venerdì

Valerio Verbano




è stato un attivista italiano, militante del Collettivo Autonomo Archimede e simpatizzante del Comitato di Lotta Valmelaina, emanazione territoriale di Autonomia Operaia del Liceo Scientifico Archimede, sezione L, situato nel quartiere romano

Valerio Verbano inizia il suo impegno politico nel 1975 nel proprio liceo e la sua militanza è attiva, non risparmiandosi anche a rischio della sua incolumità fisica. Valerio pratica sport e da bambino inizia a frequentare gli impianti sportivi in cui pratica soprattutto le arti marziali tra cui il Jūdō e il karate. Come tutti i ragazzi divide la sua passione politica con altri interessi: la musica con i Beatles i Pink Floyd, e la AS Roma, sua squadra del cuore. Un altro dei suoi interessi è la fotografia, ed è proprio attraverso i suoi scatti che egli inizia a documentare gli avvenimenti politici dell'epoca e a redigere una personale inchiesta sui movimenti di estrema destra nella capitale.
Il 22 febbraio del 1980, alle 12,44, tre giovani armati e coperti da un passamontagna entrano in casa Verbano, al quarto piano di via Monte Bianco 114 nel quartiere Monte Sacro, dichiarando ai genitori del giovane di essere suoi amici; armati di pistole con silenziatore, dopo essere entrati immobilizzano i genitori nella loro camera ed attendono Valerio dicendo di voler parlare con lui. Valerio non è ancora tornato da scuola; alle 13,40 apre la porta di casa ed è subito assalito dai tre. Ne segue una colluttazione durante la quale Verbano riesce anche a disarmare uno dei tre assalitori; il ragazzo tenta di fuggire dalla finestra dell'appartamento ma è raggiunto da un colpo di pistola alla schiena che gli perfora l'intestino. Morirà poi nell'ambulanza che lo stava trasportando all'ospedale.

Le rivendicazioni

Il giorno stesso dell’omicidio, alle 20, arriva la prima rivendicazione siglata da una formazione di sinistra Gruppo Proletario Organizzato Armato; verso le 21 ne arriva una seconda a firma dei Nuclei Armati Rivoluzionari, avanguardia di fuoco NAR. Viene poi recapitato un volantino, verso le 12 del giorno dopo, sempre a nome NAR (comandi Thor, Balder e Tir), in cui non si parla chiaramente dell'omicidio ma in modo allusivo si fa riferimento al "martello di Thor che aveva colpito a Monte Sacro".
A Padova, dopo dieci giorni, un ulteriore volantino ancora a firma NAR smentisce il coinvolgimento del gruppo terroristico nel delitto Verbano. Gli inquirenti escludono la veridicità dell'ultimo volantino e confermano come rivendicazione più probabile la prima, telefonica, fatta dai NAR. Nella telefonata si fa riferimento al calibro 38 della pistola usata per l'assassinio, calibro effettivamente usato per l'agguato e ribadito in seguito dal bollettino ufficiale dell'autopsia del medico legale.

Il dossier NAR

Valerio Verbano, seguendo una consuetudine diffusa nella sinistra extraparlamentare, aveva condotto indagini personali e redatto un fascicolo, poi detto dossier NAR, nel quale aveva raccolto molte informazioni e documentazione fotografica sull'estremismo di destra romano (NAR, Terza Posizione ed ambienti affini), con molti nomi, foto, luoghi di riunione, amicizie politiche e presunti legami con gli apparati statali.
Il 20 aprile del 1979 Valerio Verbano viene arrestato con l'accusa di fabbricazione di materiale incendiario: la perquisizione della sua casa porta al sequestro, oltre che di un'arma da fuoco, anche del materiale d'inchiesta, come poi viene indicato anche nel verbale. Sempre nell'aprile del 1979, i documenti che erano stati sequestrati dalla polizia scompaiono dagli archivi; la scomparsa viene poi denunciata anche dagli avvocati della famiglia di Valerio il 26 febbraio 1980, che ne conoscevano il contenuto e l'elenco del materiale. Valerio viene condannato il 22 dicembre 1979.
Il 22 febbraio 1980 Valerio Verbano muore assassinato per mano degli stessi terroristi di cui aveva seguito con attenzione le gesta e le collusioni con la criminalità organizzata romana, tra cui anche la Banda della Magliana. La sparizione dei fascicoli redatti da Valerio viene definitivamente accertata quando, nell'ottobre del 1980, i genitori chiedono il dissequestro dei materiali, tra i quali manca appunto quello che viene definito dossier NAR.
Dell'esistenza di questo "dossier" era a conoscenza anche un giudice che indagava sull'eversione nera, Mario Amato. La documentazione raccolta da Valerio, che era sparita prima della sua morte dall'ufficio corpi di reato, sarebbe ricomparsa tra le mani del Giudice Mario Amato che muore per mano dei NAR il 23 giugno 1980. Ampi stralci di questo dossier sono riapparsi nel febbraio-marzo del 2011, pubblicati dal Corriere della sera e da Liberazione.

Indagini e dichiarazioni dei pentiti

Alcuni pentiti dell'estrema destra rilasciano dichiarazioni in merito all'omicidio Verbano. Nel 1981 Laura Lauricella, compagna di Egidio Giuliani, personaggio di spicco della destra romana con numerosi agganci anche negli ambienti di sinistra, nell’ambito dell'inchiesta sulla strage di Bologna, racconta di un silenziatore che Giuliani avrebbe dato all’assassino di Verbano. Lo scambio sarebbe avvenuto al poligono di Tor di Quinto a Roma, Giuliani avrebbe costruito quel silenziatore e lo avrebbe dato a Roberto Nistri, membro di Terza Posizione. All'epoca dell'omicidio, però, Nistri era detenuto da più di due mesi, essendo stato arrestato il 14 dicembre 1979, mentre trasferiva un arsenale.
Nel 1982 Walter Sordi, ex Terza Posizione ed ex NAR, subito pentitosi dopo l'arresto, fa nuove rivelazioni sul delitto Verbano riportando le confidenze di un altro esponente dei NAR, Pasquale Belsito: "fu Belsito a dirmi che a suo avviso gli autori dell’omicidio Verbano erano da identificarsi nei fratelli Claudio e Stefano Bracci e in Massimo Carminati".
Angelo Izzo, autore nel 1975 del Massacro del Circeo e nel 2005 del duplice omicidio di Maria Carmela Linciano (49 anni) e Valentina Maiorano (14 anni), noto pentito che rilascia dichiarazioni su quasi tutti i fatti criminosi dell'estremismo di destra tra la metà degli anni settanta e i primi anni ottanta, riporta le confidenze di Luigi Ciavardini: "Luigi Ciavardini mi disse che l’omicidio era da far risalire a militanti di Terza Posizione, mi disse che il mandante era sicuramente Nanni De Angelis. Per quanto riguarda gli esecutori mi disse che sicuramente si trattava di componenti del gruppo capeggiati da Fabrizio Zani; solo un pasticcione come Zani poteva perdere la pistola durante la colluttazione con Verbano".
Tutte le precedenti dichiarazioni non trovano riscontri oggettivi e gli indiziati vengono tutti assolti, l'omicidio risulta quindi impunito.
Nel febbraio del 2011 la Procura della Repubblica di Roma ha dichiarato la riapertura delle le indagini.

Riconoscimenti

Il 25 febbraio 2006 viene intitolata una via a Roma nel parco delle Valli, alla presenza del Sindaco Walter Veltroni.

Nel gennaio 2009 La Provincia di Roma ha presentato la prima edizione del "Premio Valerio Verbano" , concorso aperto ai ragazzi di cinque centri provinciali di formazione professionale tra i 14 e i 18 anni che prevede la presentazione di cortometraggi e progetti multimediali autoprodotti, per l'aggiudicazione di una borsa di studio.

Il 21 novembre 2009 è stata intitolata una via a Scampia (Napoli) a Valerio Verbano. Il 1 dicembre 2012, a Napoli, è stato intitolato l'Auditorium occupato in via Mezzocannone 14 a Valerio Verbano e a sua madre Carla

fonte: Wikipedia

lunedì

Giulia Occhini



nota come la Dama Bianca, fu protagonista di una relazione sentimentale extraconiugale con il ciclista Fausto Coppi negli anni cinquanta del XX secolo, che destò scandalo per via dell'epoca. Tale vicenda, data infatti la notorietà del personaggio coinvolto, portò prepotentemente alla ribalta nell'Italia democristiana sia gli aspetti morali che legali dell'adulterio (il divorzio non era all'epoca ancora permesso). Essendo infatti esso, all'epoca, ancora un reato penale, Giulia Occhini dovette affrontare un processo in tribunale, oltre a essere destinataria della pubblica reprimenda del papa Pio XII per l'accusa di abbandono del tetto coniugale. La vicenda, giudiziaria e giornalistica, di Giulia Occhini divenne eponima del clima conformista e repressivo dei liberi costumi di quel periodo.

Il soprannome la rese celebre presso il grande pubblico dopo la tappa di St. Moritz del Giro d'Italia del 1954, quando Pierre Chany, giornalista dell'Équipe, scrisse: «Vorremmo sapere di più di quella signora in bianco che abbiamo visto vicino a Coppi» (la dame en blanc) per via del montgomery color neve che indossava.
Moglie del dottor Locatelli, appassionato tifoso coppiano, Giulia Occhini conobbe Coppi durante il Giro del 1953, al termine della tappa dello Stelvio, e apparve pubblicamente insieme al Campionissimo alla premiazione del Campionato mondiale del 1953 a Lugano.
Iniziò fra la Occhini e Coppi una storia d'amore. Essendo entrambi già sposati, la relazione suscitò all'epoca grande scandalo e fu fortemente avversata dall'opinione pubblica: persino il Pontefice arrivò a condannarla apertamente. Coppi e la prima moglie Bruna Ciampolini si separarono consensualmente nel 1954, mentre Locatelli arrivò a denunciare la Occhini per adulterio. In conseguenza di ciò, in base alla legge italiana del tempo, la donna dovette scontare un mese di carcere e successivamente un periodo di domicilio coatto ad Ancona, mentre a Coppi venne ritirato il passaporto.
Tra mille difficoltà Coppi e la Occhini si sposarono in Messico (matrimonio mai riconosciuto in Italia) e misero alla luce un figlio, Faustino, nato il 13 maggio 1955 a Buenos Aires per poter portare il cognome Coppi.
Giulia Occhini è morta dopo quasi un anno e mezzo di coma in seguito alle lesioni subite in un incidente automobilistico avvenuto proprio davanti a Villa Coppi, a Novi Ligure. È sepolta nel nuovo cimitero di Serravalle Scrivia, accanto alla figlia Lolly Locatelli.

fonte: Wikipedia

venerdì

Raffaele Fiore





è un terrorista italiano, importante esponente, durante il periodo degli anni di piombo, dell'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse, partecipe in modo diretto di alcuni dei più gravi fatti di criminalità politica accaduti in Italia. In particolare Fiore, oltre a militare e dirigere la colonna di Torino, fu presente a Roma in via Fani il 16 marzo 1978 all'agguato contro l'onorevole Aldo Moro e la sua scorta; egli fu uno dei quattro brigatisti che spararono contro gli agenti e fu lui, insieme a Mario Moretti, che estrasse dall'auto l'onorevole Aldo Moro e lo trasferì sulla Fiat 132 blu pronta per la fuga.

Nativo di Bari, ma trasferitosi giovanissimo, dopo la morte del padre, a Milano, lavorò come operaio alla Breda di Sesto San Giovanni, aderendo molto presto all'estremismo militante di estrema sinistra. Capocolonna delle BR torinesi, conosciuto con il nome di battaglia "Marcello", compì la sua prima azione il 22 aprile 1977, quando assieme a Patrizio Peci e Angela Vai, detta "Augusta", colpì alle gambe Antonio Munari, capo officina della Fiat dopo averlo pedinato per settimane. L'attentato fu rivendicato il 24 aprile con un comunicato delle BR.
Disceso a Roma da Torino, partecipò all'agguato di via Fani, quando un nucleo armato brigatista, costituito di dieci brigatisti: Rita Algranati, Barbara Balzerani, Franco Bonisoli, Alessio Casimirri, Prospero Gallinari, Alvaro Loiacono, Mario Moretti, Valerio Morucci e Bruno Seghetti, sequestrò il Presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro e assassinò i cinque uomini della scorta. Raffaele Fiore era uno dei quattro brigatisti che, travestiti da avieri, aprirono il fuoco contro le auto per uccidere gli agenti di scorta dell'onorevole Moro. Secondo la ricostruzione di Valerio Morucci e il più recente racconto dello stesso Raffaele Fiore, sembra che il mitra di quest'ultimo (un Beretta M12, teoricamente il più moderno tra quelli disponibili a Via Fani) si inceppò subito, impedendo a Fiore di colpire l'autista della Fiat 130 con Aldo Moro a bordo, appuntato Domenico Ricci..
Ricci quindi venne ucciso solo dopo un secondo intervento di Morucci che riuscì a disinceppare il suo FNAB-43 anch'esso malfunzionante dopo aver sparato una prima raffica mortale sul maresciallo Oreste Leonardi. Dopo l'uccisione degli uomini della scorta, Raffaele Fiore, insieme a Mario Moretti, tirò fuori personalmente Moro dalla Fiat 130 e quindi tutti e tre salirono sulla Fiat 132 con alla guida Bruno Seghetti.  La famosa impronta della "manona" riscontrata dalla polizia scientifica sulla portiera della Fiat 130 con Moro a bordo era proprio di Raffaele Fiore, uomo di corporatura molto robusta..
È ritenuto responsabile anche dell'assassinio dell'avvocato Fulvio Croce al quale partecipo' in veste di 'autista' mentre Rocco Micaletto, appoggiato da Lorenzo Betassa e Angela Vai avrebbe sparato direttamente sul presidente degli avvocati di Torino; soprattutto prese parte all'omicidio del giornalista Carlo Casalegno e in questa circostanza fu proprio Fiore a sparare personalmente su Casalegno con la pistola Nagant coperto da Piero Panciarelli, Patrizio Peci e Vincenzo Acella. Entrambi i gravissimi fatti di sangue avvennero a Torino nel 1977.
Capocolonna a Torino per oltre due anni e componente del Fronte Logistico, Fiore nell'autunno del 1978 entrò a far parte del Comitato Esecutivo, massimo organo di direzione delle Brigate Rosse (dopo la cattura a Milano in via Montenevoso il 1 ottobre 1978 di Lauro Azzolini e Franco Bonisoli). In precedenza (dicembre 1978) aveva partecipato direttamente anche al tragico eccidio di due agenti di PS in servizio di sorveglianza fuori dal carcere di Torino (Salvatore Lanza e Salvatore Porceddu ), aprendo il fuoco con un mitra M12 sui due giovanissimi militi insieme a Piero Panciarelli, appostati dentro una Fiat 128 a cui era stato asportato il lunotto posteriore (altri componenti del commando furono Nadia Ponti e Vincenzo Acella).
La sanguinosa attività terroristica di Raffaele Fiore termina il 19 marzo 1979 quando viene catturato a Torino (insieme ad Acella), apparentemente in maniera casuale (Peci insinua una "spiata" fatta alle Forze dell'Ordine addirittura dalla Ponti per motivi di 'carriera' interna). Nel processo romano Moro-Uno del 24 gennaio 1983 fu condannato con sentenza di primo grado alla pena dell'ergastolo. Non si è mai pentito e dal 1997 gode della libertà condizionale, confermata nel 2007. La sua storia nelle Brigate Rosse è stata descritta da Aldo Grandi nel libro "L'ultimo brigatista" pubblicato da Rizzoli nel 2007, nel quale Fiore presenta la sua versione dei fatti.
Patrizio Peci nelle sue memorie tracciò un ritratto fortemente negativo di Raffaele Fiore che fu il suo primo contatto all'interno della colonna torinese delle Brigate Rosse; egli lo descrisse come grossolano, dai modi bruschi, dal carattere aggressivo; a sua volta Fiore nel suo racconto per il libro di Aldo Grandi ha criticato pesantemente Peci per la sua limitata intelligenza politica, il suo carattere debole e per il suo maldestro comportamento in alcune circostanze della vita in clandestinità

fonte: Wikipedia

giovedì

Amelia Dyer





Amelia Elizabeth Dyer è stata una serial killer britannica.
Fu la più cruenta assassina di bambini dell'Inghilterra vittoriana. Fu processata e impiccata per un solo omicidio, ma quasi sicuramente fu responsabile di molte altre morti: il numero reale delle vittime si aggira infatti tra svariate decine e più di 200 o 400. Comunque solo 6 vittime sono confermate.
Venne soprannominata Jill the Ripper poiché il suo caso era cronologicamente vicino a quello di Jack lo squartatore (1888); inoltre, a causa dei suoi crimini, venne sospettata di essere la stessa persona; tuttavia si trattava di un'ipotesi molto remota.

Origini

Amelia Elisabeth Dyer nacque nel 1838 in una famiglia agiata di Bristol; era la più giovane di cinque fratelli (tre maschi e una femmina). Suo padre, Samuel Hobley, era un maestro calzolaio; sua madre, Sarah Weymouth, soffriva una malattia mentale causata dal tifo. Imparò presto a leggere e scrivere e si interessò di poesia e letteratura. Sua madre morì pazza nel 1848, suo padre nel 1859 circa. Nel 1861 si trasferì a Trinity Street, a Bristol. Lì si sposò con una persona chiamata George Thomas. Per sposarsi entrambi dovettero falsificare le loro età: George, che aveva 59 anni, se ne tolse 11; Amelia, che ne aveva 24, se ne aggiunse 6. Negli anni successivi iniziò a fare pratica medica. Si offriva di tenere nascoste le nascite dei figli illegittimi in cambio di soldi: chiedeva solitamente tra le 50 e le 80 sterline; ma la cifra si poteva comunque contrattare. Nel 1869 George Thomas morì, lasciando la Dyer sola con una figlia, Ellen Thomas. Decise così di lasciare il mestiere di infermiera e di diventare un'allevatrice di bambini.

Jill the Ripper

La Dyer contattava le famiglie che volevano lasciarle il figlio per contrattare lo scambio. Lei in cambio chiedeva una cifra di denaro e dei vestiti adatti per il bambino. Loro accettavano la proposta e glielo consegnavano. Faceva tutto ciò per intascarsi quella cifra e lasciava morire di fame il bambino, che ormai non le serviva più. La Dyer eluse per molto tempo le forze dell’ordine. Inoltre in quel periodo molte badanti, quando si trovavano in casi di difficoltà economica mentre crescevano il bambino, lo uccidevano; i metodi più usati erano quelli di lasciarlo deperire di fame, non allattarlo e intossicarlo in modo costante con forti dosi di alcol e oppio. Amelia Dyer fu arrestata nel 1879, quando un medico che certificava l'operato della Dyer scoprì che, sotto le sue cure, erano morti molti bambini. Non fu condannata per il reato di omicidio plurimo ma per quello di "negligenza" (ossia scarsa attenzione per il piccolo). Passò sei mesi ai lavori forzati, che la provarono psicologicamente. Da questo momento in poi sviluppò tendenze alla depressione e al suicidio e iniziò a consumare sempre di più alcolici e sostanze oppiacee. Al rilascio tentò di riprendere la carriera da infermiera e continuò a uccidere con lo stesso metodo. La Dyer tornò nuovamente ad eludere le forze dell'ordine e a tenere lontana l'attenzione dei genitori; per fare ciò teneva un basso profilo, si trasferiva molto spesso da una città all'altra e usava molti pseudonimi, tra cui quello di "Signora Thomas".
Nel 1890, dopo un altro tentativo di suicidio, tornò in un ospedale psichiatrico e ne uscì tre anni dopo, ancora più provata. Due anni più tardi si trasferì nel Berkshire insieme a una socia, Jane Smith, la figlia Ellen Thomas, la figliastra Mary Ann detta "Polly" e il figliastro Arthur Palmer. Nel 1896 uccise le tre vittime identificate, ossia Doris Harmon, Harry Simmons ed Helena Fry. Vennero adottati, portati in casa sua e strangolati con un nastro. I corpi vennero messi in un sacco riempito di mattoni e buttati nel fiume Tamigi.

L'arresto

Dopo un po' di tempo il corpo di Helena Fry venne trovato e ripescato. La polizia, esaminando con attenzione la carta da imballaggio in cui era avvolto il cadavere, trovò una scritta che segnava un indirizzo e un nome che recitava "Signora Thomas". I primi sospetti si concentrarono proprio su Amelia Dyer: gli agenti raccolsero informazioni su di lei e la misero sotto sorveglianza. Infine mandarono una complice a parlarle, così da scoprire l'esistenza di questo business basato sulle adozioni. La polizia infine perquisì il suo appartamento e vi trovò dei telegrammi che parlavano di accordi sulle adozioni, lettere di alcune madri che domandavano se il loro figlio stesse bene, ricevute per gli annunci pubblicitari di adozione che lei affiggeva in giro e i bordi del nastro di stoffa che usava per soffocare i bambini. Nell'appartamento si era inoltre diffuso un forte tanfo di putrefazione. Il nome "Signora Thomas" era uno dei tanti pseudonimi della Dyer. I poliziotti la arrestarono e la collegarono così alla morte di Helena Fry; successivamente drenarono il Tamigi e vi trovarono altri 6 corpi; fecero infine una stima di quanto lei potesse aver ucciso in venti anni; divenne fortemente sospettata di oltre 200 morti in totale, fino a un massimo di 400.

La fine

I figli della Dyer furono scagionati dalle accuse; la Dyer fu processata il 22 maggio 1896 e trovata colpevole di un omicidio, nonostante fosse stata collegata a molti altri. Benché la Dyer soffrisse di problemi mentali e abusasse di alcolici e stupefacenti, non fu dichiarata incapace di intendere e di volere. In quattro minuti e mezzo fu condannata a morte. Fu impiccata alle nove del mattino del 10 giugno 1896 nella Newgate Prison di Londra. Le sue ultime parole, poco prima che la botola sotto di lei si aprisse, furono "non ho nulla da dire".

fonte: Wikipedia

Belle Gunness




Belle Sorenson Gunness, nata Brynhild Paulsdatter Størseth, è stata una serial killer statunitense, di origine norvegese; è una delle più prolifiche di tutta l'America con almeno 40 omicidi accertati, che potrebbero essere fino ad oltre 60.

Brynhild nacque in Norvegia in una famiglia povera. Il padre, Paul Pedersen Størset, lavorava come tagliapietre e possedeva una piccola fattoria che bastava a malapena a sfamare la famiglia; la madre, Berit Olsdatter, era una casalinga. La giovane Brynhild, la più piccola dei suoi otto fratelli, si manteneva come tante altre ragazze della sua età e della sua condizione sociale portando le pecore al pascolo. I fattori presso i quali lavorava erano soddisfatti del suo operato: sapeva svolgere svariate mansioni come ad esempio fare il formaggio e non aveva paura di passare la notte nelle baite di montagna; inoltre fisicamente era molto forte, era alta 1,73 per 91 kg di peso.
Il successo che riscuoteva tra i suoi datori di lavoro non era lo stesso che riscuoteva tra i suoi coetanei dai quali non era ben voluta e veniva descritta come una ragazza maliziosa e bugiarda. In Norvegia circola una storia non verificata, sugli anni della giovinezza di Belle. Questa leggenda narra che Brynhild partecipò ad una festa danzante in stile country mentre era incinta. Lì venne aggredita da un uomo che le sferrò un calcio all'addome, facendole perdere il bambino. L'uomo, il quale proveniva da un ricca famiglia norvegese, non venne mai perseguito dalla legge.
Secondo le persone che la conoscevano bene, in seguito a quest'episodio, la sua personalità cambiò drasticamente. A ventitré anni, grazie all'aiuto della sorella, Nellie Larson, e di suo marito, emigrò negli Stati Uniti d'America dove la sorella si era stabilita precedentemente. Appena arrivata Brynhild cambiò il suo nome in Belle e iniziò a lavorare come cameriera. La sorella dichiarò: «Belle impazziva per i soldi. Erano il suo punto debole».

Gli omicidi

Circa due anni dopo essersi stabilita in America, Belle conobbe Mads Sorensen, un sorvegliante notturno, con il quale ben presto si sposò. Nel 1890 si trasferirono in un sobborgo di Chicago, ad Austin. Belle adottò in quel periodo una bambina di otto mesi, Jenny Olsen, il cui padre alla morte della moglie non si era sentito di crescere da solo. Quando però questi si risposò e volle riprendersi la figlia con sé, nacque una battaglia legale per la custodia di Jenny, dalla quale uscì vincitrice la Gunness.
Circa sei anni dopo iniziò ad avere figli suoi; i primi due, Caroline ed Axel, morirono rispettivamente nel 1896 e nel 1898 di colite acuta. Dopo sedici anni di matrimonio, nel 1900, trascorsi nella povertà, morì anche Mads Sorensen, lo stesso ed unico giorno in cui le due assicurazioni sulla vita che l'uomo aveva stipulato con due compagnie diverse erano entrambe valide. Il dottore che visitò Mads pensò subito ad un avvelenamento da stricnina.
Interrogata dal medico sull'avvenuto, Belle dichiarò di aver dato al marito una polvere per curare il suo raffreddore e il medico di famiglia assicurò al collega di aver prescritto lui stesso la medicina. Il medico si convinse a firmare il certificato di morte e le due assicurazioni pagarono la vedova. Belle con la somma acquistò un negozio di abbigliamento che pochi mesi dopo venne distrutto da un incendio la cui causa, secondo Belle, era da attribuire all'esplosione di una lampada a kerosene che però non venne mai rinvenuta.
Con i soldi dell'assicurazione comprò una fattoria nei dintorni di La Porte, nell'Indiana. Belle si stabilì nella nuova proprietà con la figlia adottiva Jenny e con le figlie naturali che le erano rimaste, Myrtle e Lucy. Nel 1902 sposò un macellaio norvegese, Peter Gunnes, che aveva conosciuto tramite dei suoi cugini. L'uomo rimasto da poco vedovo si trasferì nella fattoria di Belle con la figlia, Swanhilde. Nove mesi più tardi l'uomo morì in uno strano incidente domestico.
Peter era macellaio, e insieme alla moglie stavano preparando delle salsicce. Una volta finito il lavoro Belle lavò il tritacarne e lo mise ad asciugare su una mensola sopra il camino, dopo di che accompagnò le figlie a letto. Quando tornò trovò il marito steso per terra a faccia in giù. Il tritacarne gli era piombato in testa uccidendolo. Belle chiamò un medico che a sua volta avvertì la polizia; il medico legale sospettò che si trattasse di un omicidio ma, grazie alla testimonianza della figlia adottiva Jenny Olsen (che affermò di aver assistito alla scena) il caso venne archiviato come incidente.
Il fratello di Peter non credette mai nell'innocenza della cognata e per sicurezza fece rapire la piccola Swanhilde Gunness per tenerla con sé. Ancora una volta la Gunness ottenne una discreta somma dall'assicurazione sulla vita del marito e due mesi più tardi diede alla luce un maschietto al quale diede il nome di Philip. Nel 1906, qualche anno dopo la morte di Peter Gunness, Jenny raccontò ad alcuni suoi compagni di scuola che era stata effettivamente sua madre ad assassinare il genitore, colpendolo violentemente col tritacarne.
La notizia circolò e Jenny venne quindi di nuovo interrogata dalla polizia, ma di fronte agli inquirenti negò tutto. Belle dopo quell'episodio raccontò ai vicini che avrebbe mandato la figlia adottiva in un collegio nel Wisconsin. La ragazza raccontò ad un suo compagno di scuola della sua partenza, promettendogli che prima di lasciare la città sarebbe passata a salutarlo e gli avrebbe dato il suo indirizzo. Invece partì improvvisamente senza salutare nessuno.
Nonostante il suo fisico robusto e mascolino, Belle era una donna molto sensuale che detestava la solitudine; ebbe così diversi amanti scelti tra gli uomini che lavoravano per lei, tra cui Ray Lamphere, l'ultimo. Altri pretendenti bussarono alla porta di Belle suscitando la gelosia dell'amante. Belle infatti aveva messo un annuncio su un giornale per emigranti norvegesi: "Donna attraente proprietaria di bella fattoria in ottime condizioni cerca uomo affidabile benestante scopo matrimonio".
In molti risposero all'annuncio di Belle e ricevettero una lettera di risposta nella quale Belle chiedeva di depositare una somma di denaro a proprio nome per conquistare così la sua fiducia. Gli uomini venivano convinti proprio dalla sua richiesta stravagante in quanto veniva letto come sintomo di grande senso pratico ed onestà. A La Porte iniziarono così a susseguirsi gli spasimanti norvegesi.
John Moo giunse da Elbow Lake, portando con sé mille dollari da offrire a Belle in cambio del contratto di matrimonio. Egli scomparve dalla fattoria una settimana dopo l'arrivo. In seguito si recò nella tenuta di Belle George Anderson, il quale però non aveva portato con sé il denaro richiesto; voleva infatti prima assicurarsi che la futura moglie gli piacesse. Si trovò davanti una donna di quarantotto anni vestita come un uomo e che si esprimeva in un linguaggio rude e volgare. Sarebbe ripartito subito ma Belle dispiegò tutte le armi di seduzione in suo possesso e trascorsero la notte insieme.
Durante la notte si svegliò di soprassalto e vide Belle accanto a lui che lo fissava con un'espressione sinistra: fuggì via ed ebbe così salva la vita. Ray Lamphere mal sopportava il susseguirsi di amanti e le faceva terribili scenate finché Belle lo licenziò; ma l'uomo rimase sempre nei dintorni a spiarla: Belle lo denunciò. Infine, all'annuncio rispose Andrew Helgelien, proprietario di una fattoria ad Aberdeen, nel South Dakota; la coppia si scambiò numerose lettere prima di incontrarsi e l'uomo arrivò a La Porte nel gennaio del 1908 con tutti i suoi risparmi.
Qualche giorno dopo si recò presso la banca di La Porte con Belle a versare un assegno e subito dopo scomparve. Intanto il fratello di Helgelien, Asle, cominciò a preoccuparsi per l'assenza di Andrew. Belle di solito sceglieva tra i suoi uomini quelli che non avevano famiglia al fine di evitare ricerche, ma quella volta commise un errore. Asle le scrisse chiedendo notizie del fratello e Belle rispose che era stato da lei qualche tempo prima ma lei stessa aveva perso le sue tracce.
Asle, non convinto da questa risposta, andò a La Porte e si recò dallo sceriffo denunciando la scomparsa del fratello ed esponendo i propri sospetti su Belle Gunness, ma proprio quella notte la fattoria di Belle venne distrutta da un incendio. La polizia pensò che i cadaveri che vennero rinvenuti fossero di Belle e dei suoi figli, ed arrestò Ray Lamphere, denunciato tempo prima dalla Gunness. Tutti quelli che conoscevano Belle ne piansero la morte, non sospettando che di lì a poco il loro dolore si sarebbe tramutato in orrore.
Infatti Asle Helgelien aveva continuato le sue indagini alla ricerca del fratello ed aveva interrogato un ex dipendente della donna, Joe Maxson. Emerse che Maxson, sotto l'ordine di Belle, avesse livellato il terreno all'interno del porcile con grosse quantità di immondizia. Asle convinse lo sceriffo a controllare e dal primo scavo emerse il corpo mutilato di Andrew Helgelien; successivamente vennero dissotterrati i cadaveri di vari pretendenti di Belle, alcuni lavoratori di cui era stata amante nonché la figlia adottiva Jenny partita nel 1906 per un fantomatico collegio. Altri corpi tra cui quelli di una donna e di due bambini non furono mai identificati. Il numero delle vittime di Belle non fui mai accertato con precisione ma è stimato intorno a quaranta persone, se non più, probabilmente fino a oltre 60.

Ray Lamphere

Ray Lamphere venne riconosciuto colpevole per l'incendio doloso della fattoria, ma scagionato dall'accusa di omicidio venne condannato a vent'anni di carcere. Morì però l'anno successivo di tubercolosi: prima di esalare l'ultimo respiro fece una confessione completa al reverendo Schell, raccontando di non aver mai partecipato attivamente agli omicidi ma di aver aiutato Belle Gunnes a seppellire i cadaveri già smembrati. Raccontò inoltre la procedura degli omicidi.
Belle attirava le sue vittime nella sua fattoria, serviva loro regali pasti, li deliziava a letto e in seguito li avvelenava con la stricnina o li uccideva durante il sonno con un'ascia; portava il corpo dello sventurato amante di turno nella cucina, dove sezionava il corpo, distribuendo poi i pezzi in vari sacchi di tela i quali venivano seppelliti nel porcile.
Inoltre fornì la spiegazione dell'incendio. Disse che anche quello faceva parte del piano della donna: aveva ucciso con la stricnina una donna che si era recata presso la fattoria in cerca di lavoro, le aveva messo indosso i suoi abiti, le aveva tagliato la testa e lasciato vicino i suoi denti finti. Aveva ucciso i figli con la stricnina e messi a letto, dopodiché con Lamphere aveva dato fuoco alla casa. Successivamente Lamphere l'aveva accompagnata alla stazione ferroviaria, dalla quale Belle partì promettendo all'amante di dargli sue notizie, ma da allora non l'aveva più vista né sentita. Lo sceriffo non credette mai alle parole di Ray.

Misteri intorno a Belle

I misteri che circondano quest'enigmatica serial killer sono parecchi; al momento del ritrovamento del cadavere di Belle molti dubitarono che il cadavere decapitato fosse della donna; le misure non corrispondevano: la donna morta era molto più piccola della signora Gunness e anche ammesso che la carne bruciata si restringa, la differenza era considerevole. Inoltre il medico incaricato di analizzare gli organi interni rivelò la presenza di tracce di stricnina. Venne inoltre interpellato un dentista il quale identificò i denti finti come appartenenti a Belle, ma poteva comunque averli messi lì apposta.
Si sospettò che Belle Gunness non fosse una donna bensì un uomo, sospetto che risaliva dalla nascita del figlio Philip. Le vicine raccontarono che Belle aveva evitato di mostrarsi durante il parto, nonostante le donne si fossero offerte di aiutarla. Quando la levatrice era giunta nella fattoria la trovò già in piedi con un bambino perfettamente pulito ed addormentato, il quale appariva più grande di un neonato. Pensarono che il bambino non fosse suo e che Belle fosse un uomo; tesi sostenuta anche dagli uomini del paese, i quali l'avevano vista compiere mansioni particolarmente difficili come caricarsi sulle spalle pesanti tronchi di legna senza dimostrare fatica. La donna faceva inoltre tutti i lavori pesanti nella fattoria.
Belle Gunness inoltre fu avvistata parecchie volte successivamente alla sua presunta morte. Nel 1909 un cittadino di La Porte giurò di averla vista in casa dell'amica del cuore di Belle, Almetta Hay. Dopo la morte di Almetta nella sua abitazione venne rinvenuto il teschio di una donna avvolto in un materasso. Si potrebbe dedurre che si trattasse dei resti del cranio appartenuto alla donna uccisa nell'incendio, ma non furono mai fatte indagini a tal proposito.

fonte: Wikipedia

lunedì

Vera Renczi



è stata una criminale e serial killer ungherese. Ha avvelenato almeno 32 persone, forse fino a 35 durante il decennio 1920 - 1930, compresi i suoi mariti, amanti e un suo figlio tramite l'arsenico.

Storia

Nata in una ricca famiglia le cui radici risalgono alla piccola nobiltà ungherese a Bucarest, Romania, la famiglia si trasferì nella città di Berkerekul quando lei compì 10 anni di età. Con il compimento dei quindici anni diventò sempre più ingestibile da parte dei suoi genitori ed era solita scappare da casa con numerosi amanti, molti dei quali erano significativamente più anziani di lei. Gli amici della prima infanzia dicono che lei avesse un quasi patologico e costante desiderio di rapporti sessuali e compagnia maschile, inoltre era molto gelosa e possessiva.
Il suo primo matrimonio avvenne a Bucarest con un ricco uomo d'affari molto più anziano di lei, dal quale ebbe un figlio di nome Lorenzo. Lasciata a casa ogni giorno mentre suo marito era al lavoro, cominciò a sospettare che il coniuge le fosse infedele. Una sera, durante un attacco di gelosia, versò l'arsenico nel vino del consorte e successivamente raccontò a familiari ed amici che lei e suo figlio erano stati abbandonati.
Dopo un anno circa di "lutto", dichiarò che alcuni estranei le dissero che suo marito perse la vita in un incidente automobilistico.

Omicidi successivi

Poco dopo aver dichiarato la morte del marito per "incidente automobilistico", convolò nuovamente a nozze, questa volta per un uomo più vicino alla propria età. Tuttavia, il rapporto fu molto tumultuoso e la Renczi fu nuovamente colpita dal sospetto che il suo nuovo marito avesse delle relazioni extraconiugali. Pochi mesi dopo il matrimonio l'uomo sparì e la donna raccontò poi gli amici e alla famiglia che il coniuge l'aveva abbandonata. Dopo un anno, affermò di aver ricevuto una lettera dal marito il quale proclamava la sua intenzione di lasciarla per sempre. Questo fu l'ultimo matrimonio della donna.
La donna ebbe negli anni seguenti diverse storie d'amore, alcune clandestine con uomini sposati, altre vissute alla luce del sole. I suoi amanti appartenevano a diversi ceti sociali e tutti erano destinati a sparire nel giro di mesi, settimane o, in alcuni casi, addirittura giorni dopo essere stati "romanticamente" coinvolti dalla donna. Quando veniva coinvolta dalle indagini sulle sparizioni, recitava la classica sua scusa di essere stata abbandonata.
Le autorità furono istigate a indagare sulla Renczi dalla moglie di un suo amante, il quale, pedinato dalla consorte fino alla casa della rea, successivamente svanì nel nulla. Quando i poliziotti ispezionarono la cantina della donna rinvennero trentadue bare di zinco allineate, le quali contenevano i resti dei suoi amanti in vari stadi di decomposizione.
Vera Renczi fu arrestata e tenuta in custodia dalla polizia, dove confessò di aver avvelenato i trentadue uomini con l'arsenico quando sospettava che le fossero stati infedeli o quando non interessavano più la donna. Confessò anche alla polizia che spesso amava sedersi con la sua poltrona in mezzo alle bare, circondata da tutti i suoi ex amanti.
Vera Renczi confessò di aver ucciso i suoi due mariti e suo figlio Lorenzo. Questo, infatti, durante una visita alla madre, aveva accidentalmente scoperto le bare nella sua cantina e aveva deciso di ricattarla. Successivamente fu avvelenato dalla madre che si disfece del suo corpo.
La Renczi fu condannata per trentacinque omicidi con il carcere a vita. Si dice che la sua storia può avere ispirato a Joseph Kesselring la pièce teatrale Arsenico e vecchi merletti.

fonte: Wikipedia

Delfina e Maria de Jesùs Gonzàlez




dette Las Poquianchis, sono due serial killer messicane, che risulterebbero anche le più brutali del Messico.
Sorelle, hanno ucciso molte più di 91 persone, quasi tutte prostitute schiavizzate.

Omicidi

Tutti gli omicidi sono avvenuti nella città di Guanajuato, situata nel comune di San Francisco del Rincón, a 200 km da Città del Messico tra il 1950 e il gennaio del 1964 in un locale che le sorelle gestivano, chiamato “Bordello d'Inferno". Le vittime, quasi tutte donne, venivano adescate nel locale tramite annunci di lavoro sparsi per la città; pensando di essere assunte come cameriere con un buon rendimento, si dirigevano nel locale: una volta entrate venivano rapite e costrette a prostituirsi ai clienti a tempo pieno. Le condizioni igienico-sanitarie in cui vivevano erano pessime; restavano segregate per molto tempo e avevano poco da mangiare; spesso cadevano in malattia. Molte di loro erano costrette dalle sorelle ad assumere cocaina ed eroina e venivano bastonate. Quando diventavano troppo malate o danneggiate dai troppi stupri e maltrattamenti o quando non piacevano più ai clienti venivano uccise. Non è mai trapelato il modo in cui le uccidevano. I figli che le prigioniere, tra una violenza e l'altra, partorivano venivano sequestrati e uccisi poiché per le sorelle rappresentavano un peso inutile. Talvolta alcuni clienti stessi venivano uccisi, specialmente quando si presentavano con forti somme di denaro appresso. Delfina e Maria avevano anche delle complici: altre due sorelle, chiamate Carmen e María Luisa, che collaboravano ai loro crimini. Delfina e Maria non vennero mai sospettate di nulla: agli occhi degli altri apparivano come due donne miti e fortemente devote al cristianesimo.

La scoperta

Intanto la polizia, allertata dalle numerosissime scomparse, aveva iniziato alcune indagini. La svolta la si ebbe quando una prostituta chiamata Josefina Gutiérrez, che portava evidenti segni di malnutrizione e maltrattamento psicofisico venne arrestata alla stazione. Era sospettata di alcune sparizioni, ma per dimostrare la sua innocenza e porre fino al giro di violenze confessò tutto agli agenti e coinvolse anche le sorelle Delfina e Maria, le vere colpevoli. La polizia così entrò nel ranch delle sorelle, dove trovò: una dozzina di donne in gravi condizioni di salute, 80 cadaveri di prostitute, 11 cadaveri di clienti e un gran numero di feti umani morti. In tutto le vittime, esclusi i feti, erano almeno 91. I poliziotti, che ormai avevano abbastanza prove evidenti, le arrestarono e le processarono. Era il gennaio del 1964.

La fine

Entrambe le sorelle furono riconosciute colpevoli di almeno 91 omicidi e condannate a 40 anni di carcere, che era il massimo della pena secondo le leggi messicane. Carmen e María Luisa furono scagionate dagli omicidi ma condannate con una pena più lieve per reati minori. Il caso fece il giro del Messico e suscitò molto scalpore. Delfina ebbe un incidente nel carcere di Irapuato, a Guanajuato e morì dopo una lunga agonia; Carmen morì di cancro anch'essa nel carcere; María Luisa impazzì perché temeva che la folla inferocita la volesse linciare. L'unica che si "salvò" fu María de Jesús González che, dopo aver scontato diversi anni di carcere, tornò in libertà. Di lei non si seppe più nulla.

Curiosità

I film “The Devil's Sister”, del 1966, ri-girato nel 1968 come “Le Suore del Diavolo” e “Las Poquianchis” sono ispirati a questi eventi.
Le sorelle sono state oggetto del libro “Las Muertas” di Jorge Ibarguengoitia, scritto nel 1977.

fonte: Wikipedia