giovedì

katana





La katana (刀) è la spada giapponese per antonomasia. Anche se molti giapponesi usano questa parola per indicare genericamente una spada, il termine katana si riferisce più specificamente ad una spada a lama curva e a taglio singolo di lunghezza superiore ai 60 centimetri usata dai samurai.

Nonostante permettesse efficacemente di stoccare, la katana veniva usata principalmente per colpire con dei fendenti, impugnata principalmente a due mani, sebbene Musashi Miyamoto, ne "Il libro dei cinque anelli" , raccomandasse la tecnica a due spade, che presupponeva l'impugnatura singola. Veniva portata con il filo rivolto verso l'alto, in modo da poterla sguainare velocemente con abili movimenti, e che in nessun modo il filo della lama potesse danneggiarsi nel tempo sfregando, a causa della forza di gravità, contro l'interno del fodero.

L'arma era portata di solito dai membri della classe guerriera insieme al "wakizashi", una seconda spada più corta. La combinazione delle due spade era chiamata daishō (大小), e rappresentava il potere o classe sociale e l'onore dei samurai, i guerrieri che obbedivano al daimyō (feudatario). Più precisamente la combinazione daishō era costituita fino al XVII secolo da tachi e tantō, e solo in seguito da katana e wakizashi.
La produzione di spade in ferro inizia in Giappone alla fine del IV secolo. Inizialmente si tratta di spade diritte a imitazione delle lame cinesi dalle quali i giapponesi appresero la tecnica della tempra differenziale. In seguito, nel periodo Heian (782-1180) le spade giapponesi assumono la classica forma ricurva, sono più lunghe del katana e vengono usate spesso a cavallo e montate in configurazione tachi (con la lama rivolta verso il basso). Nel periodo Kamakura (1181-1330) la tecnologia produttiva raggiunge livelli senza precedenti e si ha la comparsa delle celebri "cinque scuole" di maestri spadai, corrispondenti ad altrettante zone di estrazione mineraria:

Scuola Yamashiro (Kyoto), lame slanciate ed eleganti.
Scuola Yamato (Nara), lame simili alle Yamashiro ma più spesse lungo la costola. Il grande Masamune, il più famoso fabbricante di spade di tutti i tempi apparteneva a questa scuola.
Scuola Bizen, dove vennero prodotte il 70% di tutte le spade del Giappone antico. Sono riconoscibili da una serie di dettagli tra cui la caratteristica curvatura (sori) detta anche Bizen sori.
Scuola Soshu, spade larghe, lunghe e pesanti.
Scuola Mino (Seki), simile alla precedente.
Il katana come noi lo conosciamo inizia ad apparire intorno alla metà del periodo Muromachi (1392-1573) si tratta in essenza di una rivisitazione delle spade da cavalleria usate nei secoli precedenti che vengono adattate ad un utilizzo da fanteria. Sono lame più corte e con una curvatura meno pronunciata, non vengono più montate in configurazione tachi ma in uchikatana (con la lama rivolta verso l'alto). Molte lame antiche vengono accorciate (o-suriage) e trasformate in katana.

Il periodo Momoyama (1573-1599) è un periodo di transizione alla fine del quale il Giappone viene unificato sotto il potere della dinastia degli Shogun Tokugawa che pone fine alle guerre. Con la fine delle guerre finisce il periodo della spada antica (koto) e inizia il periodo della spada nuova (shinto). La funzione del katana cambia: diviene più uno status symbol o un'arma da duello che uno strumento da guerra vero e proprio. In questo periodo si ha quindi la scomparsa delle cinque scuole e una fioritura di varianti stilistiche. Ora le spade vengono prodotte a partire da acciaio proveniente dagli stessi siti da cui viene estratto ormai con metodi semi-industriali e spesso si assiste ad una particolare attenzione al fornimento e alle decorazioni più che alle qualità belliche dell'arma in sé.

Dal 1804 si assiste ad un tentativo di ritornare alle tradizioni antiche. Alcuni spadai si sforzano di riscoprire i segreti delle cinque scuole del tempo antico e creano nuovamente spade di grande qualità anche se non pari ai capolavori del passato. Questo periodo è detto Shinshinto ("nuovo periodo della nuova spada", 1804-1876).

Nel 1876 l'editto che vieta di portare in pubblico le spade determina la fine della produzione delle spade. Ora le uniche spade prodotte sono le gendaito (spade moderne) che, sul modello occidentale, armano gli ufficiali dell'esercito. Si tratta in questo caso di spade di non grande valore, prodotte spesso con metodi semi-industriali e non paragonabili ai katane dei periodi precedenti.

Dopo la Seconda guerra mondiale, la produzione di katane tradizionali giapponesi è stata regolamentata e i moderni artigiani si sforzano nuovamente di produrre spade di grande valore seguendo e riscoprendo le antiche tradizioni. Creano così le shinsakuto (spade contemporanee), molto costose, che hanno mercato tra gli estimatori e i collezionisti.

A questo tipo di mercato si affianca quello ad indirizzo sportivo delle moderne repliche di katana da pratica. Esse vengono spesso realizzate tramite metodi semi-artigianali e si avvalgono di macchine a controllo elettronico per la produzione a basso costo. Sebbene negli ultimi tempi la loro qualità sia in molti casi nettamente migliorata, siamo in genere ancora ben lontani dalla qualità degli esemplari storici, sia per il tipo di acciaio che per la geometria della lama (troppo spesso queste spade sono eccessivamente pesanti e sbilanciate in avanti).

Negli ultimi anni la tecnologia dell'acciaio ha raggiunto tali livelli da consentire, in linea teorica, di costruire katane migliori di quelle dei grandi forgiatori del passato. I nuovi acciai e le nuove metodologie di tempra (tempra bainitica/martensitica, acciaio amorfo, etc.) consentono, sempre in linea teorica, di costruire lame che combinino una durezza e una resilienza mai raggiunte prima. Questi tentativi vengono visti da alcuni con entusiasmo e da altri come una deprecabile rottura delle tradizioni. Va comunque detto che, al momento, anche i migliori tentativi non consentono di eguagliare i capolavori del passato che sono spesso un'accurata sintesi di geometria, trattamento termico e di molti altri fattori.

In tempi recenti vi è stata una proliferazione di modelli esclusivamente espositivi. Il termine katana in questo caso è inappropriato in quanto non si tratta di vere e proprie spade, ma repliche costruite con acciaio inossidabile totalmente inadatte all'utilizzo marziale. Sono tuttavia molto economiche ed esteticamente gradevoli per un occhio non esperto.

Nel complesso, il periodo d'oro della spada giapponese è sicuramente il periodo antico (Koto), in cui vennero create lame a tutt'oggi insuperate e tra le più ricercate dai collezionisti.

Da quando l'arte dell'uso della spada per i suoi scopi originari è diventata obsoleta, il kenjutsu viene sostituito dal gendai budo, insieme di moderni stili di combattimento per altrettanto moderni combattenti. L'arte di usare la katana si chiama iaido, o battōjutsu o iaijutsu, mentre il kendo è una scherma praticata con la shinai, una spada di bambù, in cui i praticanti sono protetti dal tipico elmetto e dall'armatura tradizionale.

Morfologia

La montatura del katana è costituita da elsa o guardia (tsuba, 鍔), solitamente metallica, posta tra il manico e la lama per proteggere le mani, e fodero (saya, 鞘). L'impugnatura in legno è ricoperta di pelle di razza (same), rivestita con una fettuccia di seta, cotone o pelle intrecciata (tsukaito); tra i vari intrecci dello tsukaito, trovano posto i menuki, due piccole decorazioni in metallo inserite tra gli avvolgimenti dello tsukaito, una da un lato e una dall'altro. Il modo con cui l'impugnatura è avvolta dallo tsukaito è definito tsukamaki. Il fodero è realizzato in legno di magnolia laccato.

TsubaLa lama vera e propria invece si divide in codolo (nakago, 中子), corpo della lama e punta (kissaki, 鋒). Il sugata è la forma che assume complessivamente la lama. Vista invece dal dorso al tagliente la lama si divide in:

mune (胸): il dorso della lama. Può essere distinto in vari tipi: hikushi (basso), takashi (alto), mitsu (a tre lati), hira o kaku (piatto), maru (arrotondato).
shinogi-ji (鎬): il primo dei due piani che formano la guancia della lama. Su di esso di possono trovare profonde incisioni longitudinali, solitamente sul primo terzo della lama, rappresentanti disegni (horimono, 彫物) o caratteri sanscriti (bonji, 梵字). Qui può essere presente anche un solco da entrambi i lati (hi) atto ad alleggerire ed bilanciare la lama.
shinogi (鎬): la linea di divisione tra i piani. Nella forma di lama denominata shinogi-zukuri, dopo il cambio di piano del kissaki determinato dalla linea di yokote, lo shinogi prende il nome di ko-shinogi.
ji: il secondo dei due piani che formano la guancia della lama.
hamon (刃文): la linea di tempra che caratterizza il katana ed ottenuta tramite tempra differenziata.
ha: la parte temprata ed affilata.

Hamon e bōshi

Il particolare tipo di tempra "differenziata" tra dorso e filo produce una linea di colore leggermente diverso sul tagliente, detta hamon (刃文). La forma dello hamon costituisce un segno identificativo, per un occhio esperto, dell'epoca della lama e dell'autore costruttore (tōshō, 刀匠). Riportiamo alcuni tipi di hamon accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico a cui si possono riferire:

ko-midare (小乱れ): "dritta frastagliata piccola" - periodo Heian (987-1183);
sugu-ha (直ぐ刃): "dritta" - periodo Kamakura (1184-1231);
notare-ha: "finemente ondulata" - era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393);
hitatsura: "pieno" - era delle Dinastie Nordiche e Meridionali (1334 -1393);
midare-ha (乱れ刃): "irregolare" - periodo di Mezzo Muromachi (dopo il 1467);
gunome-ha: "ondulata largheggiante come le nuvole" - periodo di Koto (circa 1550);
kiku-sui-ha (菊水葉): "a fiori di crisantemo che galleggiano sull'acqua", che i francesi chiamano extremement alambiquè, in quanto simile ai vapori che si producono nell'alambicco - primo periodo dell'era di Edo (1600);
sambon-sugi-ha: "gruppi di tre abeti", ove il centrale è più alto degli altri due - periodo Edo (1688-1704);
toran-ha: "ondulato come le onde dell'oceano" - periodo finale di Edo (1822);
KissakiLa parte di hamon visibile sulla punta della lama (kissaki) si chiama bōshi (母子, "pollice"). Riportiamo alcuni tipi di bōshi accompagnati dal significato letterale e dal periodo storico a cui si possono riferire:

kaen bōshi (火炎): "a forma di fiamma" - era Hogen (1156-1159);
jizo bōshi: "a forma di testa di prete" - era Hogen (1156-1159);
kaeri tsuyoshi bōshi: "solo sul dorso della punta, rivoltato" - primo periodo Kamakura (1170-1180);
ichimai bōshi: "area della punta interamente temprata" - periodo Kamakura (1170-1180);
yaki zumete bōshi: "attorno al filo della punta", che termina sul dorso senza Kaeri, Periodo Meiji (1868-1912);
mru bōshi: "a forma di gruppo di persone";
midare bōshi: "area temprata irregolarmente", era Hogen (1156-1159).
Procedimento costruttivo [modifica]Il katana veniva forgiato alternando strati di ferro acciaioso, con percentuali variabili di carbonio. L'alternanza di strati le conferiva la massima resistenza e flessibilità. Si partiva da un blocchetto di acciaio (tamahagane, 玉鋼) che veniva riscaldato e lavorato mediante piegatura e martellatura. Le piegature successive producevano un numero di strati molto elevato: poiché ad ogni piegatura il numero degli strati veniva raddoppiato, con la prima piegatura da due strati se ne ottenevano quattro, con la seconda otto e così via. Alla fine della lavorazione, dopo quindici ripiegature, si arrivava a 32768 strati. Ulteriori ripiegature erano considerate inutili in quanto non miglioravano le caratteristiche finali.

Successivamente veniva definita la forma generale della lama: la lunghezza, la curvatura, la forma della punta (kissaki, 切っ先). Il filo veniva indurito mediante riscaldamento e successivo raffreddamento in acqua (tempra). La lama veniva poi sottoposta ad un lungo procedimento di pulitura eseguito con pietre abrasive di grana sempre più fine. L'ultima finitura era eseguita manualmente con particolari barrette di acciaio. Tutto il procedimento veniva effettuato in modo da esaltare il più possibile le caratteristiche estetiche della lama.

Il procedimento costruttivo tradizionale viene ancor oggi tramandato di generazione in generazione, dal mastro forgiatore all'allievo forgiatore. La tecnica di forgiatura prevede generalmente le seguenti fasi:

preparazione dei materiali per la fusione: grande quantità di carbone, pezzi di ferro sminuzzato e minerale di ferro fusi in una fornace (tatara), all'aperto o nella fucina; il pezzo d'acciaio di fusione viene quindi raccolto in una ciotola apposita e trasformato in un blocco approssimativamente cubico d'acciaio.
pulizia delle crepe e delle irregolarità: il blocco cubico grezzo viene sottoposto a pulizia, poi forgiato e trasformato in un parallelepipedo grezzo e irregolare, quindi ulteriormente forgiato e sezionato a metà. Questo processo viene ripetuto da quattro a otto volte, prima che il pezzo d'acciaio sia pulito e utilizzabile.
forgiatura: il parallelepipedo d'acciaio viene sottoposto a forgiatura, portandolo al calor rosso e battendolo, piegandolo e ribattendolo fino a quindici volte, come spiegato sopra, fino ad ottenere una stratificazione dell'acciaio. Questa tecnica ricorda un procedimento medievale con cui si produce un tipo di acciaio chiamato damasco (infatti i primi ad aver fatto spade con acciaio stratificato sono stati gli arabi Omayyadi nel corso del nostro Medioevo, che avevano però appreso in precedenza tecniche d'origine indiana). Questa stratificazione è necessaria per rendere la lama flessibile ma nel contempo molto dura, addirittura così dura da non intaccarsi nemmeno con fendenti di lama su corazza o su altra spada. L'estrema durezza permette inoltre di affilare un filo molto fine e quindi molto tagliente senza renderlo troppo fragile.
forgiatura finale: più comunemente per ottenere la forma finale della spada, si uniscono due tipi d'acciaio, uno dolce e uno duro, formando un'anima interna (acciaio dolce), un filo e un dorso esterni (acciaio duro). In realtà esistono vari tipi di procedimenti in questa fase e molto dipende dall'abilità dell'artigiano nella buona riuscita dell'opera.
tempratura: dopo che tutta la lama viene cosparsa di particolari tipi di argille con peculiari proprietà di refrattarietà al calore, la lama viene portata al calor rosso, poi viene immersa in acqua tiepida circa a 37° Celsius. Questa tempratura differenziata permette di ottenere un dorso più flessibile ed un filo più duro.
rifinitura della lama: fase finale detta togi di competenza di un artigiano specializzato, chiamato togishi, addetto esclusivamente a questa operazione. Questa pratica conferisce una grande bellezza ed eleganza alla lama e ne conferisce l'affilatura. Le riproduzioni di scarsa qualità non sono trattate con metodi tradizionali ma vengono in questo caso lucidate in vari modi spesso con l'utilizzo di mole o carte abrasive.
Il codolo (nakago), cioè la parte di lama all'interno dell'impugnatura, veniva rifinito con colpi di lima disposti in varie forme a seconda delle scuole e delle epoche, e ad esso veniva praticato il mekugi ana, un piccolo foro nel quale si fissava un piccolo piolo di bambù, chiamato caviglia (mekugi, 目釘) che fissa il corpo della spada all'impugnatura in legno.

A questo punto la lama è finita e si provvede a dotarla di tutte le finiture che nel complesso si definiscono nel termine koshirae e comprendono:

tsuka (鍔, impugnatura) e saya (鞘, fodero), entrambi in legno di magnolia.
tsuka-ito: fettuccia di cotone, seta o pelle con la quale si avvolge l'impugnatura, atta a migliorare la presa e ad assorbire il sudore.
fuchi e kashira: parti solitamente in metallo decorate con tecniche tradizionali e molto raffinate applicati alle due estremità dell'impugnatura.
tsuba: guardia solitamente in metallo decorata con tecniche tradizionali molto elaborate.
koiguchi (鯉口) e kojiri: venivano applicati rispettivamente all'imboccatura del fodero e all'estremità opposta. Il koiguchi è fatto in corno di bufalo mentre il kojiri in corno o in metallo.
sageo (下緒): fettuccia di cotone intrecciata secondo vari tipi di trame e di svariati colori e tipologie. Aveva in passato utilità come cordino multi uso o per finalità estetiche, veniva annodato infatti in diversa maniera intorno al fodero secondo la moda del periodo, ed era utilizzato per fissare il fodero alla cintura (obi, 帯).
kurikata: anello solitamente in corno applicato al fodero a circa un palmo dal koiguchi, serve come passante per il sageo.
I primi forgiatori di spada giapponesi erano monaci buddhisti Tendai o monaci di montagna guerrieri chiamati yamabushi. Erano alchimisti, poeti, letterati, invincibili combattenti e forgiatori di lama, avevano conoscenze vastissime per la loro epoca e il luogo in cui vivevano, e per loro la costruzione di una lama costituiva una vera e propria pratica ascetica.

Cura e conservazione della katana

La cura e la conservazione della katana segue le stesse regole generali che si applicano nel rituale del tè o nella calligrafia (shodō) o nel bonsai o nell'arte di disporre i fiori (ikebana).

Dopo aver smontato la lama dal koshirae la si cosparge con una polvere ricavata dall'ultima pietra utilizzata per la pulitura (uchigomori) tramite un tamponcino. Successivamente, usando della carta di riso piegata tra pollice ed indice, si rimuove la stessa con un movimento dal nakago (codolo) al kissaki (punta della lama) pinzando la lama con il mune (tagliente) verso la mano. In seguito, con un altro panno leggero (o carta di riso), imbevuto parzialmente di olio di garofano raffinato (olio choji), si passa di nuovo tutta la lama con lo stesso movimento utilizzato per rimuovere la polvere di uchigomori. La prima operazione rimuove tracce di ossidazione e grasso lasciato dalle dita durante il rinfodero, la seconda operazione invece serve per evitare ossidazioni successive.

Variante ōkatana

Una ōkatana (太刀) è una versione del katana leggermente più lunga di una regolare katana (ō significa "grande" o "lunga" in giapponese). Non deve essere confusa con il nodachi, che è significativamente più lunga di un katana. La ōkatana era solitamente un katana costruita per una persona di grande statura. Queste lame erano in qualche modo comuni durante il periodo Koto (900-1530) e meno comune durante il periodo Shinto (1531-1867). Lame di questo tipo sono difficili da forgiare dalla base alla punta, a causa della grande lunghezza. Spesso i tachi fabbricati durante il periodo Koto avevano questa lunghezza.

La ōkatana nella cultura popolare

Nel film I sette Samurai, il personaggio di Toshiro Mifune usa una spada ōkatana, che riflette l'atteggiamento del personaggio rispetto all'essere un samurai.
Nei videogiochi della serie Devil May Cry, i personaggi Vergil, Nero e Dante usano una ōkatana chiamata Yamato.
Nella serie televisiva Code Geass, il personaggio Suzaku Kururugi impugna una ōkatana con un'elsa personalizzata.

fonte: Wikipedia

sabato

stupid girl




Fingi di essere alta
Fingi di essere annoiata
Fingi di essere qualunque cosa
Solo per essere adorata
E di avere tutto quello di cui hai bisogno

Non credi nella paura
Non credi nella fede
Non credi in niente
Che tu non possa distruggere

Stupida ragazza
Stupida ragazza
Hai rovinato tutto ciò che avevi
Hai rovinato tutto ciò che avevi

Quello che ti attrae
Può farti impazzire
Un milione di bugie per venderti
E' tutto ciò che hai sempre avuto

Non credi nell'amore
Non credi nell'odio
Non credi in niente
Che tu non possa distruggere

Stupida ragazza
Stupida ragazza
Non riesco a credere che fossi così falsa
Non riesco a credere che fossi così falsa

Non credi nella paura
Non credi nella pena
Non credi in niente
Che tu non possa controllare

Stupida ragazza
Stupida ragazza
Hai rovinato tutto ciò che avevi
Hai rovinato tutto ciò che avevi
Stupida ragazza
Stupida ragazza
Non riesco a credere che fossi così falsa
Non riesco a credere che fossi così falsa

Stupida ragazza








lunedì

il massacro del Circeo




è un fatto di cronaca nera avvenuto sul litorale pontino, nella zona del Circeo, il 29 settembre 1975.

Donatella Colasanti (1958-2005) di 17 anni e Rosaria Lopez (1956-1975) di 19 anni, due amiche provenienti da famiglie di modesta condizione sociale, residenti in una zona popolare della capitale, furono invitate ad una festa da Gianni Guido, Angelo Izzo e Andrea Ghira nella villa di quest'ultimo ubicata sul promontorio del Circeo, in zona "Punta Rossa", nel comune di San Felice Circeo.

Le due ragazze avevano conosciuto Guido ed Izzo pochi giorni prima frequentando entrambi il bar del famoso Fungo all'EUR, accogliendoli con simpatia dato il loro habitus garbato ed il comportamento irreprensibile.
Il passato dei tre

Andrea Ghira, 22 anni, figlio di un noto e stimato imprenditore edile, grande ammiratore del capo del Clan dei marsigliesi, Jacques Berenguer, nel 1973 fu condannato per una rapina a mano armata compiuta insieme a Angelo Izzo e per questo scontò venti mesi nel carcere di Rebibbia. Izzo, studente di medicina, insieme a un paio di amici, nel 1974 aveva violentato due ragazzine ed era stato condannato a soli due anni e mezzo di reclusione, che comunque non scontò nemmeno in parte, essendogli stata concessa la sospensione condizionale della pena. Giovanni "Gianni" Guido, diciannovenne studente di architettura, anch'egli proveniente da un ambiente agiato, era l'unico incensurato dei tre.

I fatti
Comincia l'inferno

Tutto è cominciato una settimana fa, con l'incontro con un ragazzo all'uscita del cinema che diceva di chiamarsi Carlo, lo scambio dei numeri di telefono e la promessa di vederci all'indomani insieme ad altri amici. Con Carlo così, vengono Angelo e Gianni, chiacchieriamo un po', poi si decide di fare qualcosa all'indomani, io dico che non avrei potuto, allora si fissa per lunedì. L'appuntamento è per le quattro del pomeriggio. Arrivano solo Angelo e Gianni, Carlo, dicono, aveva una festa alla sua villa di Lavinio, se avessimo voluto raggiungerlo… ma a Lavinio non arrivammo mai. I due a un certo punto si fermano a un bar per telefonare a Carlo, così dicono; quando Gianni ritorna in macchina dice che l'amico avrebbe gradito la nostra visita e che andassimo pure in villa che lui stava al mare. La villa era al Circeo e quel Carlo non arrivò mai. I due si svelano subito e ci chiedono di fare l'amore, rifiutiamo, insistono e ci promettono un milione ciascuna, rifiutiamo di nuovo. A questo punto Gianni tira fuori una pistola e dice: "Siamo della banda dei Marsigliesi, quindi vi conviene obbedire, quando arriverà Jacques Berenguer non avrete scampo, lui è un duro, è quello che ha rapito il gioielliere Bulgari". Capiamo che era una trappola e scoppiamo a piangere. I due ci chiudono in bagno, aspettavano Jacques. La mattina dopo Angelo apre la porta del bagno e si accorge che il lavandino è rotto, si infuria come un pazzo e ci ammazza di botte, e ci separano: io in un bagno, Rosaria in un altro. Comincia l'inferno. Verso sera arriva Jacques. Jacques in realtà era Andrea Ghira, dice che ci porterà a Roma ma poi ci hanno addormentate. Ci fanno tre punture ciascuna, ma io e Rosaria siamo più sveglie di prima e allora passano ad altri sistemi. Prendono Rosaria e la portano in un'altra stanza per cloroformizzarla dicono, la sento piangere e urlare, poi silenzio all'improvviso. Devono averla uccisa in quel momento. A me mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po', e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: "Questa non vuole proprio morire", e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l'ho fatto. Mi hanno messa nel portabagagli della macchina, Rosaria non c'era ancora, ma quando l'hanno portata ho sentito chiudere il cofano e uno che diceva: "Guarda come dormono bene queste due".

(Il racconto di Donatella Colasanti)
Una volta giunte a destinazione intorno alle sei e venti di sera tutto si trasformò in un incubo, come dalle parole della Colasanti:

« Verso le sei e venti, ci trovavamo tutti e quattro nel giardino della villa quando, improvvisamente, uno di loro tirò fuori la pistola. Cominciarono a dirci che appartenevano alla banda dei Marsigliesi e che Jacques, il loro capo, aveva dato l'ordine di prenderci in quanto voleva due ragazze. »
Per più di un giorno ed una notte le due ragazze furono violentate, seviziate e massacrate. I tre esternarono un odio sia misogino che di censo, con tanto di recriminazioni ideologiche contro le donne ed il ceto meno abbiente, a due malcapitate mai interessatesi di politica. Guido ritornava a Roma per non mancare la cena con i propri familiari per poi ripartire per il Circeo e riunirsi ai suoi amici aguzzini. Entrambe vennero drogate. Rosaria Lopez fu portata nel bagno di sopra della villa, picchiata ed annegata nella vasca da bagno. Dopo tentarono di strangolare con una cintura la Colasanti e la colpirono selvaggiamente. In un momento di disattenzione dei due aguzzini, Donatella riuscì a raggiungere un telefono e cercò di chiedere aiuto ma fu scoperta e colpita con una spranga di ferro. Credendole entrambe morte i tre le rinchiusero nel bagagliaio di una Fiat 127 bianca intestata al padre di Gianni Guido, Raffaele. Dopo esser arrivati vicino a casa di Guido decisero di andare a cenare in un ristorante. Lasciarono la Fiat 127 con le due ragazze in via Pola, nel quartiere "Trieste". Donatella Colasanti, sopravvissuta per miracolo e in preda a choc, approfittò dell'assenza dei ragazzi per richiamare l'attenzione venendo udita da un metronotte, in servizio, alle h. 22:50. Subito dopo la volante Cigno dei Carabinieri fece partire un messaggio-radio cifrato: "Cigno, cigno... c'è un gatto che miagola dentro una 127 in viale Pola...". A intercettarlo fu anche un fotoreporter, che pertanto riuscì a essere presente all'apertura del bagagliaio, alle h. 23:00, dando con le sue foto un volto alla morte.
Izzo e Guido furono arrestati entro poche ore (è nota una foto d'archivio in cui Izzo esibisce spavaldamente le manette ai polsi, sorridendo), Ghira, grazie a una soffiata, non sarà mai catturato. La Colasanti fu ricoverata in ospedale con ferite gravi e frattura del naso, guaribili in più di trenta giorni, e gravissimi danni psicologici.

Lo strascico giudiziario

Grande apporto alle indagini fu dato dai Carabinieri, comandati dal Maresciallo Simonetti Gesualdo, che seppero ben ricostruire, anche grazie alle deposizioni della Colasanti, la dinamica del massacro. La giovane Donatella, costituitasi poi parte civile contro i suoi carnefici, venne rappresentata dall'avvocato Tina Lagostena Bassi nel processo.

Diverse associazioni femministe si costituirono parte civile e presenziarono al processo. Il 29 luglio 1976 arrivò la sentenza in primo grado, ergastolo per Gianni Guido e Angelo Izzo, ergastolo in contumacia per Andrea Ghira. I giudici non concessero alcuna attenuante.

Ghira fuggì in Spagna e si arruolò nel Tercio (Legione spagnola) (da cui venne espulso per abuso di stupefacenti nel 1994) con il falso nome di Massimo Testa de Andres. Ghira sarebbe morto di overdose nel 1994 e sarebbe stato sepolto nel cimitero di Melilla, enclave spagnola in Africa, sotto falso nome. Nel dicembre 2005 il suo cadavere fu ufficialmente identificato mediante esame del DNA. I familiari delle vittime hanno tuttavia contestato le conclusioni della perizia, sostenendo che le ossa sarebbero quelle di un parente di Ghira. Esiste d'altra parte una foto del 1995, scattata dai Carabinieri a Roma, che ritrae un uomo camminare in una zona periferica della città: l'analisi dell'immagine al computer ha confermato che si trattava di Andrea Ghira. Nel corso degli anni suoi avvistamenti sono stati segnalati in Brasile, Kenya, Sudafrica.

Guido e Izzo nel gennaio 1977 presero in ostaggio una guardia carceraria e tentarono di evadere dal carcere di Latina, senza successo.

La sentenza viene modificata in appello il 28 ottobre 1980 per Gianni Guido. La condanna gli viene ridotta a trenta anni, dopo la dichiarazione di pentimento e la accettazione da parte della famiglia della ragazza uccisa di un risarcimento.

Gianni Guido riuscì in seguito ad evadere dal carcere di San Gimignano nel gennaio del 1981. Fuggì a Buenos Aires dove però venne riconosciuto ed arrestato, poco più di due anni dopo. In attesa dell'estradizione, nell'aprile del 1985 riuscì ancora a fuggire, ma nel giugno del 1994, fu di nuovo catturato a Panama, dove si era rifatto una vita come commerciante di autovetture, ed estradato in Italia.

La semilibertà concessa ad Izzo e il nuovo duplice omicidio

Nel novembre del 2004, nonostante la condanna pendente, i giudici del tribunale di sorveglianza di Palermo decidono di concedere a Izzo la semilibertà. ll criminale comincia a beneficiarne a partire dal 27 dicembre e ne approfitta presto per fare nuove vittime, Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), rispettivamente moglie e figlia di un pentito della Sacra Corona Unita che Izzo conobbe in carcere a Campobasso. Il 28 aprile del 2005 le due donne sono state legate e soffocate (è stato accertato, dopo vari esami autoptici, che la ragazza non ha subito violenza sessuale) e infine sepolte nel cortile di una villetta a Mirabello Sannitico in provincia di Campobasso, di proprietà di un ex detenuto amico di Izzo. Questo nuovo fatto di sangue ha scatenato in Italia roventi polemiche sulla giustizia. Il 12 gennaio 2007 Izzo è stato condannato all'ergastolo per questo crimine, condanna confermata anche in Appello.

La morte della Colasanti

Donatella Colasanti è morta all'età di 47 anni, il 30 dicembre 2005 a Roma per un tumore al seno, ancora duramente sconvolta per la violenza subita 30 anni prima. Avrebbe voluto assistere al nuovo processo contro Izzo.

Le sue ultime parole sono state "Battiamoci per la verità".

La libertà a Gianni Guido

L'11 aprile 2008 Gianni Guido, il terzo assassino, è stato affidato ai servizi sociali dopo 14 anni passati nel carcere di Rebibbia. Ha finito di scontare definitivamente la pena il 25 agosto 2009, fruendo di uno sconto di pena grazie all'indulto: in pratica, a fronte di una condanna a trent'anni, ha scontato solo poco meno di 22 anni in carcere, essendo fuggito più volte dal carcere e avendo trascorso ben 11 anni di latitanza all'estero. Così infatti ha commentato Letizia Lopez, sorella di Rosaria: Il signor Guido non ha affatto scontato la sua pena; è andato in Argentina, è scappato all'estero, ha fatto gran parte della condanna ai servizi sociali, ha usufruito di permessi. Ma insomma mi chiedo con quale coraggio una persona così con quello che ha fatto, e senza mostrare pentimento, ora gira libero per Roma

fonte: Wikipedia