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profilattici




Intanto sfatiamo un mito: il preservativo, o profilattico, non è il più antico e diffuso metodo anticoncezionale del mondo. Perché il metodo più antico e diffuso è l’utilizzo del cosiddetto lato B, soprattutto da parte di chi i soldi per comprarsi i preservativi, in tempi pre-industriali, proprio non li aveva. Sgomberato il campo dall’equivoco, non c’è dubbio che da tempo immemore il genere umano si serva del preservativo. Pare che lo usassero già gli egizi e pure i cinesi e i giapponesi nei millenni che furono. Anzi, i giapponesi sembra utilizzassero cilindretti di cuoio e pure gusci di tartaruga, pur senza esser seguaci di un qualche marchese de Sade con gli occhi a mandorla.
Dall’età romana al medioevo il preservativo era sempre ben conosciuto: un pezzo di budello di agnello o di maiale, un nodo ben stretto da una parte, e il gioco è fatto. I legionari romani lo avevano sempre in saccoccia, una specie di dotazione militare, dovevano tener alto lo stendardo (della civiltà romana) e quando se ne stavano in giro per il mondo di allora, avevano l’obbligo di dimostrare di essere viri oltre che cives (sì, è vero: è latinorum, comunque vir è l’uomo inteso come maschio, civis è il cittadino depositario di diritti), ma non potevano certo rischiare di portarsi a casa qualche strano morbo appiccicato da una galla piuttosto che da una getula.
Più tardi, alla Chiesa quella cosa lì non garbava granché. E così cardinali, vescovi e preti cominciano a prendersela con i profilattici che impediscono di procreare. La Chiesa medievale ce l’ha su con un mucchio di cose. Per esempio fino a tutto il Duecento la gente si lavava abbastanza regolarmente, solo che siccome quasi nessuno aveva l’acqua in casa, i lavacri avvenivano nei bagni pubblici, dove uomini e donne si strigliavano allegramente in vasche comuni. E poi, si sa, la carne è debole... Non sappiamo se il gran uso di preservativi che evidentemente doveva avvenire nei bagni pubblici medievali abbia fatto sì che assieme ai bagni pubblici siano stati aboliti pure i preservativi. È certo, invece, che gli europei abbiano smesso di lavarsi per cinque secoli e mezzo (cioè fino alla scoperta dell’igiene a metà Ottocento; in qualche caso, almeno a giudicare da certi vicini di autobus o metropolitana, il divieto ecclesiastico sopravvive tutt’ora). La regina Elisabetta I d’Inghilterra si faceva un bagno al mese e veniva considerata un’igienista, il Re Sole si è fatto due bagni in vita sua, perché gliel’aveva ordinato il medico, e pare abbia trovato l’esperienza piuttosto sgradevole.
Contro il divieto di lavarsi nulla hanno potuto le malattie legate alla sporcizia: scabbia, tigna e quant’altro, erano considerate delle sgradevoli, ma inevitabili, compagne d’esistenza. Contro il divieto di usare il preservativo molto invece ha potuto una malattia che procurava non soltanto furiose grattate, ma un biglietto di sola andata da consegnare a Caronte. Trattasi della sifilide.
La prima significativa epidemia di sifilide è stata un danno collaterale della discesa in Italia dei soldati di Carlo VIII. Quando arrivano a Napoli, nel 1459, cominciano a contagiare le allegre guaglione, e poi, risalendo la penisola spargono l’infezione per ogni dove.
Test dei profilattici in una fabbrica vietnamita, a Ho Chi Minh (Hoang Dinh Nam/Afp)
«Che sarà mai questo male novello che natura mi vuole donar?» La domanda assilla il Fanfulla di turno («passa un giorno, due giorni, tre giorni a Fanfulla gli prude...», come recita la nota canzone goliardica). La risposta viene fornita da un medico umanista veronese, Girolamo Fracastoro, che nel 1530 pubblica un libro dal titolo Syphilis sive De morbo gallico, che individua nei soldati di Carlo VIII e primi propagatori del contagio. La malattia verrà conosciuta per qualche secolo in tutta Europa come “mal francese” o “morbo gallico”, ma non in Francia, dove sarà chiamata “mal napolitain” (e te pareva che i francesi si potessero accreditare qualcosa di negativo!). Gli studi sulla sifilide verranno poi ripresi dal medico modenese Gabriele Falloppio (più noto per aver dato il nome alle omonime tube) che per proteggersi suggerisce un preservativo di lino, immerso in soluzioni disinfettanti (e poi riutilizzabile). Anche William Shakespeare mostra di tenere in buona considerazione quello che chiama il «guanto di Venere».
Nel Settecento i preservativi conoscono grandissima diffusione. Erano di budello animale oppure di seta, con un vezzoso nastro per fissarli bene alla base. Naturalmente si potevano riutilizzare dopo una lavatina. Le capitali del libertinismo europeo all’epoca erano Parigi a Venezia e un veneziano che scriveva in francese, dimostra di apprezzare l’ammennicolo. Giacomo Casanova ne usa uno personale, in lino, e lo ribattezza «cappotto inglese». Non era sempre stato così, però, perché quand’era ancora un giovane abate pieno di speranze e di vigore, aveva detto: «Non mi agghinderei mai con una pelle di morto per dimostrare di essere vivo». Ma poi succede di cambiare idea e scriverà: «Dieci anni fa l’avrei definita un’invenzione del diavolo, ma oggi ritengo che il suo inventore dovesse essere un uomo dabbene».
Controllo manuale prima dell’impacchettamento a Erfurt, in Germania (Jens-Ulrich Koch/Afp)
La vera rivoluzione, però, è quella provocata circa un secolo più tardi dall’americana Goodyear che mette a punto un processo per vulcanizzare la gomma. Nel 1855 comincia la produzione in serie di preservativi di gomma e il resto è storia recente. L’aggeggio viene appellato con diversi nomi, le cui origini sono oscure come quelle dell’oggetto a cui il nome si riferisce. Condom potrebbe derivare dal nome di un medico del re inglese Carlo II (di incerta esistenza, però; il medico, non il re) o dal nome della cittadina francese di Condom, nel dipartimento di Gers, dove le locali macellerie si sarebbero specializzate nel fornire intestini animali ammorbiditi con l’olio di mandorle. Per chi fosse interessato anche a Bacco, oltre che a Venere, la cittadina è nota (anche? soprattutto?) per la produzione di eccellente Armagnac.
In Italia settentrionale, invece, è comune il nomignolo “goldone”, potrebbe derivare da Franco Goldoni, fondatore della Hatù, nota per il suo Settebello (che in questo caso non ha nulla a che fare con la nazionale di pallanuoto) oppure dal fatto che i soldati americani arrivati in Italia durante la Seconda guerra mondiale usavano preservativi confezionati nella stagnola dorata con scritto Gold One. Un articolo delCorriere della Sera del 1998 segnala che era in corso una battaglia tra Hatù-Durex e Primex Perdonate per la produzione di un preservativo di nome Gold destinato al mercato italiano. La battaglia contro l’Aids ha fatto impennare le vendite di preservativi, ma oggi che l’Aids sembra una malattia dimenticata anche la popolarità del profilattico sembra in calo. Peccato che l’Aids sia dimenticata, ma non certo debellata. Sarebbe bene ricordarlo sempre (Infografica: Il mondo contro l’Aids: una battaglia che stiamo vincendo?)
fonte: www.linkiesta.it

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