leoni nel quartiere Lorenteggio di Milano. Sui volantini distribuiti si legge che quello era l'esempio da dare ai crumiri ed ai "dirigenti-bastardi". SIT Siemens, Pirelli, Alfa Romeo: queste sono le prime industrie ove si insedia il partito armato. Da questo momento la storia di Curcio coincide con quella delle Brigate Rosse (vedasi la voce relativa, "Brigate Rosse"), anche se la sua partecipazione alle azioni, inizialmente attentati incendiari ai danni di automobili di dirigenti di fabbrica e di avversari politici, è inizialmente molto limitata. Curcio, infatti, si connota come "ideologo" dell'Organizzazione e, per evitare il rischio di essere ucciso, si occupa principalmente della stesura di documenti e dell'elaborazione teorica dell'Organizzazione. Nell'estate del 1972, dopo una prima ondata di arresti, si trasferisce con sua moglie Margherita a Torino, dove fondano una nuova colonna dell'organizzazione e passano alla clandestinità completa.

L'arresto e la carcerazione

Curcio è, per un quadriennio, assieme a Margherita Cagol ed ad Alberto Franceschini, nel direttorio delle BR.
Tra le azioni rivendicate dalle BR in quel periodo, l'omicidio di Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola, militanti del MSI il 17 giugno 1974, uccisi nella sede del MSI in via Zabarella a Padova. Curcio, condannato come mandante di quegli omicidi, scrisse il volantino di rivendicazione insieme agli altri dirigenti delle BR non senza titubanza, specificando come l'evento non fosse stato pianificato dall'organizzazione.
Silvano Girotto, che fu per ragioni ideologiche il principale artefice del primo arresto di Curcio, interrogato il 26 settembre 1974 da Giancarlo Caselli riferisce alcune parole di Curcio relative alla pratica di lotta armata, dove specificava che "bisognava anche sapere che, se necessario, le BR uccidevano".
Circa vent'anni dopo il fatto invece (nel 1993), il duplice omicidio viene ricordato da Curcio nella sua autobiografia/intervista con Mario Scialoja come un "incidente di percorso, un episodio non voluto". Curcio parla apertamente di "disastro politico" e di "errore grave", in quanto l'azione dei militanti padovani compromise l'immagine delle BR.
Senza curarsi del fatto che dopo quegli omicidi le BR avevano emesso un volantino di rivendicazione di cui lui stesso era stato ritenuto autore, Curcio nell'intervista spiega che a quel tempo l'eventualità che l'organizzazione commettesse degli omicidi e ne subisse era un principio accettato nella logica della pratica rivoluzionaria, ma afferma che "uccidere consapevolmente in quel periodo lo escludevo: ritenevo che per il nostro tipo di organizzazione sarebbe stato un passo controproducente e negativo".
Risulta però chiaro che susseguentemente al duplice omicidio, Curcio ed il direttorio BR agiscono con il fine di professionalizzare la preparazione militare dei brigatisti. Infatti, attraverso il dottor Enrico Levati e l'avvocato Giovanbattista Lazagna, giungono in contatto con Silvano Girotto detto "Frate Mitra" che, d'accordo con i carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa cercava il contatto con le BR e queste, affascinate dalla sua fama di frate guerrigliero gli propongono di divenire loro addestratore militare.
Rispondendo alle domande della Commissione Parlamentare d'inchiesta sul terrorismo Girotto ricorda le parole dei brigatisti nel corso dei tre incontri succedutisi tra luglio e settembre 1974. "Moretti disse: "siamo così carichi di odio che le nostre pistole sparano da sole". E Curcio aggiunse: "sì, però per il momento ci spariamo sui piedi, abbiamo bisogno di lui"." L'8 settembre 1974, data fissata per il terzo incontro con Silvano Girotto, Renato Curcio insieme a Franceschini viene arrestato a Pinerolo mentre si reca al luogo convenuto per l'incontro.
Come conseguenza di un'azione diretta e guidata da 'Mara', Curcio evade dal carcere nel febbraio 1975 e rientra nelle Brigate Rosse, dove però ormai le sue posizioni sono marginali.
Sua moglie Margherita Cagol, detta "Mara", viene uccisa in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel giugno del 1975, in cui rimane ucciso anche l'appuntato Giovanni D'Alfonso e ferito gravemente il tenente Umberto Rocca, durante la liberazione dell'industriale Gancia, sequestrato a scopo di autofinanziamento del gruppo. Il 18 gennaio 1976 Curcio viene riarrestato insieme a Nadia Mantovani in un appartamento a Via Maderno, a Milano.
Con la morte di Margherita Cagol e con la carcerazione di Curcio e di Franceschini, la direzione del movimento passa in mano ad esponenti della cosiddetta "ala militarista" con a capo Mario Moretti. Nel giugno del 1976 vengono uccisi il Procuratore Generale Francesco Coco e la sua scorta: si tratta del primo omicidio premeditato delle Brigate Rosse anche se le prime due vittime delle Br erano state Graziano Giralucci e Giuseppe Mazzola.
Il 10 maggio 1978, il giorno dopo l'omicidio seguito al rapimento dell'onorevole Aldo Moro, alla caserma Lamarmora a Torino, dove si celebra il processo ad alcuni dei capi storici delle BR, Renato Curcio prende la parola e attraverso un comunicato, condiviso con altri imputati, celebra così la morte del segretario della D.C. "... Ecco perché noi sosteniamo che l'atto di giustizia rivoluzionaria esercitato dalle Brigate Rosse nei confronti del criminale politico Aldo Moro, (...), è il più alto atto di umanità possibile per i proletari comunisti e rivoluzionari, in questa società divisa in classi."
Curcio viene espulso dall'aula così come il coimputato Alberto Franceschini che cerca, subito dopo di lui, di ripetere le parole del comunicato, presto interrotto dall'intervento della forza pubblica.
Curcio viene condannato come mandante dell’omicidio di Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, venendo riconosciuto come autore del proclama delle BR rivendicante gli omicidi.
Curcio non si è mai dissociato né pentito. Ha rivendicato tutte le azioni brigatiste fino alla metà degli anni '80, criticando però davanti ai giudici le sue vecchie scelte.
Nel 1987 con una lettera aperta, firmata insieme a Mario Moretti ed altri, dichiara chiusa l’esperienza della lotta armata, rilevandone l’inattualità.

Dibattito sulla grazia a Curcio (Cossiga, 1991)

Nell'agosto 1991, Francesco Cossiga, Presidente della Repubblica, propone di concedere la grazia a Renato Curcio. È un atto inusuale perché Cossiga propone la grazia pubblicamente, condizionandola però al riconoscimento da parte delle forze politiche, e soprattutto del Governo e del Parlamento di un valore politico più generale della stessa.
Inizia un dibattito che vede coinvolto il mondo politico e la stampa.
Marco Pannella inserisce questa vicenda (settimo paragrafo del documento), nella sua denuncia nei confronti del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga per attentato alla Costituzione il 26 novembre 1991. Sotto accusa sono le modalità della proposta di grazia e il presunto stravolgimento della prassi costituzionale consolidata.
La figlia di Giralucci, Silvia, scrive quanto segue allo stesso presidente Cossiga in una lettera pubblica: "La grazia è un'ingiustizia che ci offende, sia come familiari delle vittime del terrorismo, che come privati cittadini. Mia madre ed io avevamo già espresso parere negativo alla grazia... La nostra vita è stata profondamente segnata da quell'episodio, è una vita non completa, non normale. Perché dobbiamo concedere una vita normale a chi non ha permesso che la nostra fosse tale? Hanno stroncato e segnato irreversibilmente troppe vite per avere il diritto di godersi la loro. Constatatone il fallimento, vorrebbero, e lei con loro, considerare la loro esperienza storicamente sorpassata, ma il dolore mio e della mia famiglia non è ancora storia, è vita".
Il figlio di Giuseppe Mazzola, alla proposta di grazia a Curcio richiede la sospensione dello status di cittadinanza italiana suo, dei fratelli e della madre fino allo scadere del mandato presidenziale di Cossiga.
Di fronte alla esplicita iniziativa del Presidente Cossiga sulla concessione della grazia a Renato Curcio, tra parecchie polemiche, il Presidente del Consiglio Giulio Andreotti concorda, fatto che spinge il Ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, a rivendicare le proprie prerogative in materia presentando infatti un ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Presidenza della Repubblica e della Presidenza del Consiglio.
Il processo costituzionale fu poi dichiarato estinto (ord. n. 379 del 1991), senza che la Corte si esprimesse, in quanto lo stesso Ministro Martelli rinunciò al ricorso e, dall'altra parte, il Presidente Cossiga non tornò sull'argomento grazia a Curcio.

Oggi

Nel 1990 fonda, insieme a Stefano Petrelli e Nicola Valentino, la casa editrice Sensibili alle foglie, una cooperativa di cui è l'attuale direttore editoriale.
Appena ottenuta la semilibertà 7 aprile 1993, l'allora direttore de Il Giorno, Paolo Liguori gli offrì un posto da giornalista ma lui declinò l'offerta perché prematura. Renato Curcio fu scarcerato nell'ottobre del 1998, quattro anni prima della scadenza della pena.
Curcio si è risposato nel 1995 con Maria Rita Prette (un'ex terrorista di 20 anni più giovane) e con lei ha avuto una figlia. Abita in un casolare a Carru' (Cuneo) e scrive libri sul mondo del lavoro, sulla condizione carceraria, su internati nei manicomi giudiziari e portatori di handicap.

fonte: Wikipedia

giovedì

Nicolae Ceausescu



pronuncia rumenaˌnikoˈlae ʧauˈʃesku, è stato un politico rumeno. Segretario generale del Partito Comunista Rumeno dal 1965, fu il dittatore della Romania dal 1967 al dicembre 1989, anno in cui fu deposto e processato con le accuse di crimini contro lo stato, genocidio e "distruzione dell'economia nazionale". Il 22 dicembre 1989, con decreto di Ion Iliescu (CFSN), fu istituito il Tribunale Militare Eccezionale. Il 25 dicembre i coniugi Ceaușescu furono giudicati a seguito di un processo sommario e condannati a morte. La loro esecuzione fu effettuata alcuni minuti dopo la pronuncia della sentenza. La sua condanna a morte fu l'atto finale della rivoluzione rumena del 1989.

fonte: Wikipedia

venerdì

Pol Pot




Saloth Sar è stato un politico, rivoluzionario e dittatore cambogiano, capo dei guerriglieri comunisti della Cambogia, i Khmer Rossi, e ufficialmente Primo Ministro del paese, che portò il nome di Kampuchea Democratica dal 1976 al 1979, quando la sua dittatura venne rovesciata dal vicino stato del Vietnam. Fu diretto ispiratore e responsabile della tortura e del massacro di circa un milione e mezzo di persone (compresi bambini, donne e anziani), a cui vanno aggiunti centinaia di migliaia di morti a causa del lavoro forzato, della malnutrizione e della scarsa assistenza medica. In totale, circa 1/3 della popolazione cambogiana perse la vita nel periodo tra il 1975 e il 1979.
Assunse svariati pseudonimi (Fratello Numero 1, Pouk e Hai sono solo alcuni tra quelli noti) ma è universalmente noto come Pol Pot. Sulla genesi di quest'ultimo esistono due scuole di pensiero: quella dello studioso Philip Short, secondo cui Saloth Sar lo avrebbe assunto nel '70 ispirandosi per la prima parte di esso al nome degli schiavi dei sovrani khmer discendenti da un'antica tribù sottomessa (i Pol, appunto) e completandolo con un monosillabo eufonico (come da tradizione per i cambogiani privi di secondo nome), e quella del giornalista William T. Vollmann, che lo riconduce all'abbreviazione dei termini francesi "Politique Potentiel" (in italiano "Politico Potenziale").

L'infanzia e gli anni parigini

Pol Pot nacque nel 1925 a Prek Sbauv (in quella che allora era una parte dell'Indocina Francese, ma che adesso si trova nella provincia di Kampong Thom, in Cambogia), da una famiglia mediamente benestante, con frequentazioni della famiglia reale. Infatti, una delle sue sorelle era una concubina del Re, così gli capitava spesso di visitare il Palazzo Reale.
Intorno al 1934, la famiglia di Saloth Sar mandò il figlio in un monastero buddhista di Phnom Penh per un tirocinio religioso. Due anni dopo iniziò a frequentare la "Miche School", una scuola religiosa di Phnom Penh. Il soggiorno a Phnom Penh con tre dei suoi fratelli più grandi diede a Saloth Sar una nuova visione dello stato della popolazione Khmer, che rappresentavano una minoranza nella città; i mercanti erano generalmente cinesi, i lavoratori del governo vietnamiti, e risiedevano in città anche alcuni ufficiali francesi. Nel 1947 riuscì ad entrare nel prestigioso Liceo Sisowath, ma i suoi studi non furono proficui, così entrò in una scuola tecnica di Russey Keo. Qui nel 1949 vinse una borsa per studiare radioingegneria all'EFREI di Parigi.
Studente modello alla Sorbonne, grande ammiratore della Rivoluzione Francese, entrò ben presto in contatto con gli ideali marxisti di Jean-Paul Sartre che fu suo mentore ed ispiratore, e nel 1950 entrò addirittura in una brigata internazionale di operai che si recò nella Jugoslavia del Maresciallo Tito per costruire strade. Nel 1951, dopo essere entrato nel Circolo Marxista Khmer - che aveva nel frattempo monopolizzato l'Associazione degli Studenti Khmer - si unì al Partito Comunista Francese (il quale, come Saloth Sar, appoggiava la lotta anti-colonialista dei Viet Minh nell'Indocina Francese). Nel gennaio del 1953, dopo tre anni di studio disastrosi - a causa dell'impegno politico - fece ritorno nella madrepatria, primo tra i membri del Circolo.

La guerra di liberazione nazionale

La Cambogia di quegli anni era teatro - assieme al Vietnam e al Laos - di una rivolta, quasi interamente di matrice comunista, contro l'occupazione francese dell'Indocina. Nell'agosto del 1953 Saloth Sar raggiunse insieme a Rath Samoeun il villaggio di Krabao, quartier generale orientale dei Viet Minh situato al confine tra le province di Kompong Cham e Prey Veng, e si unì al movimento. Tuttavia, ben presto constatò in esso un'effettiva prevalenza degli interessi nazionali vietnamiti. Infatti nel 1954 i francesi lasciarono l'Indocina, e i Viet Minh si ritirarono nel Vietnam del Nord, comunista, portando con sé anche quadri comunisti cambogiani tramite i quali estendere, in un imprecisato futuro, la rivoluzione al paese confinante.

Nascita dei Khmer Rossi

Saloth Sar rimase in Cambogia e fu tra i fondatori del Partito Rivoluzionario del Popolo Khmer, poco più che una sezione locale del Partito dei Lavoratori del Vietnam. Il re Norodom Sihanouk indisse delle elezioni. Sihanouk abdicò e formò un partito politico. Usando la sua popolarità e qualche intimidazione, spazzò via l'opposizione comunista e conquistò tutti i seggi del parlamento. Pol Pot sfuggì alla polizia segreta di Sihanouk e spese dodici anni in latitanza, addestrando le reclute. Alla fine degli anni sessanta, il capo della sicurezza interna di Sihanouk, Lon Nol, intraprese un'azione brutale contro i rivoluzionari, conosciuti come Partito Comunista di Kampuchea. Pol Pot iniziò una sollevazione armata contro il governo, venendo appoggiato dalla Repubblica Popolare Cinese.
Prima del 1970, il Partito Comunista di Kampuchea fu di insignificante importanza nella politica cambogiana. Ad ogni modo, nel 1970, il Generale Lon Nol, appoggiato dagli USA, depose Sihanouk, poiché quest'ultimo veniva visto come fiancheggiatore dei Viet Cong.
Per protesta, Sihanouk diede il suo supporto alla parte di Pol Pot. Quello stesso anno, Richard Nixon ordinò un'incursione militare in Cambogia, allo scopo di distruggere i santuari Viet Cong al confine con il Vietnam del Sud. La popolarità di Sihanouk, unita all'invasione statunitense della Cambogia, portarono molti a fianco di Pol Pot e ben presto il governo di Lon Nol si trovò mantenere il controllo delle sole città.
Si è sostenuto che i Khmer Rossi avrebbero potuto non prendere il potere se non fosse stato per la destabilizzazione causata dalla Guerra del Vietnam, e in particolare per le campagne di bombardamento atte a "spazzar via i rifugi vietnamiti" in Cambogia. William Shawcross sostenne questo punto di vista nel suo libro del 1979, Sideshow.

Guerra civile e rivoluzione

Quando gli Stati Uniti lasciarono il Vietnam nel 1973 i Viet Cong lasciarono la Cambogia, ma i Khmer Rossi continuarono a combattere. Incapace di mantenere qualsiasi controllo sulla nazione, il governo di Lon Nol collassò rapidamente. Il 17 aprile 1975, il Partito Comunista di Kampuchea prese Phnom Penh e Lon Nol scappò negli Stati Uniti. Meno di un mese dopo, il 12 maggio, le forze navali dei Khmer Rossi operanti in acque territoriali cambogiane sequestrarono la nave mercantile americana S.S. Mayaguez, l'ultima che aveva lasciato il Vietnam, innescando la Crisi della Mayaguez.
Norodom Sihanouk ritornò al potere nel 1975, ma presto si trovò affiancato dai suoi più radicali colleghi comunisti, che avevano poco interesse nei suoi piani di restaurazione della monarchia.

Kampuchea Democratica

All'inizio del 1976 i Khmer Rossi che appoggiavano la linea dura si stancarono di tollerare le trovate di Sihanouk, e lo posero agli arresti domiciliari. Il governo esistente venne velocemente smantellato e Sihanouk venne rimosso da capo di stato. La Cambogia divenne una repubblica comunista, e Khieu Samphan ne divenne il primo Presidente.
Il 13 maggio 1976 Pol Pot venne nominato Primo Ministro di Cambogia, e iniziò a varare delle radicali riforme socialiste nel paese. I bombardamenti statunitensi avevano portato allo svuotamento di parte delle aree rurali e le città si erano sovraffollate (la popolazione di Phnom Penh superò il milione di abitanti prima del 1976). Pol Pot pensava che l'unica via al comunismo fosse ripartire da zero.
Quando i Khmer Rossi presero il potere, evacuarono i cittadini dalle città verso la campagna, dove venivano costretti in fattorie comuni. La proprietà venne collettivizzata seguendo i già sperimentati modelli sovietico, cinese e vietnamita, e l'educazione si teneva in scuole comuni. Ma l'effetto della dittatura non si limitò a queste riforme: il regime di Pol Pot fu infatti una delle più spietate dittature della storia. Migliaia di politici e burocrati vennero uccisi, mentre Phnom Penh veniva trasformata in una città fantasma dove molti morivano di fame, malattie o perché giustiziati. Le mine, che Pol Pot lodava come "soldati perfetti", erano ampiamente distribuite in tutto il territorio. Il numero di vittime causate da Pol Pot è conteso. Una cifra di tre milioni tra il 1975 e il 1979 venne data dal regime di Phnom Penh sponsorizzato dai Vietnamiti, il PRK.
Oggi si tende a reindirizzare la cifra più al ribasso, ma resta il fatto che una persona su quattro, in Cambogia negli anni tra il 1975 e il 1979, venne assassinata e il paese, già non densamente popolato, si svuotò quasi del tutto. Padre François Ponchaud suggerì 2,3 milioni, anche se questo numero comprende centinaia di migliaia di persone che morirono prima dell'ascesa del PCdK; l'Università Yale stimò 1,7 milioni di vittime, Amnesty International 1,4 e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti 1,2. Khieu Samphan e Pol Pot, da cui ci si poteva attendere delle sottostime, diedero cifre di 1 milione e di 800.000 rispettivamente. La CIA stimò un numero di esecuzioni tra le 50.000 e le 100.000. Tuttavia queste sono le esecuzioni accertate o fatte per decisione, ma il numero totale di persone uccise è superiore. Le stime variano da 700.000 a 1.700.000 di persone sterminate sotto Pol Pot, tra le quali ci furono molti anziani, disabili e bambini. Fra le torture effettuate dai Khmer rossi ve ne sono fra le più inimmaginabili: scariche di elettroshock, dita mozzate, unghie strappate, detenuti costretti a mangiare i propri escrementi. Spesso la ferocia dei Khmer rossi si attuava uccidendo le persone a bastonate, badilate, colpi di zappa e armi da taglio, per evitare lo "spreco" di pallottole.
Dall'epoca dell'entrata in clandestinità Pol Pot non fece assolutamente nulla per mantenere i contatti con i suoi familiari, che difatti furono deportati come gli altri. Suo fratello Saloth Nhep dichiarò in un'intervista alla BBC di essere venuto a conoscenza della vera identità di Pol Pot solo dopo aver casualmente visto un suo ritratto ufficiale in una cucina collettiva.

Invasione della Cambogia

Alla fine del 1978, il Vietnam invase la Cambogia (guerra cambogiana-vietnamita). L'esercito cambogiano venne sconfitto facilmente, e Pol Pot fuggì verso il confine tailandese. Nel gennaio 1979, il Vietnam installò un governo fantoccio guidato da Heng Samrin, composto da Khmer Rossi che erano fuggiti in Vietnam per evitare le purghe. A questo fece seguito l'ampia defezione verso il Vietnam degli ufficiali Khmer Rossi della Cambogia orientale, largamente motivata dalla paura che sarebbero stati accusati di collaborazionismo anche se non avessero disertato. Pol Pot mantenne un seguito sufficiente a mantenere il combattimento in una piccola area nell'ovest della nazione. A questo punto la Cina, che aveva in precedenza appoggiato Pol Pot, attaccò il Vietnam, creando una breve Guerra sino-vietnamita.
Pol Pot, in quanto autonomista, era un oppositore dell'ortodossia sovietica. Si trattava ovviamente di una scelta pragmatica più che di un'avversione ideologica; ottenne perciò supporto dalla Thailandia e dagli USA. In particolare, gli Stati Uniti e la Cina posero il veto all'assegnazione del seggio riservato alla Cambogia nell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al rappresentante del governo di Heng Samrin. Influenzati dalla realpolitik, gli USA appoggiarono direttamente e indirettamente Pol Pot, che sposò una variante radicalmente rivista del Maoismo, adattata al nazionalismo Khmer.

Le dimissioni e la nuova guerra civile

Gli Stati Uniti e la Cina appoggiarono direttamente e indirettamente Pol Pot e la sua ostilità nei confronti dell'URSS. Gli USA tentarono di incoraggiare un'alleanza anti-vietnamita tra Pol Pot, Sihanouk e il nazionalista Son San. Per perseguire questo fine Pol Pot si dimise ufficialmente nel 1985, ma continuò come capo de facto del Partito Comunista di Kampuchea e come forza dominante dell'alleanza. Gli oppositori al PCdK sostennero che questo agiva ancora in maniera disumana nelle aree controllate dall'alleanza.
Nel 1989, i vietnamiti si ritirarono dalla Cambogia. Pol Pot si rifiutò di cooperare al processo di pace, e continuò a combattere il nuovo governo di coalizione. I Khmer Rossi tennero in scacco le forze governative fino al 1996, quando le truppe demoralizzate iniziarono a disertare; l'esempio fu imitato da diversi ufficiali dei Khmer Rossi, che si ritrovarono così fortemente indeboliti e disorganizzati.

La morte

Nel 1997, Pol Pot giustiziò il suo braccio destro di sempre, Son Sen, per aver voluto giungere ad un accordo con il governo, ma poi egli stesso venne arrestato dal capo militare dei Khmer Rossi, Ta Mok, e venne condannato agli arresti domiciliari per il resto della vita. Nell'aprile 1998, Ta Mok fuggì nella foresta a seguito di un nuovo attacco dei governativi, e portò Pol Pot con sé. La notte del 15 Aprile 1998, il programma radio "La voce dell'America", che Pol Pot ascoltava regolarmente, annunciò che i Khmer Rossi avevano accettato di consegnarlo ad un tribunale internazionale. Secondo la testimonianza di sua moglie, morì nel suo letto quella stessa notte. Il suo subordinato Ta Mok annunciò che la morte era dovuta ad un infarto. Nonostante la richiesta del governo cambogiano di ispezionare il corpo, esso venne cremato pochi giorni dopo a Anlong Veng, nella zona ancora sotto il controllo dei Khmer Rossi; ciò provocò forti sospetti che Pol Pot si fosse suicidato o fosse stato avvelenato.
Ebbe ottimi rapporti col Partito Marxista-Leninista Italiano e col suo segretario Giovanni Scuderi.

fonte: Wikipedia

giovedì

Martin Bormann



Capo della cancelleria del NSDAP (Parteikanzlei) e segretario personale di Adolf Hitler, fu tra i membri più importanti nella gerarchia della Germania nazista.

Martin Bormann nacque a Wegeleben, in Germania, il 17 giugno 1900. Il padre, Theodor Bormann, prussiano, fu prima sergente maggiore di un reggimento di artiglieria e successivamente impiegato delle poste. Rimasto vedovo con due figli, si risposò con Antoine, che gli diede altri tre figli, di cui il primo fu Martin. Nel 1904 Theodor morì e Antoine, in difficoltà economiche, si affrettò a risposarsi con Albert Vollborn, direttore di un'agenzia bancaria.
Bormann, durante la scuola superiore, si interessò di musica e del gioco degli scacchi; partecipò a vari circoli nei quali ebbe occasione di parlare della situazione ebraica mondiale e del sionismo. Lasciò presto gli studi per lavorare in una fattoria nel Meclemburgo. Durante le ultime fasi della Prima guerra mondiale venne arruolato come cannoniere in una sezione di artiglieria, ma non partecipò a nessuna battaglia. Nel 1922 si unì ai Freikorps. Nel marzo 1924 venne condannato a un anno di prigione perché complice di Rudolf Höss nel brutale omicidio del suo stesso insegnante di scuola elementare, Walther Kadow, militante comunista e sospettato di aver consegnato alle autorità francesi il nazista Albert Leo Schlageter. Scontò undici mesi di reclusione e, squattrinato e senza lavoro, si unì nuovamente ai Freikorps.

Ascesa nel partito nazista

Si iscrisse al NSDAP il 17 febbraio 1927, tessera numero 60508. Il partito gli offrì l'incarico di amministratore del fondo previdenziale delle Sturmabteilung (SA). Dal 1928 al 1930 fu membro del Comando Supremo delle SA. Nell'ottobre 1933 divenne Reichsleiter e in novembre membro del Reichstag. Da luglio 1933 al 1941 Bormann fu segretario personale di Rudolf Hess.
Fu lui a dirigere la costruzione del famoso Kehlsteinhaus, noto come "Nido dell'aquila", la fortezza progettata da Albert Speer e costruita sul picco da cui prese il nome, il Kehlstein, che sovrasta la località montuosa dell'Obersalzberg. Dimostrò di essere un uomo ligio al dovere anche a costo di essere crudele: distrusse strade e case, sfrattandone gli inquilini. Lo chalet fu donato a Hitler per il suo cinquantesimo compleanno, a cui però non piacque, nonostante fosse stato progettato secondo alcune sue direttive, avendo subito molti cambiamenti durante la costruzione. Il Führer, infatti, continuò a preferire la sua più piccola e modesta villetta poco distante, il Berghof.
Bormann sostenne la repressione di tutti i gruppi organizzati di opposizione, in particolar modo delle Chiese; e di ogni influenza religiosa dal partito. Nel luglio 1938 proibì che nel partito fossero ammessi preti, il 6 giugno 1939 gli scienziati di fede cristiana, successivamente gli studenti di teologia. Lottò contro qualsiasi genere di insegnamento religioso nelle scuole. Nel 1941 emanò una circolare indirizzata ai gauleiter, ossia ai funzionari locali del partito nazionalsocialista, nella quale, senza ambiguità di sorta, sancì l'assoluta inconciliabilità tra il Nazionalsocialismo e il Cristianesimo. Vi si legge, tra l'altro, che «nazionalsocialismo e cristianesimo sono incompatibili» e che i contenuti del cristianesimo «nei loro punti essenziali, sono di derivazione giudaica. Anche per questo motivo noi non abbiamo nessun bisogno del cristianesimo»). La circolare fu inclusa negli atti di accusa contro Bormann al processo di Norimberga, classificata come documento 075-D. Questo è uno dei documenti che contrastano insanabilmente con la controversa tesi espressa da Richard Steigmann-Gall nel libro Il Santo Reich, secondo il quale il nazismo sarebbe un'ideologia "cristiana".
Bormann colse l'occasione di subentrare a Hess, quando nel 1941 questi volò in Inghilterra nel tentativo di proporre una pace separata con il governo inglese. Divenne capo della Parteikanzlei e gli fu affidato il compito di amministrare il Fondo Adolf Hitler dell'industria tedesca. Il 12 aprile 1943 venne nominato ufficialmente segretario personale di Hitler. Ottenne poteri superiori a quelli del suo predecessore: controllo di tutte le leggi e le direttive emanate dal Gabinetto del Führer, e direzione del Consiglio dei ministri per la Difesa del Reich.
Il 16 luglio 1941 Bormann partecipò alla conferenza presso il Quartier Generale del Führer insieme a Göring, Rosenberg, Keitel e Lammers. Si stabilirono piani per l'annessione di territori russi e di altri Paesi dell'Est. Partecipò a una seconda riunione l'8 maggio 1942 con Hitler, Rosenberg e Lammers sulla soppressione della libertà religiosa. Sostenne politiche sulla condizione dei prigionieri di guerra particolarmente dure e sanguinarie.
Firmò il decreto del 9 ottobre 1942 che stabiliva l'eliminazione permanente di tutti gli ebrei nel territori della Germania; quello del 1º luglio 1943 che dava controllo assoluto sugli ebrei ad Eichmann e un ultimo, del 30 settembre 1944, dove la giurisdizione di tutti i prigionieri di guerra veniva affidata ad Himmler e alle SS.
Nonostante la sua figura poco appariscente rispetto a quella di altri gerarchi, Bormann fu un uomo dal grande potere, soprattutto nel periodo della Seconda guerra mondiale. Come testimonia Albert Speer nelle sue memorie, la sua influenza su Hitler fu totale e divenne il filtro fra il Führer e il mondo esterno, l'interprete delle sue volontà. La sua influenza negativa su Hitler, portò spesso a scelte errate e illogiche ai fini del decorso della guerra, tanto che in molti credettero erroneamente che egli fosse persino una spia di Stalin, rifugiatosi poi con i russi. Per quanto inverosimile fosse questa versione della sua scomparsa, ne esce tuttavia un quadro che evidenzia come molti generali tedeschi erano propensi a considerare Bormann come il migliore alleato di Stalin, alla luce delle scelte tattiche che egli faceva fare a Hitler. Nell'inutile tentativo di arginare l'influenza di Bormann sul Führer, Speer, Göring e Goebbels cercarono di coalizzarsi per metterlo in difficoltà di fronte a Hitler. Il tentativo non andò a buon fine, in parte a causa di una certa conflittualità che esisteva tra Goebbels e Göring, quest'ultimo sempre più distante dalla realtà, a causa dell'assunzione di morfina. Bormann, negli ultimi giorni della dittatura nazista, firmò il testamento politico di Hitler e fu testimone delle nozze del Führer con Eva Braun.
Dal 5 luglio 1941 fino al 1944 fece trascrivere i discorsi tenuti da Hitler con i suoi invitati. Questi furono poi pubblicati con il titolo Conversazioni a tavola di Hitler.

La famiglia Bormann

Bormann sposò nel 1929 Gerda, figlia di Walter Buch, giudice del tribunale del partito nazista. I suoi testimoni di nozze furono Hess e Hitler. Quest'ultimo fu anche il padrino del primo figlio della coppia.
Martin e Gerda Bormann, morta di cancro nel 1946 in Alto Adige, ebbero dieci figli.

Adolf Martin, nato il 14 aprile 1930: conosciuto come Martin Bormann jr, ha rinnegato l'operato del padre. È stato sacerdote e missionario cattolico; ha tenuto numerose conferenze sugli orrori della Shoah. Nel 2011 è stato accusato da un suo ex allievo di abusi sessuali:

Ilse, nata il 9 luglio 1931, morta nel 1958, e la sorella gemella Ehrengard, morta poco dopo la nascita;

Irmgard, nata il 25 luglio 1933;

Helmut Gerhard, nato il 31 agosto 1934;

Heinrich Hugo, nato il 13 giugno 1936;

Eva Ute, nata il 4 agosto 1938;

Gerda, nata il 23 ottobre 1940;

Fred Hartmut, nato il 4 marzo 1942;

Volker, nato il 18 settembre 1943 e morto nel 1946.

La morte

Bormann fu giudicato colpevole al processo di Norimberga e condannato a morte in contumacia. Nulla di certo si sapeva di lui, da quando aveva abbandonato il Führerbunker insieme al dottore delle SS Ludwig Stumpfegger e al capo della gioventù hitleriana, Artur Axmann. L'ultimo uomo ad averlo visto era stato Erich Kempka, autista di Hitler, durante la notte fra il e il 2 maggio 1945. Kempka sostenne di aver visto Bormann colpito a morte dall'esplosione di un carro armato, nel tentativo di attraversare le linee nemiche russe.
Versioni differenti furono narrate da altri testimoni. Alcuni dissero di averlo visto fuggire nella zona sud di Berlino, passando prima per un sistema di gallerie sotterranee e poi spostandosi al fianco di alcuni carri armati tedeschi catturati dalle forze angloamericane. Altri sostennero che avesse preso contatto con i servizi segreti americani, offrendo un'appetibile ricompensa per la sua salvezza: uranio e scienziati tedeschi. Si raccontò di come, nei primi di maggio del 1945, si fosse imbarcato ad Amburgo sull'U-Boot 234 e, arrivato in Spagna, fosse fuggito verso il Sud America. Nel marzo 1966, durante un'intervista televisiva, il figlio di Adolf Eichmann, Klaus, convinto che Bormann si trovasse in Sud America, gli lanciò un'aspra invettiva.
Nell'ottobre 1972, in un cantiere di Berlino, alcuni operai durante uno scavo trovarono due scheletri. I teschi furono consegnati al reparto di medicina legale della polizia di Berlino. I denti di uno dei due teschi vennero confrontati con la scheda odontoiatrica di Bormann, conservata nell'archivio militare: i risultati della comparazione diedero esito positivo al cento per cento. Le ossa però erano ricoperte di una terra rossiccia, che non apparteneva al suolo berlinese. Ne nacque l'ipotesi che il cadavere di Bormann, morto in Sud America, fosse stato portato di nascosto a Berlino e appositamente fatto trovare per depistare le indagini sugli altri nazisti fuggiti dalla Germania prima della fine della guerra tramite l'organizzazione ODESSA. Ad ogni modo le ossa vennero cremate e le ceneri disperse nel mare nel 2000, in acque internazionali. Nel 1973, tuttavia, lo scrittore Ladislas Farago dichiarò di aver visitato Bormann in un ospedale boliviano e di aver discusso con lui per alcune ore. Farago segnalò numerosi particolari utili al rintracciamento e all'identificazione di Bormann, che però scomparve prima di poter effettuare una ricerca approfondita.
Nell'agosto del 1993 fonti del governo paraguayano sostennero che Bormann sarebbe morto ad Asunción e sepolto in una fossa comune. I dubbi vennero sciolti nel maggio 1998, quando le analisi del DNA di uno dei due scheletri ritrovati nel 1972 stabilirono che si trattava del gerarca nazista.

Onorificenze

Medaglia Commemorativa del 9 novembre 1923 detta Ordine del Sangue
Insegna d'Oro del Partito Nazional Socialista dei Lavoratori Tedeschi

fonte Wikipedia