lunedì

John Dillinger


John Herbert Dillinger è stato un criminale statunitense, rapinatore di banche attivo durante il periodo della grande depressione.
Nella cultura popolare viene rappresentato come un gangster americano vestito impeccabilmente, che imbraccia un mitra Thompson.
John Dillinger cominciò la sua carriera di rapinatore il 6 settembre 1924, a vent'anni, quando rapinò la drogheria vicino casa propria, a Mooresville, nell'Indiana. Arrestato e rilasciato grazie all'intercessione della matrigna, John continuò sulla cattiva strada fino ad arrivare ad altre rapine, ben più pesanti, che gli costarono un nuovo arresto in quel di Dayton, nell'Ohio, dal cui carcere fu trasferito nella prigione di Michigan City, da dove fuggì in combutta con alcuni uomini della sua gang. Tornato alle rapine, John Dillinger rimase impresso alle vittime di tali crimini per la foggia elegante dei suoi abiti, il cappello in stile e la qualità del suo cappotto di alta sartoria: il suo stile fascinoso, infatti, contribuì non poco a fare di lui un mito. Considerato dall'FBI e dal suo direttore J. Edgar Hoover il nemico pubblico n. 1, Dillinger si guadagnò la fama di moderno Robin Hood del crimine quando, al termine delle abituali rapine, immedesimandosi perfettamente in quegli anni di grave crisi economica, prese l'abitudine di dare alle fiamme i registri contabili su cui erano annotati i debiti e le ipoteche delle persone in difficoltà economiche, riuscendo ad attirare su di sé la riconoscenza di tanti clienti a corto di denaro e la simpatia di buona parte dell’opinione pubblica. Nonostante la sua verve ed il suo stile mai troppo brutale, però, verso la fine della sua "epopea", isolato dalla malavita, che temeva di attirare su di sé l'attenzione della polizia, ma isolato anche grazie ai metodi innovativi di ricerca dell'FBI, Dillinger si alleò con la gang di un altro noto criminale dell'epoca, cioè "Baby Face" Nelson, che era ben più rude e privo di scrupoli di Dillinger (e che assieme a lui arrivò a dividersi la fama di "nemico pubblico") per operare nuove rapine e rimpolpare le casse della sua gang.


Taglia su John Dillinger

Negli anni trenta, pur di far perdere le sue tracce, Dillinger tentò persino di cancellare le proprie impronte digitali con l'acido ma il cerchio che gli si stava stringendo attorno non si fermò dal chiudersi.
A Tucson, nel marzo 1934, fu infatti arrestato in un hotel, assieme a buona parte della sua gang, grazie a circostanze fortuite, ma il 3 marzo 1934 evase ancora, stavolta dalla prigione di Crown Point, nell'Indiana, dove era stato rinchiuso (e dove fu immortalato in alcune famose foto che lo ritrassero ironicamente abbracciato al direttore del carcere) arrivando a scatenare un vero e proprio caso politico nazionale.
Purtroppo per lui la fuga momentanea non fu foriera di salvezza perché per scappare John Dillinger prese in ostaggio alcuni agenti e rubò la vettura del direttore del carcere (pare fischiettando canzonette) con la quale varcò il confine dello stato dell'Indiana. Così facendo, infatti, Dillinger commise un reato federale, cosa che permise all'FBI (forte di una nuovissima legge sul furto d'auto varata dal Congresso americano) di intervenire e quindi, dopo 4 mesi dalla sua fuga, riacciuffarlo. Dillinger fu identificato e ucciso a tradimento con cinque colpi d'arma da fuoco da alcuni agenti dell'FBI mentre si trovava all'esterno di un cinema di Chicago, dal quale usciva assieme alle prostitute Polly Hamilton e Ana Cumpanas dopo aver assistito alla proiezione del film poliziesco Manhattan Melodrama con Clark Gable (che è un film di gangster). John Dillinger morì il 22 luglio 1934, quando aveva appena 31 anni.
A tradirlo fu proprio Ana Cumpanas, conosciuta nell'ambiente dell'epoca anche come Anna Sage ed in seguito nota come la "Donna in Rosso" (per via del colore sgargiante dell'abito indossato per farsi riconoscere dalla polizia), la quale passò ai servizi segreti le informazioni cruciali utili per incastrare il criminale in cambio della sua permanenza in America (onde evitare, quindi, l'espulsione in Romania, sua terra natale, senza per altro riuscirvi, visto che l'espulsione fu poi confermata).
Partecipò all'agguato decisivo anche Melvin Purvis, giovane G-Man nominato in prima persona da J. Edgar Hoover per coordinare le ricerche di Dillinger assieme agli uomini del nuovo FBI, tra cui l'esperto investigatore Charles Winstead. Lo stesso Melvin Purvis, infine, lasciò l'FBI solo un anno dopo la morte di Dillinger e morì a causa di un colpo partito accidentalmente dalla propria pistola nel 1960, anche se non si esclude però la possibilità che si sia suicidato.
Nonostante la sua morte prematura e la sua vita criminale, John Dillinger, rapinatore fascinoso ed elegante, è rimasto noto nell'immaginario collettivo come una sorta di eroe popolare dell'America della grande depressione. Negli Stati Uniti esiste anche un museo a lui dedicato.
Il regista cinematografico italiano Marco Ferreri ha girato nel 1969 un film che lo cita nel titolo e nei contenuti: Dillinger è morto.

fonte: Wikipedia

domenica

Robert Stroud


Robert Franklin Stroud è stato un criminale statunitense. Noto come il Birdman of Alcatraz (L'ornitologo di Alcatraz), Stroud si guadagnò questo soprannome ad Alcatraz perché ammirava sempre gli uccelli. Si dice che tenesse degli uccelli al penitenziario di Leavenworth (Kansas) finché non fu trasferito ad Alcatraz.

Primi anni

Robert Stroud nacque a Seattle, Washington da Elizabeth e Ben Stroud, immigrati di nazionalità tedesca (la madre) e austro-ungherese (il padre). Robert fu il primogenito della coppia, anche se la madre aveva già due figlie da un precedente matrimonio. Nel 1903, all'età di 13 anni, fuggì da casa. Nel 1908, si stabilì nella città di Cordova, Alaska dove incontrò e iniziò una relazione con la trentaseienne Kitty O'Brien, una ballerina e prostituta. A novembre, si trasferirono assieme a Juneau.

Arresto, processo e imprigionamento

Secondo la versione di Stroud, il 18 gennaio 1909, mentre era al lavoro, un loro conoscente, tale F. K. "Charlie" Von Dahmer picchiò la sua compagna Kitty. Quella notte, Stroud affrontò Von Dahmer, ne nacque una colluttazione e lo uccise con un colpo d'arma da fuoco. Secondo la polizia la donna dopo essere arrivata a Juneau aveva continuato a prostituirsi. Stroud fu arrestato più tardi e gli fu trovato il portafoglio di Von Dahmer in tasca. Nonostante la madre Elisabeth ricorresse ai servizi di un avvocato per il processo, il 23 agosto 1909 Stroud fu condannato per omicidio colposo alla pena di 12 anni da scontarsi nel penitenziario federale sull'Isola di McNeil.

La vita di prigione

Mentre era in prigione Stroud aggredì un inserviente dell'infermeria che lo aveva denunciato alla direzione perché gli aveva chiesto di ottenere della morfina tramite minacce ed in seguito pugnalò un detenuto, che era coinvolto nel contrabbando di narcotici. Il 5 settembre 1912, Stroud fu condannato a sei mesi supplementari per l'assalto e fu trasferito dall'Isola di McNeil al penitenziario federale di Leavenworth (Kansas). Al penitenziario venne a trovarlo dopo otto anni il fratello. Quando gli fu vietato di ricevere la visita della madre Stroud pugnalò ed uccise una guardia carceraria, Andrew Turner, il 26 marzo 1916. Fu condannato a morte per impiccagione, con ordine di attendere l'esecuzione in isolamento, ma il processo fu invalidato. In un secondo processo fu condannato all'ergastolo, ma anche quel giudizio fu annullato dalla Corte Suprema. Il 28 giugno 1918, con un terzo processo, Stroud fu nuovamente condannato a morte. La Corte Suprema intervenne e il 23 aprile 1920 sospese l'esecuzione. A questo punto, la madre di Stroud si appellò al presidente Wilson e a sua moglie, e la condanna a morte fu commutata in ergastolo. Il direttore di Leavenworth, T. W. Morgan, che non approvava tale decisione, ordinò che Stroud venisse tenuto in isolamento per tutta la durata della pena.

Alcatraz

Stroud fu trasferito al famigerato penitenziario di Alcatraz il 19 dicembre 1942. Là trascorse sei anni in segregazione e gli fu permesso di accedere alla biblioteca della prigione, dove cominciò a studiare legge. Stroud scrisse e pubblicò due libri: un'autobiografia e un trattato sulla vita in prigione. Nel 1959, gravemente ammalato, fu trasferito al Centro Medico per prigionieri federali di Springfield nel Missouri. Tutti i suoi tentativi di essere liberato, basati sulle sue condizioni di salute e sulla estrema crudeltà di una detenzione così lunga, non ebbero successo e il 21 novembre 1963, Robert Franklin Stroud morì al Centro Medico di Springfield, all'età di 73 anni dopo 54 anni di reclusione dei quali ben 42 in segregazione. Nell'ultimo periodo della sua vita Stroud si dedicò allo studio del francese. Robert Stroud è seppellito a Metropolis, Illinois (Contea di Massac).

Il libro e il film

Stroud divenne protagonista di un libro del 1955, di Thomas E. Gaddis, Birdman of Alcatraz, il quale ispirò il film del 1962 di John Frankenheimer intitolato appunto L'uomo di Alcatraz.

fonte: Wikipedia

Pietro Caruso

è stato un funzionario italiano, questore fascista di Roma durante l'ultima parte della seconda guerra mondiale sino al 4 giugno 1944, condannato a morte dall'Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo.
Figlio del Prof. Cosimo Caruso e di Giuseppina Pisanti, è ultimo di cinque figli. All'età di otto anni fu mandato nel Collegio di San Lorenzo ad Aversa. Acquisito il Diploma di Istituto Tecnico nel 1917, frequentò il corso da allievo ufficiale di complemento (tenuto presso il Palazzo Reale di Caserta) facendo parte della terza compagnia comandata dal Tenente Mercuri. Conseguito il grado di aspirante, fu assegnato a un reggimento di bersaglieri e partì per il fronte nella metà dell'anno 1918, poco prima il termine della prima guerra mondiale.
Nell'immediato dopoguerra fu vittima di una truffa intentata nei suoi confronti da tali avvocato Vincenzo Albano e ingegnere De Falco, che gli fece perdere la somma (allora considerevole) di 70.000 lire. Nonostante la condanna di uno dei truffatori, non riuscì a recuperare il denaro perso, motivo per il quale contrasse una forma di malattia nervosa da stress che gli causò anche un'alopecia da cui, in seguito, guarì. Pietro Caruso si iscrisse al Partito Nazionale Fascista sin dal 1º febbraio 1921 e partecipò alla marcia su Roma il 28 ottobre 1922: apparteneva alla squadra d'azione "la Serenissima" a Napoli, allora comandata da Mancuso.
Il 3 marzo 1923 diviene capomanipolo delle camicie nere e successivamente passo alla milizia portuaria a Napoli sino alla 1933 quando a seguito di presunti ammanchi (per i quali fu istruito anche un procedimento penale) fu trasferito a Trieste ove rimarrà sino al gennaio 1944, raggiungendo il grado di primo seniore. Nel 1944 fu nominato questore a Verona rimanendo con questa carica nella città solo una quindicina di giorni, giusto il tempo necessario per dirigere l'ordine pubblico in occasione della fucilazione dei membri del Gran Consiglio condannati a morte dal tribunale speciale. Egli tuttavia non partecipò all'esecuzione anche se vi assistette in qualità di questore.
Fu successivamente nominato Questore di Roma e il primo giorno in cui assunse le funzioni (2 febbraio del 1944) gli fu ordinato di recarsi a dirigere un rastrellamento: non riconosciuto fu lui stesso fermato, trasportato in caserma e rilasciato dopo due ore. Quando si insediò alla Questura di Roma constatò che i rapporti tra le Autorità Italiane e i tedeschi erano di assoluta subordinazione e non di collaborazione in quanto «essi [i tedeschi, n.d.r.] impartivano ordini tassativi ai quali non ammettevano repliche o discussioni di sorta». Pietro Caruso (come risulta dagli atti del suo processo) trovò che già funzionavano in Roma le squadre speciali per la repressione dell'antifascismo di Pietro Koch e di Giuseppe Bernasconi. Tali squadre, sempre secondo quanto dichiarato da Pietro Caruso, non avevano alcun rapporto di subordinazione con la Questura di Roma anzi agivano in modo autonomo senza rendere conto alcuno degli arresti e delle requisizioni da esse eseguite.
Pietro Caruso ebbe a lamentarsi con il Capo e con il Vice Capo della Polizia del modus operandi di tali formazioni. Il 23 marzo 1944 Pietro Caruso si trovava presso i locali della federazione repubblicana fascista sita in Via Veneto e appena saputo dell'attentato di via Rasella si recò sul luogo dell'attentato dove, peraltro, fu violentemente redarguito dal Generale Kurt Maeltzer. Un milite portuario che gli faceva da scorta in automobile, mentre risaliva in Via Quattro Fontane, rimase ucciso da un colpo d'arma da fuoco sparato dai tedeschi.
Pietro Caruso, dopo l'attentato di via Rasella fu chiamato da Herbert Kappler a redigere un elenco di 80 persone da giustiziare che fu ridotto, dopo le sue rimostranze, al numero di 50. Il Caruso ebbe a dichiarare, nell'udienza del 20 settembre 1944, che a tale ordine si oppose dicendo che non vi poteva incondizionatamente aderire e che ne avrebbe dovuto parlare con il Ministro degli Interni che sapeva essere a Roma. Sempre secondo le sue dichiarazioni rese durante il processo, Pietro Caruso il 24 marzo a mattina si sarebbe recato all'Hotel Excelsior di Roma per conferire con il Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi al quale avrebbe detto «Io mi rimetto a voi», con la speranza che il Ministro avesse provveduto direttamente con Herbert Kappler.
Il Ministro avrebbe tuttavia risposto «Che cosa posso fare? Bisogna che tu glieli dia se no chissà cosa succede. Sì, sì, dalli». Tali dichiarazioni trovano riscontro nella sentenza di condanna a morte pronunciata dall'Alta Corte di Giustizia per le sanzioni contro il fascismo, dove si si legge «il Caruso che pur ebbe a sentire la repugnanza di quanto gli si chiedeva, ritenne di conferire nelle prime ore del giorno con il Ministro degli Interni Guido Buffarini Guidi, alloggiato all'Albergo Excelsior il quale, ancora a letto, gli avrebbe, a suo dire, dichiarato che non era possibile non ottemperare alle pretese tedesche». Sempre nell'udienza del 20 settembre 1944 il Caruso, durante la sua deposizione ebbe a dichiarare di non aver preparato lui direttamente la lista delle persone da giustiziare, lista peraltro in parte redatta da Pietro Koch e che per completarla dette incarico al Capo di Polizia Ferrara sostenendo di non conoscere nessuno dell'elenco a eccezione di Maurizio Giglio.
Herbert Kappler, il comandante tedesco della Gestapo di Roma, organizzò l'eccidio delle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, come ritorsione per l'attentato di via Rasella del giorno prima compiuto da partigiani comunisti dei GAP contro una colonna di soldati tedeschi. Alle Fosse Ardeatine i nazisti assassinarono e trucidarono 335 persone scelte tra ebrei, partigiani (molti dei quali appartenenti alla formazione "Bandiera Rossa") o semplici sospetti. Nella sua deposizione al processo, come teste dell'accusa, il Professore Attilio Ascarelli confermò che le salme esumate furono effettivamente 335. Domenica 4 giugno 1944, mentre gli anglo-americani si apprestavano a entrare in Roma il Caruso, alla guida di una autocolonna, scappava verso nord, con una Alfa Romeo carica d'oro, di gioielli, 5 orologi "a saponetta" da uomo, molte sterline e lire.
La vettura di Caruso perse il contatto con la colonna a causa delle ripetute incursione aeree alleate, perdendosi nella zona del lago di Bracciano. Ritrovata la strada per Firenze, a seguito di nuovi mitragliamenti aerei, per evitare un'auto tedesca urtò contro un albero. Pietro Caruso (insieme a un milite) rimase ferito riportando una lussazione del femore. Un'ambulanza tedesca lo trasportò all'Ospedale di Viterbo dove Pietro Caruso, nonostante avesse un documento falso, fornì le sue vere generalità. Nessuno fece caso all'identità del ferito a eccezione di un avvocato romano, casualmente presente, che lo riconobbe. Dopo aver subito un intervento chirurgico, vanamente Pietro Caruso, anche offrendo denaro e gioielli, chiese di essere trasportato al nord. Lasciato solo, fu arrestato dai partigiani e fu tradotto, dopo una breve degenza presso l'Ospedale di Bagnoregio, a Regina Coeli.


Donato Carretta, accusato da una donna nel corso del processo contro Caruso

Durante il processo, il pubblico tenterà di linciarlo, ma non riuscendoci se la prenderà con Donato Carretta, ex direttore del carcere di Regina Coeli, presente in aula come testimone per l'accusa e che sarà gettato a morire nel Tevere e successivamente appeso a testa in giù all'entrata di Regina Coeli. Il processo sarà breve (20 e 21 settembre 1944) e Pietro Caruso venne condannato a morte per fucilazione alla schiena. Durante il processo l'avvocato difensore di fiducia Francesco Spezzano cercherà di porre all'attenzione della Corte i problemi psichici presenti nella famiglia di Pietro Caruso senza, però, mai chiedere una perizia psichiatrica.
Poi scriverà un'ultima lettera alla moglie e invierà una copia del De Vita Christiana di Sant'Agostino alla figlia con la seguente dedica: «A te figlia mia bella e dolcissima questo libro di consigli e di preghiere che mi hanno fatto affrontare con serenità e con la fede in Cristo anche l'estremo supplizio. Dio ti benedica. Roma 22 settembre 1944». Sarà giustiziato il 22 settembre 1944 nel cortile del Forte Bravetta a Roma e pochi istanti prima della fucilazione Pietro Caruso "con voce ferma" grida «viva l'Italia» e «mirate bene». Oltre al Colonnello Pollock (in rappresentanza delle forze alleate) assistettero all'esecuzione il Consigliere di Corte d'Appello addetto all'Alta Corte, avv. Francesco De Scisciolo, e il Cancelliere dott. Bruno Moser, col medico delle carceri dott. Mario Spallone.

fonte: Wikipedia






sabato

Mario Roatta


Nel 1906 divenne sottotenente di fanteria. Dopo aver frequentato la scuola di guerra venne trasferito con il grado di capitano allo stato maggiore dell'esercito. Durante la prima guerra mondiale combatté sia sul fronte francese che su quello italiano; venne promosso nel 1917 a tenente colonnello, e decorato con tre medaglie d'argento al valore militare. Nel primo dopoguerra fu addetto militare presso le ambasciate italiane a Varsavia (1927-1931, con competenza su Riga, Tallinn ed Helsinki). Nel 1930 fu promosso colonnello.
A Varsavia, sempre all'inizio del 1930, Roatta compì un'analisi dei concetti di impiego tattico dello Stato Maggiore francese, entrando in stretto contatto con gli ufficiali superiori francesi che dirigevano la scuola di guerra polacca.
Dopo un periodo al comando dell'84º Reggimento "Venezia", nel 1934 divenne capo del Servizio Informazioni Militari, e vi rimase fino all'agosto 1939, anche se solo sul piano formale, poiché dal 1936 fu nominato comandante del Corpo Truppe Volontarie (CTV) italiane nella guerra civile spagnola, al fianco degli insorti nazionalisti guidati da Franco.
Il controllo effettivo del SIM era passato nelle mani del colonnello Paolo Angioy. Fu infatti, secondo risultanze giudiziarie, Roatta insieme ad Angioy, al colonnello Santo Emanuele ed al maggiore Roberto Navale l'ideatore del piano per uccidere i fratelli Rosselli e numerosi antifascisti che avevano trovato asilo in paesi vicini. Sia il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano che il suo capo di gabinetto Filippo Anfuso sarebbero stati a conoscenza dell'operazione. Nel frattempo Roatta divenne generale di brigata.
Nominato addetto militare a Berlino dal luglio al novembre 1939 seguì, con questa veste, la crisi di Danzica e lo scoppio della seconda guerra mondiale. Sempre da Berlino, ebbe competenza anche su Svezia, Danimarca, Finlandia e Lituania, e redasse quindi importanti e dettagliati rapporti sull'apparato militare degli Stati baltici a poche settimane dall'invasione sovietica. In un altro rapporto dell'ottobre, mise in evidenza i positivi risultati delle truppe corazzate e meccanizzate della Wehrmacht.
Tornato in Italia fu nominato sottocapo di stato maggiore nel 1940. Con questo incarico riuscì ad eludere i tedeschi nella preparazione dei piani di attacco a sorpresa della Grecia e della Jugoslavia. Dal 24 marzo 1941 fino al gennaio 1942 fu capo di stato maggiore. Il 18 marzo 1942 venne nominato comandante della 2a Armata in Croazia dove ordinò nella guerra partigiana di "...applicare le sue disposizioni senza false pietà", dando così inizio ad una vera e propria azione di terrore contro i civili che davano supporto logistico alle bande partigiane. Applicando la circolare 3C dove si diceva di applicare il criterio della Testa per dente, vennero devastati numerosi villaggi e trucidati circa l'1% della popolazione slovena.
Il 5 febbraio 1943 venne posto al comando della 6a Armata in Sicilia, mentre il 1º giugno venne nuovamente nominato capo di stato maggiore, carica che mantenne fino al 12 novembre 1943, quando venne destituito da ogni incarico.

Il Governo Badoglio

Con l'insediamento del nuovo governo retto da Badoglio, Roatta conservò la sua carica di capo di stato maggiore dell'esercito. Toccò a lui, durante il difficile periodo dei 45 giorni, reprimere le manifestazioni per la fine del regime, attraverso la cosiddetta "circolare Roatta" in cui si dava ordine alle forze armate e alle forze dell'ordine di intervenire, anche con la forza, nella repressione di ogni manifestazione.
« ...poco sangue versato inizialmente risparmia fiumi di sangue in seguito. Perciò ogni movimento deve essere inesorabilmente stroncato in origine....muovendo contro gruppi di individui che perturbimo ordine o non si attengano prescrizioni autorità militare, si proceda in formazione di combattimento e si faccia fuoco a distanza, anche con mortai e artiglieria senza preavviso di sorta, come se si procedesse contro truppe nemiche. »
(La circolare diffusa da Roatta)
Fu in seguito a questi ordini di Roatta che nei cinque giorni successivi al 25 luglio 1943 si ebbero, negli scontri, 93 morti, 536 feriti e 2.276 arresti.
Il 9 settembre 1943 come molti ufficiali del suo rango lasciò Roma insieme al Re Vittorio Emanuele III e a Badoglio, imbarcandosi sulla corvetta Baionetta, che lo portò nelle retrovie Alleate del sud Italia. Fu accusato per la mancata difesa di Roma, città di cui era responsabile e che era stata rapidamente occupata dalla Wehrmacht tedesca.

Il processo per "crimini di guerra" e per la "Mancata difesa di Roma"

Il 16 novembre 1944 fu arrestato nel corso delle indagini della Commissione d'inchiesta per la mancata difesa di Roma, poi nel 1945 fu chiamato in giudizio dall'Alto Commissariato per la punizione dei delitti fascisti per l'omicidio dei fratelli Rosselli.
Il 4 marzo 1945, alla vigilia del giorno previsto per il deposito delle conclusioni della commissione d'inchiesta, evase dall'ospedale militare presso il Liceo Virgilio, probabilmente grazie alla complicità del servizio segreto britannico e del generale Taddeo Orlando, comandante generale dell'Arma e già subalterno di Roatta in Croazia, raggiunse prima il Vaticano e poi, con la moglie, la Spagna, dove fu protetto dal governo di Francisco Franco. Immediata fu la reazione popolare e le manifestazioni, durante le quali morì, in circostanze non precisate, il tappezziere Pietro Gualdani. Manifestazioni alimentate dalle polemiche posizioni di socialisti ed azionisti (Saragat scrisse che "il suo silenzio era d'oro per molte persone") che accusavano gli ambienti dell'esercito di proteggere i fascisti. Il giorno successivo Orlando fu destituito.
La settimana dopo la fuga, fu condannato all'ergastolo per quanto emerso circa la mancata difesa di Roma, ma la commissione gli attribuì responsabilità riguardanti anche la disfatta dell'8 settembre nel suo complesso. Poté giovarsi dell'amnistia del 1946 e di quella definitiva del 1953. Al termine dell'iter giudiziario fu prosciolto e la sentenza annullata nel 1948.
Ritornò dalla Spagna solo nel 1966 e morì a Roma nel 1968. Prima di morire scrisse un famoso memoriale difensivo: Sciacalli addosso al SIM (Roma 1955).

Le responsabilità imputategli

di aver proceduto su ordine di Mussolini allo sterminio del popolo sloveno;Le accuse mosse al generale Roatta erano:
  • quale principale responsabile, nella sola provincia di Lubiana, della fucilazione di circa 1.000 ostaggi, della uccisione proditoria di 8.000 persone, dell'incendio di 3.000 case, dell'internamento di 35.000 persone, della distruzione di 800 villaggi, della morte per fame nel campo di concentramento di Arbe di 4.500 persone;
  • di aver infranto disposizioni della Convenzione internazionale dell'Aja relativa ai prigionieri, ai feriti e agli ospedali;
  • di aver disposto la fucilazione di partigiani fatti prigionieri e di ostaggi, di internare i componenti di intere famiglie e villaggi e di consegnare i civili in massa ai tribunali militari;
  • di aver disposto che i civili fossero ritenuti responsabili di tutti gli atti di sabotaggio commessi nelle vicinanze della loro abitazione e che per rappresaglia si potesse sequestrare il loro patrimonio, distruggere le loro case e procedere al loro internamento;
  • di aver disposto di consegnare ai tribunali militari i partigiani catturati feriti, le donne e gli uomini inferiori ai 18 anni e di fucilare sul posto tutti gli altri partigiani caduti prigionieri.
Mentre le responsabilità morali ed oggettive imputate a Roatta dall'Italia sono:
  • l'aver messo a disposizione del regime uno strumento militare quale era il SIM, sviandolo dai suoi compiti di istituto con la caccia ed eliminazione dei capi antifascisti;
  • il non avere infine saputo affrontare con responsabilità e capacità di comando i difficili momenti che sono andati dal 25 luglio all'8 settembre 1943, compresa la mancata difesa di Roma.
Di contro, in base a diverse testimonianze di ebrei croati sopravvissuti, si è ricostruito che la 2a Armata italiana, con Roatta e i suoi ufficiali superiori, si prodigò nel garantire salvezza tra il 1942 e il 1943 alle comunità ebree di Dalmazia ed a quelle che sfuggivano al genocidio perpetrato dagli ustascia croati e dai nazisti nella zona di occupazione tedesca. Roatta diede rifugio, distribuì generi di prima necessità e cure, permise ai bambini di continuare i propri studi. Lo stesso vale per le minoranze serbe nella zona di occupazione italiana. La 2a Armata decise in più occasioni di proteggere i villaggi serbi e la popolazione ortodossa dai massacri croati. Bande di cetnici furono persino armate dagli italiani ed inquadrate come forze ausiliarie. Analoghe testimonianze provengono dagli archivi tedeschi i quali sostengono che le truppe al comando di Roatta si interposero spesso tra gli ustascia e le comunità in pericolo. Ciò nonostante truppe italiane, dietro suo ordine diretto o raccomandazione generale, fucilarono prigionieri partigiani, rifiutarono la resa ad alcuni reparti titini, torturarono nazionalisti e comunisti presi prigionieri, giustiziarono sbandati, applicarono le feroci logiche della rappresaglia, prelevarono ostaggi tra la popolazione civile, e fecero terra bruciata dei villaggi che davano ricovero ai partigiani. Quello che Roatta intendè sempre impedire fu la violenza indiscriminata e razzista di una popolazione contro l'altra, fermo restando che non fu mai contrario alla pulizia etnica della Dalmazia occupata dagli italiani

fonte: Wikipedia

Cesare Lombroso


Marco Ezechia Lombroso, che successivamente cambiò nome in Cesare, è stato un medico, antropologo, criminologo e giurista italiano, di origine ebraica, considerato pioniere e "padre" della moderna criminologia. Esponente del Positivismo scientifico, è stato uno dei pionieri degli studi sulla criminalità, fondando l'antropologia criminale. Il suo lavoro è stato fortemente influenzato dalla fisiognomica, dal darwinismo sociale e dalla frenologia.
Le sue opere si basano sul concetto del criminale per nascita: l'origine del comportamento criminale è insita nelle caratteristiche anatomiche del criminale, persona fisicamente differente dall'uomo normale in quanto dotata di anomalie ed atavismi, che ne determinano il comportamento criminale. Di conseguenza, l'unico approccio utile nei confronti del criminale è quello clinico-terapeutico. Nell'ultima parte della sua vita Lombroso prese in considerazione anche i fattori ambientali, educativi e sociali come concorrenti a quelli fisici nella determinazione del comportamento criminale.
Oggi è stato dimostrato che sia l'ambiente sia i geni influiscono sull'aspetto fisico, ma che quest'ultimo non influisce sul comportamento, influenzato anch'esso dai geni o dall'ambiente: pertanto la dottrina lombrosiana è attualmente considerata pseudoscientifica.
Sebbene molte teorie di Lombroso siano oggi destituite di ogni fondamento, a Lombroso va riconosciuto il merito di aver iniziato gli studi criminologici moderni; ad alcune sue ricerche, si ispirarono inoltre Sigmund Freud e Carl Gustav Jung per alcune teorie della psicoanalisi applicata alla società. Le sue teorie razziste sono alla base dell'ideale nazista e della sciagura che ancora si perpetra nel decaduto Regno delle due Sicilie.
Suoi figli furono Paola Lombroso Carrara, antropologa e scrittrice per l'infanzia, Gina Lombroso, scrittrice e medico, e Ugo Lombroso, fisiologo.
Secondo Luigi Bulferetti le origini della famiglia dei Lombroso vanno ricondotte alle migrazioni della popolazione ebraica e dei moriscos avvenute nel periodo compreso tra il Quattrocento ed il Seicento.
Il padre, Aronne Lombroso, era un ricco commerciante veronese, sua madre si chiamava Zeffora (o Zefira) Levi ed era una donna di religione ebraica originaria di Chieri, in provincia di Torino.

Studi universitari

Il giovane Cesare scelse di seguire gli studi della facoltà di medicina, sebbene la madre preferisse per lui quelli giuridici per vari motivi, tra cui l'esempio di Francesco Marzolo (la cui concezione intrecciava storiografia e fisiologia nel sostenere fondamentalmente la centralità della lingua nella storia), inoltre l'affiorare dell'elemento filosofico e della riflessione, nonché dell'ethos dettato dalla morale moderata e repubblicana del tempo. Scelse l'Università di Pavia, in quegli anni rappresentata da Bartolomeo Panizza che aveva formulato lodevoli comparazioni tra l'ambito anatomico e quello fisiologico nel corso dei suoi studi, e da Luigi Porta che aveva esteso all'anatomia patologica nonché alla fisiopatologia sperimentale il fine e l'utilizzo della chirurgia.
Nel 1852 all'inizio degli studi si scopre sorprendentemente entusiasta della sua indipendenza, delle nuove amicizie e dell'abbondanza di materiale a cui attingere per i suoi studi, che interessavano materie quali, all'inizio l'anatomia, la storia naturale e la botanica. Studiò sui testi dei personaggi più importanti di quel tempo quali il mineralogista e zoologo Gian Maria Zendrini, Giuseppe Balsamo Crivelli (scopritore del fungo parassitario patogeno del "mal del calcino", la Batys Bassiana), il Panizza stesso ed il botanico Giuseppe Moretti, muovendo dal concetto, dominante all'epoca, dell'"unità della Natura" (come insieme di viventi e non viventi in senso sistematico e sincronico) a cui si rifaceva il Nostro, parlando, ad esempio, nel 1853 nel Di un rapporto fisiologico comune ad alcuni neurotteri ed imenotteri, discettazione pubblicata in concomitanza con la fine del suo primo anno di studi.

Carriera

Compiuti gli studi universitari a Pavia, Padova e Vienna, partecipò come medico militare alla campagna contro il brigantaggio successiva all'unificazione italiana. Incaricato di clinica psichiatrica e di antropologia a Pavia, svolse ricerche sul cretinismo e sulla pellagra. Fu poi direttore del manicomio di Pesaro e ordinario di medicina legale nel carcere di Torino dove studiò i detenuti e i loro cadaveri per convalidare le sue teorie sull'uomo delinquente.

Il primo insegnamento

Dopo il trasferimento dall'ospedale di Genova a quello divisionario di Pavia sembrò ormai raggiungibile l'obiettivo di avviare un insegnamento clinico importante; così, nonostante le riserve a causa dell'ostacolo di disporre di un reparto di malati per lo studio pratico della clinica delle malattie mentali, al Lombroso venne richiesto l'insegnamento in un corso libero e gratuito, a partire dal 6 dicembre del 1862. Dopo poco tempo anche la principale difficoltà logistica venne appianata grazie all'intervento del rettore (il Cantoni) che, dopo aver in prima istanza acconsentito all'istituzione di un corso di quella materia, in seguito si interessò anch'egli alla stessa, come è documentato dalla corrispondenza tra lui ed il Lombroso. Successivamente le cose migliorarono per il nostro. Infatti, il direttore dell'ospedale comunale di Sant'Eufemia (lo Zanini) si adoperò per venire incontro alle esigenze del neo-insegnante, mettendo a disposizione sua e dei suoi allievi il reparto degli 'alienati maschi', di 15 posti letto, per tutto il tempo del corso teorico, in modo tale da affiancare alla teoria la clinica, a condizione che il docente si comportasse come un primario dell'ospedale.
Così alla fine di luglio si concluse il primo corso, come testimoniato dall'attestato rilasciato al docente in data 4 luglio, onde testimoniarne "la di lui somma diligenza ed il distinto suo zelo". Altra testimonianza del buon esito dal punto di vista intellettuale di questa prima prova del Lombroso può essere la pubblicazione ne L'appendice psichiatrica, il 4 maggio, della 'Prelezione al corso di clinica delle malattie mentali', ovvero la pubblicazione della prima lezione del corso, tenuta dal Lombroso, sulla 'Gazzetta medica italiana, Lombardia' del primo giugno. In questi documenti è palese la passione ed il profondo interesse scientifico del nostro per la scienza,e per la scienza medica psicologica in particolare, per via della complessità stessa della materia, per il decorso così differente delle malattie mentali dalle altre patologie, per la difficoltà nella diagnosi, impossibile da formulare basandosi univocamente sul fattore scientifico, e per la molta incertezza e sperimentalità dei metodi curativi.
Tuttavia, oltre all'interesse propriamente scientifico, il Lombroso ha sempre convissuto con la passione per la storia e soprattutto per lo storicismo, al punto da integrare queste due costanti dei suoi studi nello studio clinico dell'"intelligenza" a favore del quale spezzava una lancia allo scopo di approfondire la conoscenza della fisiologia del pensiero, attraverso lo studio dei neoplasmi e della formazione del callo (approfondimento istologico dei tessuti). Nondimeno l'influenza della psiche stessa all'interno delle varie patologie ed in relazione ai diversi pazienti; una differenziazione che potrebbe ricordare vagamente quella che sarà la futura metodologicità freudiana, sebbene siano molti gli elementi dissonanti tra questi due personaggi, nonché vasto l'intervallo temporale. Fulcro del metodo del Lombroso era la cosiddetta 'pura psicologia', indispensabile, a suo avviso, per spiegare fenomeni quali le allucinazioni ed i fenomeni dell'"idea", riconducendo a sub specie historica le varie forme di malattia, in una concezione che faceva del 'manicomio' un compendio evidentissimo dello sviluppo umano, quasi un campionario storico, dalla 'tabula rasa' del selvaggio, sino ai lampi di genio della follia. Nel 1898 inaugurò a Torino un museo di psichiatria e criminologia (più tardi chiamato "di antropologia criminale").
Il museo, per lungo tempo chiuso al pubblico (la collezione costituita da migliaia di pezzi tra reperti anatomici, manufatti e scritti di criminali ed alienati, reperti probatori, armi proprie ed improprie, strumenti scientifici, documenti e fotografie, ecc. era parzialmente accessibile soltanto per motivi di studio e di ricerca) è stato inaugurato di nuovo il 26 novembre 2009 e nuovamente aperto al pubblico. L'odierno allestimento è opera dell'architetto Massimo Venegoni.

Il primo caso

Dopo il 1870, data assunta come inizio del 'periodo pesarese', e dopo gli studi condotti sulla pellagra, il Lombroso si concentrò più propriamente sullo studio dell'antropologia, dei pazzi e dei criminali, giacché in questi gli sembrava di rinvenire maggiormente le 'stigmate del primitivismo'. Il primo caso che si trovò ad esaminare fu quello del brigante Giuseppe Villella, settantenne, datosi alla macchia nei monti. L'autopsia del Villella, probabilmente una di quelle che più si impressero nella mente del Lombroso, evidenziò alla base del cranio la fusione congenita della parte corrispondente dell'occipite con l'atlante, ed altre caratteristiche anomale, quali ad esempio la mancanza della cresta occipitale interna, la deformazione della cresta mediana ed altre deformazioni delle ossa craniche, che spinsero il Lombroso a considerare che quelle peculiari caratteristiche ossee avessero avuto una certa qual influenza sull'attività del cervelletto; la probabilità dell'eziologia di queste anomalie poteva essere imputata ad un arresto allo stato fetale nello sviluppo del cervello, considerazione evidentemente embriogenetica che mise il Lombroso sulla strada che accostava l'analisi evoluzionistica alla medicina legale applicata alle patologie, attraverso un iniziale confronto con i primati.
Infatti il trovare negli uomini la fossa mediana, di norma presente solo in primati e gorilla, suscitava l'ipotesi che fosse presente un nesso tra l'evoluzione naturale della specie ed i comportamenti del singolo all'interno del contesto sociale. Un primo accenno di ricerca in questo senso si può ricondurre all'anno 1869 in cui studiosi inglesi avevano riscontrata la capacità cranica dei delinquenti minore di quella dei pazzi, ed anno in cui il Golgi stesso studiava le relazioni eziologiche tra delitto e pazzia. Fu così che nacque la 'convinzione atavica' avallata da un secondo caso, quello del contadino Vincenzo Verzeni, omicida ed antropofago, che presentava caratteri atavici o d'involuzione, vale a dire di 'mancata evoluzione', che, secondo il Lombroso, avrebbero, in una certa qual misura, motivato le manifestazioni 'anomale' della sua condotta, derivanti, indipendentemente dall'atto di scelta volontaria e cosciente, direttamente da deviazioni della struttura fisica. Il problema che si presentò al Lombroso fu quindi quello di ridefinire alla luce di queste intuizioni e teorie il problema del delitto in termini di libero arbitrio e di responsabilità, ovvero di educazione, od addirittura di terapia. Le parole del Lombroso sono al riguardo vistosamente influenzate da un determinismo assoluto, derivante dal procedere delle indagini, preminentemente sperimentali, intrecciate con studi psichiatrici sia sulla pazzia sia sul cretinismo in genere, da cui prenderà corpo la 'teoria dell'uomo delinquente'.

La morte

L'autopsia di Cesare Lombroso

Dopo la morte di Cesare Lombroso, il suo corpo fu sottoposto ad autopsia. In base ai risultati di essa, si disse che Cesare Lombroso sarebbe stato da ritenere, secondo le sue stesse teorie, "affetto da cretinismo perpetuo".

Teorie

Il pensiero di Lombroso si può riassumere genericamente in una sua famosa frase: “il criminale è un essere atavistico che riproduce sulla propria persona i feroci istinti dell'umanità primitiva e degli animali inferiori

Genio e follia

All'inizio l'opera di Lombroso dovette combattere per sradicare i pregiudizi morali relativi alla delinquenza, ormai ben radicati nel substrato sociale. Infatti, la maggior parte dei contemporanei continuava a considerare i delinquenti unicamente colpevoli, reputando irrilevanti gli studi di Lombroso. Nonostante ciò la teoria dell'equivalenza epilettica del delitto (o meglio, della sua componente epilettica) guadagnava terreno, benché proclamata relativamente tardi (ma già individuabile in testi quali Genio e Follia e Du démon de Socrate (1836, del francese Lélut). L'interesse per il genio derivava anche da concezioni residue di stampo illuminista relativamente ad un'immagine della storia come 'catastrofica' (nel senso greco di catastrophè), caratterizzata da subitanei rivolgimenti dovuti a cause naturali o individuali (cioè i genii), teoria avallata dall'evoluzionismo emergente contemporaneo al Lombroso che tendeva a considerare a tal proposito i geni come una certa qual sottospecie di eroi.
In una pubblicazione di Lombroso al riguardo, Sulle malattie proprie degli uomini dati ai lavori intellettuali, è concepito il legame tra genio e follia, che aveva collegato a questi due fattori anche peculiarità fisiche riscontrate dal Lombroso nei pazzi. Nei vari manicomi in cui condusse le sue analisi, il Lombroso oltre a trovare le tare ed i difetti, le anomalie individuali, aveva trovato anche lampi di genialità e passione, coltivando ipotesi che per certi versi lo allontanavano un po' dalla teoria epilettica. Era stato molto colpito dalle idee dei pazzi, dai loro lavori ingegnosi e dai loro calcoli prodigiosi, continuando sulla strada secondo cui tra i pazzi abbonderebbero i fondatori di religioni e partiti, come, ad esempio, Lutero, Savonarola e Giovanna d'Arco. Le distrazioni dei genii erano ritenute dal Lombroso come momenti di assenza epilettica, così come le loro visioni notturne (in Dostoevskij, Maupassant, Musset), le malinconie (Voltaire, Molière, Chopin, Giusti), i tentativi di suicidio (Rousseau, Cavour, Chateaubriand), le megalomanie (Maometto, Colombo, Savonarola, Bruno), la timidezza (Leopardi), l'amore infantilistico (Dante, Alfieri, Byron).
Fisicamente il Lombroso asseriva la predominanza tra i geni di caratteristiche quali il pallore, la magrezza o l'obesità, l'essere rachitici, sterili o celibi, di cervelli per la maggior parte di volume superiore alla media e con deformità (come le suture anormali nel cranio di Volta); esistevano poi anche casi in cui i genii erano totalmente ed irreversibilmente pazzi, non soltanto in alcuni momenti o in manifestazioni latenti, si vedano gli esempi di Tasso, Gogol, Ampère, Kant e Beethoven. Tuttavia insieme a queste analisi caratteriali, il Lombroso sosteneva anche alcune teorie più opinabili, come ad esempio quella che le grandi variazioni barometriche e la canicola influenzerebbero la pazzia e le grandi scoperte o le osservazioni più acute (adducendo come esempi i casi di Malpighi e Galvani).
Dal 1876 divulgò la propria teoria antropologica della delinquenza nelle cinque successive edizioni de L'uomo delinquente, che successivamente espanse in un'opera in più volumi. Tra i massimi studiosi di fisiognomica, Lombroso misurò la forma e la dimensione del cranio di molti briganti uccisi e portati dal Meridione d'Italia in Piemonte, concludendone che i tratti atavici presenti riportavano indietro all'uomo primitivo. In effetti quella che sviluppò fu una nuova pseudoscienza che si occupava di frenologia forense. Egli dedusse che i criminali portavano tratti anti-sociali dalla nascita, per via ereditaria, cosa che oggi si considera del tutto infondata. Da notare che Lombroso aveva sviluppato la teoria dell'atavismo un anno prima della pubblicazione de L'origine delle specie di Darwin (1859).
Di fatto il suo lavoro nella prima metà del XX secolo venne strumentalizzato nel contesto dell'eugenetica e da certe forme di "razzismo scientifico". Lombroso sostenne sempre con forza la necessità dell'inserimento della pena capitale all'interno dell'ordinamento italiano. Riteneva infatti che se il criminale era tale per la sua conformazione fisica, non fosse possibile alcuna forma di riabilitazione, individuando in tal modo l'obiettivo cui il sistema penale doveva tendere per la sicurezza della società.
Alcuni degli studi più strani effettuati da Lombroso nel corso della sua vita di ricercatore furono La ruga del cretino e l'anomalia del cuoio capelluto, L'origine del bacio, Perché i preti si vestono da donne. Nel 1891 pubblica in collaborazione con Filippo Cougnet un libro intitolato Studi sui segni professionali dei facchini - Il cuscino posteriore delle ottentotte - Sulla gobba dei cammelli - Sulla gobba degli zebù e nel 1896 un lavoro su Dante epilettico. Un importante collaboratore "involontario" di Lombroso nei suoi studi fu Giuseppe Villella nato a Motta di Santa Lucia e morto presumibilmente a Pavia, pluripregiudicato per incendio e furto e sospettato di brigantaggio. È dallo studio autoptico del suo cadavere che Lombroso scopre la cosiddetta "fossetta occipitale mediana": l'anomalia della struttura cranica fonte, a suo dire, dei comportamenti devianti del "tipo criminale". Anche i resti di Lombroso sono conservati nel Museo di antropologia criminale "Collezione Lombroso" presso l'Istituto di medicina legale a Torino, per sue ultime volontà: l'intero scheletro in una teca e la testa priva di cranio, in formalina.
In un recente studio di antropometria, La vera storia del cranio di Pulcinella, il naturalista napoletano Dario David ha messo in luce che in un campione di individui abbastanza esteso, costituito da ex detenuti, confrontato con un campione di individui mai stati sottoposti a misure detentive, i tratti somatici del "delinquente" di Lombroso avevano percentuali significativamente diverse a seconda del quartiere di Napoli da cui proveniva il campione: 50% in alcuni zone popolari (Forcella, Sanità, Quartieri Spagnoli e soprattutto il Cavone), 12% in tutti gli altri quartieri. La causa più probabile, essendo i campioni provenienti da quartieri aree diverse della medesima città, sembra essere il fatto che quei tratti somatici si siano sviluppati in abbondanza in zone particolarmente chiuse e isolate (socialmente e geograficamente) dove la cristallizzazione di un dato carattere sia più facile.
In queste stesse zone vigeva un regime di povertà e abbandono da oltre 400 anni, e quindi vi era un maggiore rischio di insorgenza criminale (rispetto ad altri quartieri della stessa città). In un certo senso si può oggi parlare di "ragioni di Lombroso": la concomitanza tra caratteri somatici e comportamento umano potrebbe esistere, ma di certo non secondo il legame diretto causa-effetto, della teoria atavica, che fu ipotizzato dall'autore. Da un punto di vista metodologico e statistico i testi di Lombroso difettano per l'esiguità e la mancanza di bilanciamento dei campioni considerati, questo ad ulteriore danno della scientificità delle conclusioni ottenute.

I mattoidi

Negli individui definiti dal Lombroso 'mattoidi' si diversifica l'impulsività epilettica, rispetto agli accessi impulsivi e preminentemente contraddittori caratteristici dei criminaloidi. Questi soggetti vengono accostati al cosiddetto 'genio', caratterizzato dall'istantaneità creativa dell'ispirazione, dall'irresistibilità all'estro, dalle assenze e dall'amnesia, ricordando come caratteristica principale dell'intelletto geniale quella che il Lombroso definiva 'creazione incosciente' (non a caso accostata al fenomeno singolare dell'epilessia). La classe dei mattoidi era quella situata esattamente sul confine tra saviezza e follia, caratterizzata da una paranoia a sé stante, indipendente da quelle che le sono vicine. Infatti a differenza dei pazzi comuni, i mattoidi conducono una vita normale, sebbene castigata in certo qual modo. La loro sobrietà, in quanto innaturale e forzata, può talvolta raggiungere l'eccesso, avvicinandoli a certi geni del bene o grandi pensatori, con i quali, precisa il Lombroso, essi non hanno nulla in comune, facendogli così guadagnare il favore delle folle. Sono tipi umani concentrati sull'ordine, pedanti, abili e di buon senso nella quotidianità, al punto che sono capaci di occultare la loro follia. Spesso il loro ruolo sociale è quello di patrioti o spiriti umanitari, capaci di influenzare le folle con la loro audacia e le loro fanatiche convinzioni.
Tipiche dei mattoidi erano considerate le tendenze metafisiche, la passione delle minuzie, la smania paranoica del voler rinvenire una ragione logica in cose che fondavano su altri elementi la loro esistenza. Ad un'analisi più attenta risulta chiara l'influenza, nell'analisi di questi personaggi da parte del Lombroso, dell'impostazione positivista, che procedeva elencando pedissequamente le peculiarità di questa classe, facendovi rientrare uno straordinario numero di individui. Il loro modo di ragionare procedeva per analogia, giochi di parole ed immagini poetiche, un vasto campionario della loro irrazionalità sarebbe dovuto al fanatismo 'economico' (che aveva preso il posto di quello religioso), di carattere socialista ed anarchico. Ma, oltre all'elemento epilettico ed al fattore ambientale, il Lombroso riteneva che l'eziologia del delitto non potesse essere ridotta a questi due termini, lasciando da parte il fattore genetico ed embriogenetico.
Perciò introdusse anche l'elemento ereditario, distinguendo l'eredità diretta, dei fattori criminaloidi, vale a dire quella derivata direttamente dai genitori, e quella indiretta, derivante invece dalla famiglia degenere, che influivano sulla formazione del criminale come il clima sui delitti; infatti secondo il Lombroso i mesi caldi favorivano i delitti di sangue mentre i cambiamenti di tempo e l'avvicinarsi delle tempeste predisponevano agli attacchi epilettici. Tra i delinquenti nati (epilettici, pazzi morali irriducibili) ed i delinquenti pazzi (dipsomani, isterici ed allucinati) si collocano quindi i criminaloidi, cui non mancano istinti inibitori e sono riducibili quantitativamente quelli egoistici. Socialmente parlando, il Lombroso riteneva che attività quali il commercio, la politica e la vita militare li facilitassero nel delitto, che la paura della pena avesse il potere di frenarli, mentre, una volta in carcere, venissero irreversibilmente trasformati in rei d'abitudine.

I caratteri atavici

Al centro della nuova scuola antropologica stavano le concezioni del Lombroso a proposito dell'uomo delinquente, distinto dall'alienato non delinquente concepito dapprima come un superstite selvaggio. Oltre al delinquente nato c'erano, per il Lombroso, il mattoide ed il delinquente di occasione. Antropologicamente il delinquente appariva come un primitivo più prossimo ai primati infraumani, capace di compiere azioni un tempo ritenute oneste, ma considerate delitti dalla società contemporanea con la quale si trova a contatto. I caratteri che manifestano l'atavismo e la degenerazione sarebbero esplicitati fisicamente dalla presenza di caratteristiche quali le grandi mandibole, i canini forti, gli incisivi mediani molto sviluppati a discapito dei laterali, i denti soprannumerari o in doppia fila (come nei serpenti), gli zigomi sporgenti, le prominenti arcate sopracciliari, l'apertura degli arti superiori di lunghezza superiore alla statura dell'individuo, i piedi prensili, la borsa guanciale, il naso schiacciato, il prognatismo, le ossa del cranio in soprannumero (come negli Incas, nei Peruviani e nei Papua) ed altre anomalie fisiche e scheletriche nonché caratteri funzionali diversi da quelli dell'uomo evoluto; ad esempio una minore sensibilità al dolore, una più rapida guaribilità, maggiore accuratezza visiva e dicromatopsia ed anche tatuaggi ed accentuata pigrizia.
Nei cosiddetti 'normali' non sarebbero riscontrabili cotante anomalie funzionali e costituzionali, come provato dalla comparazione tra 340 grandi criminali e 711 soldati. La convinzione del Lombroso era quella che finanche l'utilizzazione dei ritrovati della civiltà fosse per il delinquente mezzo di appagamento di istinti egoistici, antisociali ed impulsivi. Dal punto di vista strutturalistico l'analisi condotta comportava le conclusioni che, essendo considerato delitto presso i selvaggi ed i primitivi il gesto che infrange l'usanza', se nell'uso fossero passate azioni per noi criminose non vi potesse esser modo di qualificare come 'delinquente' chi le commettesse, in quanto ormai parte dell'usanza della comunità. Per il Lombroso il delinquente nato si identifica col delinquente epilettico, nonché col pazzo morale e fornisce, come variazione antropologica, il delinquente alienato. Il delinquente è caratterizzato dall'assenza del senso morale (insensibilità, cinismo, apatia) e dell'imprevidenza. Il delinquente di abitudine ha sue proprie caratteristiche attenuatamene patologiche, perciò assimilabile a delinquente per passione, che agisce in seguito ad un offuscamento momentaneo del senso morale e, tuttavia, non è mai recidivo.
A differenza di quest'ultimo il delinquente d'occasione ha congenito uno scarso senso morale e può diventare con ogni probabilità recidivo. Cause esterne del delitto erano, per il Lombroso, le condizioni sociali, le influenze climatiche, la mancanza di un'educazione morale e sociale, la miseria, i difetti di legislazione. Vi erano tuttavia anche cause innate, interne all'individuo od acquisite dallo stesso nel corso della propria vita, quali ad esempio le lesioni del capo, le malattie che aggrediscono l'asse cerebro-spinale, ma anche l'alcoolismo, e tutte quelle patologie che si manifestano dal punto di vista psichico come caratteri di arresto dello sviluppo e disordini nell'intelligenza e nell'affettività più propriamente.

La patologia femminile

Sono da menzionare anche le analisi compiute dal Lombroso riguardo alle patologie femminili, completando il richiamo all'evoluzione nell'affermazione che la donna avrebbe minori 'stigmate degenerative', perché le sue caratteristiche psichiche e fisiche tendono a variare in misura minore che negli individui maschi. La minore frequenza del tipo criminale della criminalità-nata nel soggetto femminile non era tuttavia abbastanza per impedire la creazione di un'immagine poco morale della donna. Accanto alle constatazioni più propriamente fisiologiche questa volta si trovarono a confrontare anche fatti e credenze di costume sociale: ad esempio il fatto che l'equivalente femminile degli atavismi maschili potessero essere più che il delitto, azioni quali la prostituzione, parallelo femminile del furto nell'uomo. Così il passo dai problemi fisio-antropologici a quelli sociali ed etici era molto breve e potrà aiutarci nella riflessione il considerare la posizione del Lombroso: preminentemente scienziato, incline all'emancipazione femminile nel combattere le coercizioni crudeli di sempre che accrescevano la condizione di sottomissione della donna.
L'analisi partiva, statisticamente, dal rapporto di ciascun campione con una tipologia di donna definita 'normale' (come gli scarti dei valori statistici dalla media aritmetica). L'anatomia e la biologia della donna erano strumenti di conferma della sua inferiorità di statura e peso dopo la pubertà, rispetto al maschio; molteplici furono le osservazioni sui vari organi, sul sangue e sul suo contenuto in globuli rossi (inferiori nella donna), sul cranio e sul peso del cervello. L'analisi psicologica invece è dominata da un atteggiamento strutturalista; secondo i più la donna sopportava meglio le disgrazie, era più irritabile e sovente dominata dall'amore materno, anche indiretto. Secondo il Lombroso caratteristiche proprie del genere femminile erano il misoneismo, l'intelligenza automatica ed intuitiva, l'iracondia e la coscienza giuridica nonché la propensione "ciarliera". La definizione della degenerazione femminile e delle forme patologiche di interesse ai fini dell'opera fondava il proprio agire sulle ricerche anatomo-patologiche, considerate di maggiore utilità rispetto all'antropometria cranica; le anomalie patologiche degne di nota erano: apofisi ingrossate, bozze temporali, parietali ed occipitali molto sviluppate, fronti sfuggenti o strette, fossette occipitali, platicefalia, prognatismi, sclerosi craniche, zigomi sporgenti, ossa wormiane. Molti studi condotti sulle 'prostitute' rilevarono la presenza di patologie quali asimmetria cranica, troncocefalia, idrocefalia e soprattutto altre anomalie del cranio e dei denti.
Le criminali-nate erano, secondo il Lombroso, in minor numero ma spesso di maggior efferatezza dei criminali-nati(maschi), alcuni elementi poco presenti nell'eziologia dei delitti maschili (ad esempio la premeditazione) sarebbero invece presenti in modo evidente nei gesti scellerati delle donne, portando alla predominanza del delitto passionale egoistico e del suicidio.Quantunque da un'attenta osservazione dei dati statistici rilevati possano sembrare affrettate, le conclusioni del Lombroso su questo tema vanno tenute comunque in considerazione, se non altro per il fatto che hanno dato inizio all'analisi di queste tematiche (ponendo l'accento anche sull'aspetto più biologicamente sessuale) in un periodo in cui questa classe di problemi incominciava appena ad essere considerata scientificamente dal punto di vista medico ed anatomo-fisiologico.

I delinquenti ed il fattore epilettico

Già in tempi relativamente precedenti alle elaborazioni del Lombroso, studiosi quali il Maudsley asserivano che la criminalità è una varietà di neurosi e che i delinquenti fossero degenerati ereditarii. Le cause della degenerazione potevano essere ricondotte in primis all'alcool ed alla pellagra ma anche elementi quali industrie, professioni, miserie, non andrebbero scartati. Il Lombroso proseguì sulla strada già intrapresa dall'Antonini, che sosteneva che tutte le degenerazioni sarebbero osservabili per alterazioni fisiche, intellettuali e/o etiche. Nella formulazione più propriamente 'definitiva' dell'uomo delinquente mancavano però ancora due elementi; vale a dire il fattore epilettico e la varietà politica. Il primo di questi due elementi testimonia evidentemente l'affievolirsi dell'elemento storico ed il sopravvento della visione strutturalistica tipico dell'ultima fase del positivismo, elemento suggerito a Lombroso da due suoi casi.
Il primo era quello di un nobile, le cui "stranezze sadiche" furono considerate dal Lombroso come equivalenti all'accesso epilettico, il secondo era quello della strage compiuta tra i commilitoni dal soldato calabrese Misdea, che inoltre, al risveglio dopo il fatto delittuoso non mostrava né completa incoscienza (come i malati di epilessia), né alcun rimorso (comportandosi dunque come i delinquenti nati). Le discussioni riguardo l'influenza del fattore epilettico sul gesto delinquenziale fervevano già dal decennio precedente a questi due casi, quando l'analisi più propriamente scientifica del fenomeno dell'epilessia aveva condotto ad innovative quanto inquietanti scoperte, sia per l'immensità dell'orizzonte medico e patologico, sia per gli opinabili metodi di sperimentazione. L'epilessia appariva agli studiosi come la spiegazione dell'arresto di sviluppo riscontrabile nei delinquenti e della pazzia morale nel suo scatenarsi accessuale. L'attenzione era concentrata sulle anomalie ataviche, sulla sclerosi cronica, sulla submicrocefalia, sulle asimmetrie, sullo strabismo, sull'omodontia ed inoltre sull'eccessiva agilità, sull'ottusità sensoriale e sulla ristrettezza del campo visivo. Secondo quanto si credeva allora l'epilessia (nella sua forma di attacco convulsivo, improvviso, reiterato, accompagnato da incoscienza) era provocata da irritazione del midollo spinale o dei lobi laterali dell'encefalo.
La delinquenza era quindi paragonata ad una trasformazione dell'epilessia, classificando così la delinquenza stessa tra le forme di epilessia, provocata dall'eccitazione dei lobi frontali della zona motoria. Essendo questa un'affezione congenita della corteccia cerebrale il compimento di certi delitti coincideva col manifestarsi di certi altri tipi di epilessia, anche con caratteristiche diverse tra loro. Le forme più oscure di delinquenza andavano allora ricondotte ad un'epilessia psichica. Si diceva 'prolungando l'accesso psichico all'infinito si ottiene il pazzo morale, il delitto diventa per lui un bisogno'. A tale proposito il Roncoroni trovò un'anomalia istologica dello strato granulare profondo, inversione degli strati piramidali e delle piccole cellule. La conclusione logica era che il delinquente non era che un malato. Il Lombroso studiò la fisionomia di 410 epilettici e vi trovò in 1/4 dei casi la convivenza dei caratteri degenerativi attribuiti ai delinquenti. Da queste convinzioni deriva la teoria che gli accessi degli affetti da epilessia sarebbero paragonabili a quelli dei pazzi morali. La molteplicità ed indipendenza dei centri corticali motivava la varietà delle epilessie, legate alla diminuita azione direttrice dei centri superiori ed all'aumento dell'eccitabilità dei centri sottoposti.

Il Delitto Politico

Sono testimoniate le ricerche compiute da un assistente del Lombroso, Virgilio Rossi, riguardo ai rapporti esistenti tra rivoluzioni, clima, razze, stagioni ed ambiente geografico, elementi da cui muove l'elaborazione teorica riguardante il concetto stesso di 'delitto politico' ad opera del Lombroso, che non si limita a definirlo, esplicitandone le probabili cause. Il delitto politico era considerato dal Lombroso come una 'forza' all'interno del corso storico; quest'ultimo, come ogni evento in natura, segue una legge d'inerzia che tende a far persistere le cose nel modo in cui si trovano in un determinato momento: avviene un delitto politico quando a questo procedere naturale si oppongono altre forze dovute al dinamismo storico, che segnano un brusco cambiamento dal passato. Il delitto politico è un gesto che attenta alla compagine di regole stabilite, alle tradizioni storiche e sociali esistenti, urta bruscamente contro la legge d'inerzia e si opera sempre per ideali grandiosi contro un'istituzione che impedisce l'ulteriore progresso di un popolo.
Occorre però distinguere tra 'rivoluzione' e 'rivolta', in quanto la prima è espressione storica dell'evoluzione contro una causa di oppressione atroce, la seconda è l'opera di una minoranza che eccede in filoneismo o misoneismo (a seconda dei casi) al fine di imporre delle idee non volute dalla maggioranza. Il Lombroso considerava però che entrambe queste manifestazioni avessero una causa comune: i climi, le razze, le religioni, la miseria, potevano fornire talora i motivi di una rivoluzione, talaltra quelli di una rivolta. Secondo il Lombroso i mesi estivi favorivano le rivoluzioni e le rivolte, le montagne sarebbero state "habitat" di conservatori e controrivoluzionari, mentre invece le colline ospiterebbero geni e rivoluzioni, i popoli agricoli sarebbero misoneici, quelli industriali filoneici, la lotta di classe sarebbe il maggiore fattore di rivolta. Non andava sottovalutato nemmeno il fattore psicopatico, in quanto l'imitazione ha un ruolo non poco importante nella riuscita di una rivoluzione o di una rivolta.
Fattori quali la miseria rafforzerebbero i misoneisti in un paese povero, ed i filoneisti in un paese ricco, contrariamente a quanto si potrebbe pensare. Delinquenti politici erano quindi quegli uomini che abbraccian la bandiera del progresso. Dopo che il Lombroso ebbe letto L'idiota di Dostoevskij (genio epilettico) gli fu confermata la tesi dell'esistenza di un nesso tra epilessia, genio e pazzia. Le opere che nacquero da queste analisi sono: Genio e Follia, Genio e Degenerazione (1901), Nuovi studi sul Genio (1902), dove sono approfondite le notizie su personalità storiche quali il Manzoni, Cristoforo Colombo, Cesare Beccaria, Tolstoj, Petrarca ed altri.

La psicologia collettiva

Il Sighele, considerato uno dei fondatori della psicologia collettiva in Italia, riconobbe i meriti del Lombroso in questo settore. Infatti il Lombroso anticipò, per certi elementi, la vera e propria psicologia collettiva: secondo lui l'aggregato non riproduceva sempre pedissequamente i caratteri degli individui che lo compongono (tesi invece sostenuta dallo Spencer), ma talvolta li modificava, snaturandoli in modo peggiore o migliore del loro stato naturale; un esempio addotto come probante era quello che in un gruppo di persone 'onorate' solitamente non si osserva la somma delle loro virtù, bensì la loro sottrazione.
Secondo il Sighele le opere più rappresentative del Lombroso per quanto riguarda la psicologia collettiva sono Il delitto politico e le Rivoluzioni e La Delinquenza nella Rivoluzione Francese, dove vengono considerati accuratamente i rapporti tra follia e criminalità, la follia endemica ed epidemica nel contesto delle rivolte e delle rivoluzioni, i criminali politici per suggestione epidemica delle masse, l'anima collettiva e l'influenza che ha su di essa il fenomeno dell'imitazione, del contagio morale e della suggestione, l'obiettivo nobile che si ritiene perseguibile unicamente e doverosamente attraverso i reati, in linea con la convinzione che la psicologia delle scienze, come quella delle leggi e delle istituzioni in genere fosse un ramo di una psicologia delle menti associate, quasi una struttura sovrapposta alla più diretta psicologia delle menti individuali.

Il fattore antropologico

L'influenza dell'antropologia positivista

È innegabile il ruolo preminente occupato, almeno all'inizio, dal fattore antropologico nell'elaborazione della metodologia del Lombroso. Occorre inoltre considerare il contesto all'interno del quale si è sviluppata tutta la sua teoria, vale a dire quello positivistico, che promulgava la predominanza dell'intelletto e della ragione, della misurabilità e dell'approccio scientifico come l'unico dotato di innegabile realismo e veridicità in opposizione a tutto ciò che lo aveva preceduto. In questo ambito risultano giustificati gli interessi del Lombroso per materie quali la razziologia, l'antropometria, l'etnologia e la morfologia umana, tutte materie, tra l'altro, riconducibili al più vasto ambito dell'antropologia generale, che essa stessa, sotto influenza positivistica, vede accentuata la sua connotazione biologica e somatica, rispetto a quella filosofica e culturale, in realtà parimenti importante.
I documenti a cui rifarsi per comprendere appieno quale fosse il clima antropologico che ha influenzato il Lombroso possono essere l'Antropologium di Magnus Hundt (scritto risalente al 1501, molto rivalutato in epoca positivista), L'unità della specie umana del Quatrefages (che può essere considerato un compendio delle tesi previamente esposte da personalità quali Louis Agassiz e Broca), nonché il materiale ricavato dal Morton, da Gliddon e da Nott (ad esempio Types of mankind del 1854, oppure Indigenous Races of the Earth del 1858, ed infine Essai sur l'inégalité des races humaines del Gobineau, 1855). Va tuttavia considerato testo chiave dell'influenza antropologica il saggio di Charles Darwin On the Origin of species, giustamente ritenuto pietra miliare della nuova era antropologica e biologica. C'è da dire inoltre che l'interpretazione positivistica del Lombroso accantona il travaglio filosofico dello storicismo del Vico circa il graduale passaggio dal cosiddetto 'stato ferino' a quello umano, preferendo orientarsi verso un'ipotesi scientificamente monogenista, insistendo anche su Linneo (1735), che inseriva tra gli antropomorfi anche creature quali l'Homo Sapiens, l'Homo Nocturnus e L'Homo Caudatus, ammettendo un principio di mutamento, con la sparizione delle specie antiche e la nascita di nuove, che per certi versi è rintracciabile anche nello stesso Darwin. In questo modo il Lombroso iniziò a colmare il vuoto che rimaneva tra lo studio della mente umana e lo studio del corpo, interessandosi ai fattori linguistici e più scientificamente umani dei soggetti esaminati.
Erano già stati pubblicati dal Morton nel 1839 i suoi studi sui crani americani ed egiziani,nonché quelli del Davis per i crani britannici, dal momento che la craniometria aveva assunto una certa qual importanza, dopo il suo sviluppo nel Settecento, quando la concentrazione era focalizzata sulla posizione del foro occipitale e sulle differenze tra il cranio umano e quello antropoide, ed in seguito quando si stabilì attraverso misurazioni comparate come le razze formino una scala gerarchica il cui gradino inferiore si collega a quelle antropomorfe. Il Lombroso, dal canto suo, attribuiva grande importanza all'opera di Paul Broca del 1860, che pubblicò le sue norme per indagini antropologiche, giacché gli ideali di operosità ed attività antropologica e di ricerca del Lombroso affermavano che il metodo positivo rappresentasse una tappa fondamentale nel sapere, in quanto fondato sulla misura, per lui sinonimo di obiettività e possibilità di valutazione intersoggettiva comune, unità di metodo e, per certi versi, maggiore certezza di risultati (sempre rispetto alle metodologie di ricerca passate).

Divulgazioni e deformazioni delle teorie

A cavallo tra Ottocento e Novecento si può riscontrare un'integrazione tra i concetti di 'Uomo Delinquente' e 'Uomo Genio', con un ulteriormente accresciuto peso accordato alla tesi dell'epilessia, la cui analisi antropologica si andava estendendo ad un campione molto vasto, anche grazie all'operato di quelli che si potevano ormai definire "seguaci" del Lombroso. Bisogna dire che sul piano naturalistico le elaborazioni lombrosiane hanno sempre mantenuto la loro coerenza, perché costantemente riferite agli iniziali lavori zoologici compiuti ed esaminati dal Nostro (anche attraverso lo studio del Roux e del Mečnikov) che lo portavano alla conclusione che cervello ed intelligenza siano inversamente proporzionali a stomaco, muscoli ed ossa, vale a dire quanto più si sviluppano i primi, tanto più vengono trascurati i secondi, e viceversa. Di conseguenza la genialità comporterebbe una certa qual degenerazione, individuata dal Lombroso proprio nella sua caratteristica epilettoide, testimoniata sia da analogie nelle caratteristiche somatiche e psicologiche sia da genii che sicuramente soffrirono di epilessia, sia dall'incoscienza del momento creativo, nonché da certe somiglianze tra le caratteristiche delle personalità esaminate.
Tuttavia questo procedimento per analogie e comparazioni si rivelò fallace nel momento in cui i suoi seguaci tentarono di indagare in modo indipendente, al fine di dare riscontro sperimentale alle loro teorie. Ne può essere un esempio l'ampliamento dell'intuizione del Moreau con la paradossale applicazione del Nordeau di quelle teorie all'arte (sostenendo, quest'ultimo che le direzioni della moda nell'arte e nella letteratura fossero dovute alla degenerazione dei loro autori, e che gli ammiratori si appassionassero per manifestazioni derivanti da pazzia morale), oppure i tentativi di spiegazione fisiologica della genialità nel Flechsig, nel Gallerani, ma anche la teoria biologica di Morselli e Venturi (che consideravano i genii come variazioni divergenti in senso progressivo, e le teorie sociologiche di autori quali Galton e J.M.Baldwin. Quelli che più si mantennero vicini alla metodica lombrosiana furono il Roncoroni (un tempo collaboratore nel Lombroso), l'Arndt ed il Myers, che individuarono relazioni specifiche tra genio e paranoia; il Sergi ed il Simons concentrarono le loro attenzioni su 'input' lombrosiani riguardo alla precocità del genio, alla genialità della donna ed alla longevità dei genii (Thayer), nonché a manifestazioni quali i sogni del genio (Morselli).
Il fenomeno della genialità, sfuggendo ad un'analisi sistematicamente scientifica, richiedeva un approccio di 'svisceramento antropologico' che tentava di suddividere le fasi della creazione geniale (come ad esempio nel Del Greco). In quel periodo la fama del Lombroso era divenuta notevole a livello del grosso pubblico borghese cui non dispiacevano neppure taluni aspetti del suo socialismo conservatore; i quotidiani ospitavano articoli di grandi e noti studiosi; negli Stati Uniti nacque una serie di saggi su vari periodici (quali Open Door e Popular Science Monthly), ma anche in Russia e in Germania (Zukunft e Freie Welt), che deviarono poi la loro attenzione sull'analisi dell'estrinsecazione simbolica di sentimenti e stati d'animo attraverso gesti come il bacio, il saluto ed altri gesti di plauso, tappe fondamentali di quella che sarà la successiva evoluzione superorganica.

Il Metodo

Il fattore antropologico, messo in primo piano dall'opera del Darwin, contribuiva a saldare la cultura italiana a quella europea all'interno del fervore positivistico, tramite il dilaceramento, nel decennio decisivo del Risorgimento, tra Chiesa e Stato, dovuto alla troppa attenzione posta al piano scientifico, ed alla carenza di analisi sul piano spirituale. Per quanto riguarda il Lombroso sappiamo che non si discostò dal clima della sua epoca, vale a dire che aderì al credo ed alla visione scientifica positivista, concentrandosi sull'antropologia che, a suo avviso, aveva ereditato e raggiunto lo scopo della filosofia, attraverso la ricerca nelle misure e nell'empiricità, quelle conclusioni per tanto tempo ricercate nelle combinazioni astratte spesso influenzate dalle tradizioni; per il Lombroso l'antropologia costituiva il fondamento del positivismo evoluzionistico erigendosi, sempre a suo avviso, come una sintesi di: anatomia, geologia, archeologia, linguistica, storia e statistica. Risulta coerente con questa piattaforma ideologica la conclusione,condivisa del Lombroso, che il medico avesse delle applicazioni del tutto ovvie, giacché, abituandosi ad introdurre i fattori numerici e le misure nella sua attività clinica e di ricerca nello studio della psiche, si apre alla medicina legale ed alla psichiatria un campo inesplorato, fatto di indagini in cui sostituire alle precedenti fraseologie fondate su una 'irrisoria sperimentazione' lo studio della craniometria, del peso del corpo, restituendo, dunque, il medico a sé medesimo.
Dal punto di vista spiritualistico, evidentemente sopraffatto sul terreno ideologico e culturale, a causa della presunzione di indipendenza della cultura positivista, soltanto il Rosmini manteneva il baluardo della necessità di utilizzare l'antropologia ai fini dell'indagine filosofica e morale, dai più considerata nemica. Il Lombroso, dal canto suo, formulò un discorso sulle razze originale ed abbastanza aggiornato per gli standard dell'epoca, ma che ebbe scarso seguito, a causa della limitatezza della borghesia progressista, nonché per l'onestà scientifica e lo spirito critico che gli impedirono di formulare tesi eccessivamente rigide e nette al riguardo. Va però sottolineato il fatto che l'antropologia fu per lui più che un metodo una vera e propria episteme, in cui convergevano senso storico ed esigenze strutturalistiche, fiducia nella statistica e sperimentazione, visione evolutiva e materialistica, fede nel progresso e nel miglioramento dell'umanità (toccando anche temi proposti dal Cattaneo).

L'uso della statistica

La convinzione dei realisti circa l'esistenza dei fatti indipendentemente dalla loro interpretazione, contribuiva massimamente a formare il metodo sperimentale delle scienze biologiche, che consisteva nell'analisi dei fatti, alla stregua di qualsiasi altro fatto storico, come evento o serie di eventi. La sperimentazione vera e propria della singolarità di ogni evento si attuava come riscoperta di eventi analoghi a quello considerato o in catene casuali rinvenute parzialmente nella natura, quindi non prodotte sperimentalmente dall'uomo; questo perché era preminente la concezione dinamica della natura come storia (che rimanda alle teorie del Vico, di cui sappiamo il Lombroso sempre fu grande ammiratore). L'analisi storica o genetica, costituente il metodo allora definito 'storico' si annullava però quando lo studioso andava a ricercare le eziologie o le catene genetiche comuni, volendo trascendere l'elemento storico e temporale, anziché insistere sulle peculiarità individuali del presente.
Gli individui si trasformavano allora in classi, strutture, astrazioni, appariva palesemente il ripetersi delle vicende con un ritmo che ricorda l'anaciclosi polibiana, e che, in quel tempo, rassicurava sull'esistenza di un sapere sicuro al punto di essere operativo e dimostrabile sulla base dello schema intuito con la sperimentazione, derivata alle tecniche mediche dalle scienze biologiche, a conferma delle loro convinzioni realistiche. Il divenire e la dialettica venivano così assimilati a lotta per l'esistenza ed evoluzione, gli antichi valori venivano travasati nella fede nella scienza, riempiendo la pedagogia di medicina e d'igiene anziché di sapere e buon senso. L'enciclopedismo conferiva alle individualità biologiche oggetto d'analisi non solo carattere di individui empirici, ma di più grandi organismi, generi e specie e famiglie, concepiti come realtà effettivamente esistenti.
A tale proposito la statistica, attraverso la quantificazione dell'omogeneità o analogia tra gli individui, sembrava essere il migliore degli ausili al fine dell'analisi scientifica e della creazione di una fisionomia organica delle astrazioni dei dati sperimentali. Fondamentale fu la teoria di Adolphe Quételet che, dal 1835, accostava al concetto di specie quello più propriamente statistico di "uomo medio", elaborato in una serie di lavori statistici ed antropometrici da cui si evince che le variazioni relative ai caratteri quantitativi sono in realtà variazioni in difetto od in eccesso rispetto ad un valore rappresentato dalla media aritmetica di tutti quelli trovati; dunque le deviazioni dalle medie, se riferite ad un numero significativo di individui, erano paragonabili a quelle che si presentavano nelle misurazioni compiute in ambito fisico per le misure di precisione. Questi elementi vennero tenuti a modello dal Lombroso nel corso delle sue indagini, infatti egli cercò di applicarli alla realtà italiana ed a quei settori che maggiormente lo interessavano (i.e. il cretinesimo e le alienzazioni), riconvergendo inevitabilmente in quella che è la legge dell'errore formulata dal Gauss.

Tipi di delinquenza e rimedi sociali

La scuola penale positiva e quella lombrosiana avevano, dopo la diffusione delle loro ricerche, stabilito una sorta di terminologia; i "delinquenti d'occasione" erano quelli che trasgredivano la legge per caso, i "delinquenti d'abitudine" erano invece quelli occasionali recidivi, i "rei latenti" quelli cui ancora non si era presentata l'occasione di delinquere, sebbene per circostanze o predisposizione potessero più facilmente esserne trasportati; socialmente si era considerato che a questa tipologia appartenessero soggetti quali prostitute, marinai, artigiani, soldati e professionisti. I "delinquenti per passione" invece delinquevano per una certa qual causa altruistica, al fine di sottrarre dal pericolo una persona amata, assolutamente senza premeditazione, spesso ripiegando nel suicidio rendendo circolare il gesto delittuoso. L'istruzione, secondo il Lombroso, diminuiva i reati di sangue ed accresceva invece quelli di truffa e sessuali; la religione, secondo il Lombroso, era aliena da qualunque influenza sul gesto scellerato, sebbene questa convinzione sia da imputare alla superficialità della riflessione del Nostro sul fatto religioso in senso assoluto, blindato precocemente nell'intelletto positivista e sperimentalista, forse anche per reazione a certi comportamenti del padre. Anche alcune malattie provocate dalla povertà avrebbero avuto un'influenza sul gesto criminale, ad esempio patologie quali la pellagra, l'alcoolismo, la scrofola e lo scorbuto.
Secondo il Lombroso la donna era propensa a compiere meno omicidio e truffa che aborto ed infanticidio, i celibi e gli sposati senza prole delinquerebbero più facilmente. Per il Lombroso le prigioni potevano essere considerate come "università del delitto", capaci soltanto di impaurire coloro che difficilmente delinquono. Secondo il Lombroso la legge del perdono avrebbe potuto dare buoni risultati ingenerando timore ed evitando di sottoporre il reo alla degenerazione del carcere. Le carceri dovrebbero trasformarsi in manicomi criminali, inseguendo l'obiettivo, promulgato dal Lombroso, di allontanare dalla società il pericolo dei criminali nati e dei pazzi morali (le due specie ritenute maggiormente pericolose); i riformatori dovrebbero essere simili a famiglie (esperimento che si tentò a Torino), il divorzio avrebbe rimediato all'adulterio e l'abolizione del lavoro notturno avrebbe contribuito alla diminuzione degli stupri; si prospettavano anche iniziative per ridurre l'alcoolismo nella popolazione. L'attenzione del Lombroso in questo settore era fondamentalmente rivolta alla cosiddetta "profilassi del delitto", attraverso la lotta contro quelle che lui definiva le tre grandi superstizioni del suo tempo, le più ostacolanti e pericolose. La prima era quella della "volontarietà dell'atto criminoso", la seconda quella della "pena dosimetrica" e la terza quella dell'unicità geografica della legge penale, insistendo sulla necessità di un insegnamento superiore di criminologia, che avrebbe inevitabilmente contaminato anche lo studio superiore del diritto penale. Fondamentale era per il Lombroso conoscere le cause interne all'individuo e quelle esterne del delitto, tramite l'approfondimento della sociogeografia.
Nell'analisi dei criteri e dei mezzi di repressione andavano enumerate, secondo il nostro, anche le influenze dettate dall'antropologia, dalla psicologia e dallo studio delle scienze ausiliari. Un programma simile sarà accennato dal Cattaneo in una riforma radicale delle leggi penali e del processo come procedura, riconoscendo l'individualità antropologica del delinquente al fine di assegnarlo al regime di detenzione più appropriato alla sua condizione. Secondo il Lombroso, la formalità del processo ne soffocava la sostanza e la materia, occultando la realtà con pregiudizi e presunzioni. Infine poiché, secondo il Nostro, nei delinquenti abbondavano audacia ed amore del nuovo, questi potevano essere reintegrati nel contesto sociale in situazioni quali l'attività militare (ad esempio contro i briganti).

Ipnosi e spiritismo

Con il libro del 1909 "ricerche sui fenomeni ipnotici e spiritici" Lombroso abbandona una visione strettamente materialista e comincia a credere a parte del soprannaturale. Sembra che l' incontro con Eusapia Palladino sia stato uno dei motivi di questo cambiamento di vedute.

Opere

Le prime elaborazioni teoriche sul caso del Cardano

"Sulla pazzia del Cardano" fu una delle sue prime opere: in essa prendono corpo le radici delle sue teorie, che nascono da quella "simpatia che ci fa care le sventure altrui", come la definisce il Lombroso stesso intendendo con questa perifrasi l'interesse per i morbi in genere.
Così il Lombroso si accostò alla teoria del personaggio domandandosi se il genio del dotto possa in qualche modo confondersi con la follia, problema già discusso da Forbes Winslow. In quest'opera il Lombroso si definisce "biografo e storico di un ingegno celebre", e procede minuziosamente nell'elencare i sintomi che accompagnavano la vita del personaggio, partendo dall'infanzia (sogni ricorrenti, allucinazioni, manie di persecuzione, ecc.) considerando il personaggio dal punto di vista biologico, più che antropologico, come fosse "eredità fusa di uno stupendo apparato nervoso suscettibilissimo e reso sempre più vibrante dalle scosse della scienza e della gloria". Lo studio del Lombroso in questo senso aveva già acquisito una metodologia, avendo egli deciso di partire nella sua analisi cronologica dalle vicende parentali ed anche più estesamente genealogiche ereditarie e proseguendo poi nella conclusione che gli studi del Cardano apparivano ad un occhio attento come sintomi di quell'impulso nervoso, ma colorati dall'intuito del genio. Importante è la parte centrale, che verte più prettamente sui nessi tra pazzia e sogno, avviando ad individuare in episodi autobiografici del personaggio la conferma di alcune leggi importanti per la storia psichiatrica.


Esempi di fisiognomica di criminali, secondo Lombroso: "Rivoluzionari e criminali politici, matti e folli"

Considerazioni critiche

La teoria di Lombroso ha senz'altro avuto meriti e demeriti dal punto di vista storico, infatti egli è stato definito come “un uomo di genio a cui mancò il talento”. Alcune critiche che gli possono essere mosse sono le seguenti:
  • Lombroso in linea di principio voleva reclamare il primato dell’antropologia criminale sul diritto penale, salvo poi dover ammettere di doversi piegare alle leggi dello Stato; infatti l’esistenza di un'attitudine alla delinquenza non era verificabile a priori, ma si poteva constatare solo dopo la commissione del reato.
  • A Lombroso si può imputare l’accusa di cripto-abolizionismo, infatti voleva rifondare l’esperienza penale su basi scientifiche.
  • L’antropologia criminale è una scienza empirica e quindi si basa su un sistema di ipotesi, ma Lombroso tentò di dar loro oggettività senza dimostrarle adeguatamente.
  • La teoria dell’uomo delinquente fu formulata anche a scopo ideologico, infatti Lombroso voleva dire la sua per aiutare l’Italia postunitaria sul fronte del controllo sociale; infatti nella seconda metà dell'Ottocento in ambito di ordine pubblico vi era una situazione precaria, basta pensare ad esempio a un grosso problema come il brigantaggio.

fonte: Wikipedia