mercoledì

la storia di Anteo Zamboni, il ragazzo che voleva uccidere Mussolini


«Degli attentati da me subiti, quello di Bologna non fu mai completamente chiarito. Certo che me la cavai per miracolo. L'esecutore, o presunto tale, fu invece linciato dalla folla. Con questo atto barbarico, che deprecai, l'Italia non dette certo prova di civiltà.» 
Tra l'inizio del novembre 1925 e la fine dell'ottobre 1926, Benito Mussolini scampò a quattro attentati. Secondo molte voci questi eventi finalizzati ad uccidere il Duce erano ispirati da potenze straniere. Mussolini ne ricavò la certezza d'essere protetto da una buona stella. L'attentato che più mise in pericolo la vita dell'uomo nato a Predappio fu l'ultimo dei quattro, evento avvenuto a Bologna il 31 ottobre del 1926. L'accadimento della città emiliana destò profondo dolore per l'esecuzione sommaria dell'attentatore, un ragazzo che aveva da poco superato i 15 anni. Quel ragazzo si chiamava Anteo Zamboni.
Anteo nacque a Bologna l'11 d'aprile del 1911. Figlio di Mammolo Zamboni e Viola Tabarroni. Solitario e taciturno, fu soprannominato in seno alla famiglia “il patata”, pare a causa della sua scarsa intelligenza.
Il padre, ex anarchico, svolgeva l'attività di tipografo. Probabilmente abbandonò gli ideali anarchici nel momento in cui ricevette il compito di stampare i fogli di propaganda fascista della locale sezione del partito.
Si sa, gli ideali sono importanti, ma il pane in tavola bisogna pur metterlo.
Anche il figlio Anteo sarà ricordato da tutti come giovane anarchico malgrado avesse aderito all'organizzazione giovanile fascista, forse in questo spinto dal padre o forse il ricordo sarà costruito in funzione dell'attività svolta dal padre.
Ricostruite gli ideali di un quindicenne risulta complesso, ancora di più a quasi un secolo dagli eventi narrati.
Possiamo facilmente ricostruire i fatti di quella sera dell'ottobre 1926.
Ricostruirli sino al momento antecedente lo sparo poiché, in questo caso, non vi è un Gaetano Bresci che candidamente ammette l'omicidio, ricordato come regicidio, di Re Umberto.


Il 31 ottobre 1926 ricorreva il quarto anniversario della nomina a primo ministro di Mussolini dopo la marcia su Roma.
Bologna attendeva l'evento con il vestito della festa: la città era addobbata con fasci e tricolori.
La gente premeva sulle spalle del vicino per il passaggio del corteo fascista.
Voci sommesse e urla sguaiate.
Bambini tenuti per mano e neonati lanciati nel tramonto della sera.
I nemici del regime furono messi preventivamente sotto custodia.
Mussolini si trovava a Bologna non solo per la commemorazione ma, soprattutto, per l'inaugurazione del nuovo stadio Littorale, all'epoca il più capiente d'Italia.
Il Duce si trovava a bordo di un'automobile scoperta, guidata dal Ras di Bologna, Leandro Arpinati, amico del padre del futuro attentatore.
Arpinati non fu solo amico del padre, ma ne condivise gli ideali anarchici in gioventù.
Il corteo delle automobili si dirigeva verso la stazione quando, all'altezza di via Indipendenza, uno sparo di rivoltella echeggiò nella gioiosa festa d'ottobre.
Il colpo mancò il bersaglio.
Questione di millimetri.
Il proiettile trapassò la fascia dell'Ordine Mauriziano che Mussolini indossava, lasciandolo illeso. La ricostruzione del concitato momento la troviamo nelle parole del maresciallo maggiore Francesco Burgio: «Mi trovavo come spettatore accanto ai militari di prima linea che erano di cordone, presso l'angolo di via Rizzoli e di via dell'Indipendenza, quando giunse il corteo presidenziale. Mentre dalle finestre dei palazzi cadevano fiori sull'automobile del Duce, un individuo, allontanato bruscamente un soldato del cordone, ha allungato il braccio destro in direzione dell'onorevole Mussolini facendo l'atto di sparare. Per fortuna un maresciallo dei carabinieri, il signor Vincenzo Acclavi, del nucleo di Trieste, dava un brusco colpo al braccio dello sconosciuto; così che il colpo, esploso in quel momento, deviava e il Duce sfuggiva per miracolo al criminoso gesto dell'attentatore. Fra i primi ad afferrare lo sparatore furono un tenente del 56º fanteria ed alcuni squadristi.» Il tenente di fanteria che per primo agguantò il presunto attentatore era Carlo Alberto Pasolini, padre di Pier Paolo.
Il giovane una volta bloccato fu colpito.
Ripetutamente.
Fu pugnalato.
Quattordici, 14, volte.
Fu esploso un colpo di pistola, indirizzato al corpo che inerme giaceva sul selciato.
Il ragazzo, morente, fu spogliato e abbandonato ai margini del corteo di gente e automobili.


Benito Mussolini rientrò a Roma.
Il 25 novembre del 1926 furono approvati alcuni provvedimenti eccezionali contro gli antifascisti.
Poco dopo, o forse a causa, dell'attentato di Bologna nascevano le Leggi per la difesa dello Stato.
L'attentatore, meglio sarebbe descriverlo come lo strano attentatore poiché si trattava di un quindicenne figlio di persone legate all'ambiente fascista, era morto. Non poteva dare spiegazioni necessarie a trovare i mandanti.
Le indagini inizialmente si svolsero negli ambienti dello squadrismo locale, Bologna, e di città vicine, Cremona.
Il Ras di Bologna, Arpinati, era amico del padre dell'attentatore. Amicizia maturata nella comune appartenenza ad ideali anarchici, che i due abbandonarono per convenienza politica o economica. Le accuse rivolte ad Arpinati parvero infondate, non così quelle nei confronti del Ras di Cremona, il famoso Roberto Farinacci, ricordato da molti come la “suocera del regime” a causa del suo impegno politico nei confronti di alti gerarchi fascisti.
Perché Farinacci, fascistissimo, avrebbe dovuto attentare alla vita di Mussolini?
Il Ras di Cremona perse molte simpatie nelle alte sfere del regime dopo la decisione di difendere personalmente uno degli assassini di Matteotti. Il Duce voleva poco clamore intorno al processo, ma Farinacci fece in modo che l'obiettivo di Mussolini fosse disatteso.
Tra una seduta e l'altra fu costretto alle dimissioni e al ritorno nella natia Cremona, dove svolse l'attività di avvocato non smettendo mai di propugnare il ritorno al fascismo delle origini. Raccolse intorno a se molti consensi, che l'elevarono alla figura di anti-Duce. Farinacci fu l'unico gerarca fascista non invitato ufficialmente alle celebrazioni di Bologna. Molte testimoni dichiararono d'aver visto il Ras di Cremona nella città emiliana, dove si aggirava solitario e accigliato per le vie del centro.
Esistendo chiare possibilità di un complotto interno al regime fascista, le autorità imposero di non indagare ulteriormente visto le gravi ripercussioni che ciò avrebbe avuto sull'opinione pubblica.
L'attentato era opera di un elemento isolato.
Un ragazzo di quindici anni di età.


Possibile che un quindicenne avesse operato da solo un attentato al Duce?
Le autorità ipotizzarono la presenza sulla scena del crimine del fratello maggiore di Anteo Zamboni, Ludovico, nonché la corresponsabilità del padre Mammolo e della zia, Virginia Tabarroni. Lodovico Zamboni fu presto scagionato da ogni responsabilità poiché si trovava a Milano nel corso di quella giornata d'ottobre. Le autorità si concentrarono sull'ipotesi del complotto familiare, basandosi unicamente sui trascorsi anarchici di Mammolo Zamboni.
I procedimenti penali si conclusero con la condanna a 30 anni di carcere per Mammolo e Virginia, responsabili d'aver influenzato il giovane Anteo con idee anarchiche. I fratelli Lodovico e Assunto furono scagionati da ogni responsabilità ma comunque condannati al confino in quanto elementi pericolosi: Lodovico a Ponza e Assunto a Lipari.
Il confino fu stabilito per un periodo di 5 anni.
Il 24 novembre 1932, Benito Mussolini decise di graziare i condannati. Questa decisione fu influenzata dal forte intervento di Arpinati, amico di Mammolo, che all'epoca della grazia ricopriva la carica di sottosegretario agli interni.
Mammolo Zamboni continuò a professare l'assoluta innocenza del figlio e della famiglia.
Proclami che cambiò radicalmente nel secondo dopoguerra.
Mammolo sostenne che la paternità dell'attentato era del figlio Anteo, inoltre spiegò che dovette professare l'innocenza del ragazzo per scagionare se stesso e la famiglia dalle accuse.
E se dietro gli attentati a Mussolini vi furono intrighi internazionali?
Francia e Gran Bretagna potevano avere interessi ad eliminare il Duce?
Il 7 aprile del 1926, un'aristocratica irlandese, Violet Albina Gibson, sparò a Mussolini ferendolo leggermente al naso. La famiglia della Gibson aveva relazioni amichevoli con il ministro degli Esteri britannico, sir Austen Chamberlein. Il governo inglese cercò di convincere Mussolini ad insabbiare il caso, accadimento che probabilmente riuscì dato che il 12 maggio 1927 il tribunale speciale dichiarò la Gibson incapace d'intendere e volere ordinandone l'espulsione dall'Italia.
Di certo c'è solo che Mussolini impose drastici cambiamenti, inserendo la pena di morte per chiunque attentasse alla vita del Re, della Regina o del principe ereditario, senza dimenticare il presidente del Consiglio.
Scolpito nella memoria collettiva il sentito intervento del Papa, Pio XI, dopo l'attentato di Bologna: «si tratta di un criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista e che ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento.»


Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia

Franco Fucci – Le polizie di Mussolini, la repressione dell'antifascismo nel Ventennio – Milano, Mursia 1985

Marco Cesarini Sforza – Gli attentati a Mussolini. Per pochi centimetri fu sempre salvo – Storia Illustrata 1965

Brunella della Casa – Attentato al Duce. Le molte storie del caso Zamboni – Bologna, Il Mulino 2000

Arrigo Petacco – L'uomo della provvidenza – Milano, Mondadori 2004

Sandro Gerbi – Perché il Patata sparò al Duce – Il corriere della sera, 15 febbraio 1996

Mario Fusti Carofiglio – Vita di Mussolini e storia del Fascismo – Torino, Società Editrice Torinese 1950



giovedì

la storia dell'ultima donna condannata a morte per stregoneria


Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle
[Voltaire]

I primi vagiti della rivoluzione francese s'udivano in lontananza.
L'uomo iniziava il suo distacco dai secoli bui della caccia alle streghe.
Una donna, ancora, doveva perire per mano dell'Inquisizione. 

Il tempo fugge lontano, a quel giorno in cui la piccola Anna, questo il nome dell'ultima donna uccisa con l'accusa di stregoneria, nacque da Adrian e Rosina.
Quarta di otto figli.
Anna ebbe fortuna poiché trovò la luce in una famiglia benestante, in grado di possedere un proprio sigillo. Il bisnonno era giudice presso la chiesa di Sennwald, mentre il nonno era portabandiera dello stesso paese.
Sennwald è un paese di confine, tra la terra elvetica e quella austriaca.
I problemi della giovane iniziarono quando il nonno entrò in conflitto con la struttura politica, religiosa e sociale del piccolo borgo. Fu arrestato per questioni legate alla proprietà di alcuni terreni. Ritenuto colpevole fu condannato alla prigione e al pagamento di una multa cospicua.
Riuscì a fuggire e trovare riparo in terra italica.
Sparì.
La famiglia fu costretta al pagamento del debito pecuniario e, ridotta in povertà, perse il prestigio acquisito dalle precedenti generazioni.
Anna, ancora giovane, dovette abituarsi a girovagare tra i paesi limitrofi per trovare un lavoro.
Ora la serva presso il sindaco di Malenfeld ora la panettiera a Sax.
Tra il 1762 e il 1765 tornò a Sennwald per lavorare presso l'abitazione del pastore.
Durante questa permanenza nel paese d'origine conobbe un uomo, Jakob, di cui s'innamorò perdutamente. Dalla relazione nacque un figlio, che morì in circostanze misteriose.
La morte del piccolo rappresentò l'inizio della persecuzione, fisica e psicologica, della donna.
I dolori non giungono mai soli.
Jakob abbandonò Anna per arruolarsi, come mercenario, nell'esercito dei Paesi Bassi.
La donna fu accusata d'infanticidio.
A 31 anni iniziò il suo doloroso rapporto con l'Inquisizione.


La sentenza di colpevolezza comportò la condanna a 6 anni agli arresti domiciliari. La pena della detenzione la consumò prendendo servizio presso un pastore di Mollis, nel cantone di Glarona. Anna s'innamorò del figlio del pastore, con il quale intrecciò una relazione amorosa. La donna rimase nuovamente incinta. La famiglia del pastore decise di farla partorire a Strasburgo, all'ombra della maestosa cattedrale gotica.
Correva il 1775.
Anna partorì, ma del figlio si persero subito le tracce.
La donna decise d'abbandonare l'innamorato e, tornando nel canton di Glarona, prese servizio presso la casa di un rilegatore. Durante questo lavoro strinse amicizia con i coniugi Steinmuller, che le saranno vicini sino alla triste ora.
Settembre 1780.
Anna decise di cambiare datore di lavoro, spostandosi presso la famiglia di un medico e giudice, Jakob Tschudi-Elmer. Strinse un forte legame con la figlia del medico, Anna Maria di sette anni. La piccola accompagnava Anna nelle passeggiate e nelle visite alla famiglia Steinmuller. Durante una di queste gite la coppia offrì del cibo e delle bevande alla bambina: Anna Maria consumò un biscotto presso l'abitazione dei coniugi Steinmuller.
Particolare l'annotazione del biscotto, lakerli nella locale lingua, ma fondamentale perché da quel piccolo dolce deriva tutto il resoconto che seguirà.
Settembre 1781.
Sono trascorsi pochi giorni dalla somministrazione del biscotto alla piccola Anna Maria quando, nella propria abitazione e sotto l'attento sguardo del padre, furono rinvenuti degli aghi nella tazza della bambina.
Lo sconforto fu elevato.
I giorni seguenti rappresentarono la discesa negli inferi.
Regolarmente aghi e spilli furono rinvenuti nel cibo della bambina.
Lo spavento per la sorte che incombeva sulla bambina comportò la ricerca immediata di un colpevole.
La caccia alle streghe poteva cominciare.
Velocemente i coniugi risalirono a quel biscotto consumato dagli Steinmuller.
Anna Goldi aveva stregato il biscotto per nuocere ad Anna Maria.
Il suo passato lo testimoniava!
Era un'infanticida e una strega.
Anna decise di riparare presso l'abitazione dei coniugi Steinmuller, decidendo in seguito di trasferirsi presso la sorella a Sax.
Nel cibo della piccola Anna Maria ancora spilli.
Ancora aghi.
L'incantesimo che colpiva la bambina non s'era spezzato.
Alla fine del mese d'ottobre la situazione precipitò, in relazione al verificarsi di convulsioni che attanagliavano il corpo della piccola.
La strega non si trovava.
La strega era fuggita!


Le autorità del cantone decisero d'affiggere manifesti di ricerca. Sulla testa, e capirete in seguito l'importanza di questa affermazione, di Anna Goldi fu elevata una taglia di 100 corone: cifra elevatissima in riferimento all'epoca dei fatti.
La donna decise di scappare, lontano.
Discese la valle del Reno verso San Gallo, per approdare nella zona dell'Appenzello.
Riuscì nell'intento di nascondersi alle autorità per un breve lasso di tempo: fu catturata a Dehersheim il 21 febbraio del 1782.
Fu condotta nel cantone di Glarona dove l'aspettava la giustizia popolare.
Gli abitanti chiesero a gran voce che Anna si recasse presso l'abitazione della piccola Anna Maria per operare i suoi sortilegi e togliere il malocchio che infestava la bimba e la casa ove viveva.
Il 15 marzo del 1782 la donna accusata di stregoneria si recò presso la casa della famiglia di Anna Maria e operò le sue cure: un breve massaggio, qualche carezza.
La bambina ricominciò a camminare e smise di vomitare spilli.
La guarigione fu ritenuta la prova delle capacità di Anna.
La strega fu imprigionata.
Torturata.
Distrutta nel corpo e nello spirito.
Il 6 giugno si riunì il consiglio Evangelico Glaronese che sentenziò, con 32 voti a favore e 30 contro, la condanna a morte per Anna Goldi.
La donna fu riconosciuta colpevole di avvelenamento.
Il 13 giugno del 1782 Anna morì per impiccagione.
Tre secoli dopo la pubblicazione del Malleus Maleficarum si chiudeva una delle pagine più tristi e vergognose della storia recente dell'umanità.
La caccia alle streghe rimarrà una ferita sempre aperta nella mente dei giusti.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/



Bibliografia
Eveline Hasler - L'ultima strega - Dadò, Locarno, 1994
Walter Hauser - Der Justizmord an Anna Göldi. Neue Recherchen zum letzten Hexenprozess in Europa - Limmat Verlag, Zurigo, 2007.

Immagini
1- Anna Goldi all'interno del museo a lei dedicato
2- Illustrazione degli aghi utilizzati - secondo l'accusa - da Anna Goldi 
3- Descrizione degli aghi 

domenica

feti, aborti volontari, denaro e vaccini


Studiando le nanocontaminazioni dei vaccini (contaminazioni di polveri inorganiche) al microscopio elettronico, ho trovato 3 entità che per forma e dimensione mi sembravano dei globuli rossi. Potete vedere l'immagine nel nostro ultimo articolo a pagina 11, (https://goo.gl/azBSCi) dove dico di aver trovato cellule dalla morfologia simile ai globuli rossi.

Ovviamente la cosa mi sembrava strana, anche se non è una sorpresa che per fare alcuni vaccini siano utilizzate cellule umane coltivate in vitro.

In particolare, la linea cellulare WI-38 (https://goo.gl/TaaQ3s) è una linea cellulare fibroblastica diploide umana derivata da un feto di tre mesi, proveniente da una gravidanza terapeuticamente nel 1962 negli Stati Uniti. Un'altra linea cellulare, MRC-5 (https://goo.gl/rtwQAR), deriva da fibroblasti polmonari di un feto di 14 settimane nel 1966 nel Regno Unito (aborto a quanto pare procurato perché la madre era paziente psichiatrica. Non commento su quale pensieri orrendi mi fa precipitare questa frase).

Queste DOVREBBERO essere attualmente le uniche linee di cellule fetali utilizzate per coltivare virus per i vaccini, mentre per la maggior parte degli altri vaccini sono utilizzate linee cellulari da animali come cani, polli e scimmie.

I principali vaccini che prevedono l'utilizzo di cellule umane (in America) sono:
 Epatite A
[VAQTA/Merck, Havrix/GlaxoSmithKline, e una parte di Twinrix/GlaxoSmithKline]
Rosolia
[MERUVAX II/Merck, parte del MMR II/Merck, e ProQuad/Merck]
Varicella (chickenpox) vaccine [Varivax/Merck, e parte del ProQuad/Merck]
Herpes Zoster [Zostavax/Merck]


Ma sono cellule coltivate in vitro, non dovrebbero prevedere la necessità di nessun nuovo feto!

Qui https://goo.gl/MDnHo7 e qui https://goo.gl/WU41wT trovate i prezzi di queste cellule:
 dai 250.000 agli 80.000 dollari.

Ora in America la notizia è ufficiale, grazie alla testimonianza del Professor Alvin Moss, del Center for Health Ethics & Law department at West Virginia University.

Nel video che allego,il 18 Marzo scorso, testimonia di fronte al West Virginia Education Committee, dice:
 "Ho qui con me un report interno della CDC che evidenzia in giallo tutti i vaccini, di largo impiego ed utilizzo che utilizzano cellule estratte da FETI ABORTITI per la loro composizione (e li enumera col nome commerciale, uno per uno). In tutto sono dieci vaccini in normale commercio al momento."

I consultori famigliari, come il Planned Parenthood Institute(https://www.guttmacher.org/tags/planned-parenthood ) aiutano la donna a interrompere la gravidanza, dopodiché, a porte semichiuse, inizia un altro percorso molto redditizio.
Sì perché quel feto a cui non verrà data una pietosa sepoltura, come ci si aspetterebbe, sarà sezionato in tante parti:
 fegato, rene, timo, pelle, ecc. ( un rene può costare 350 dollari) e i singoli pezzi venduti a ditte che producono varie cose, ad esempio usano i tessuti umani per poi fare vaccini.

Non solo, ma da queste audizioni del Governo sono nate varie inchieste che coinvolgono anche l'FBI. Si sta scoprendo, grazie al Presidente dello Stato dell'Iowa e della Commissione Giustizia del Senato Americano, Sen. Grassley (https://www.grassley.senate.gov/…/grassley-refers-planned-p…) , che gli istituti
  StemExpress, LLC;
 Advanced Bioscience Resources, Inc.;
 Novogenix Laboratories, LLC;
 Planned Parenthood Mar Monte;
Planned Parenthood Los Angeles;
 Planned Parenthood Northern California; and
 Planned Parenthood of the Pacific Southwest
vendono, pezzo per pezzo, i feti abortiti a ditte farmaceutiche, naturalmente contro la legge americana.

La domanda che sorge spontanea è: i nostri consultori famigliari fanno lo stesso?
Vendono anche loro più o meno sottobanco organi fetali alle ditte italiane che producono vaccini, e voglio risparmiare sulle cellule coltivate in vitro? Esiste anche da noi questo mercato?
Per mia esperienza, quando ci sono soldi da spartirsi, le procedure di legge saltano o sono carenti.

Volendo bypassare i problemi etici e concentrandoci sulla parte scientifica, se un feto rende tanto, qualcuno (chi vende o chi compra) spende soldi per vedere se il feto era perfettamente sano? si fanno indagini genetiche.? Il compratore si assicura del buono stato di salute della madre? Può accedere alla sua cartella clinica? Può controllare, ad esempio, l'esistenza di malattie pregresse, anche solo un banale herpes zooster? (un virus che non scompare mai una volta che ha aggredito l'individuo).
Tutti i protocolli di conservazione dei tessuti e di trasporto sono fatti a norma?
Il passaggio di denaro è registrato? è denunciato alle tasse?
 Aspettiamo di vedere i risultati delle indagini in corso in America, ma intanto sarebbe necessario verificare qual è la situazione in Italia. Già nel 2005, su questo tema, si era espresso il Vaticano con un documento ufficiale: https://www.scribd.com/…/40957…/Vatican-response-to-vaccines

Qui gli altri documenti:
 https://goo.gl/NtExhEhttps://goo.gl/DUqUFFTra i quali potete trovare altre informazioni, quali l'utilizzo di cellule epatiche di cane (MDCK (NBL-2) (ATCC® CCL-34™) (coltivate in vitro?) (https://goo.gl/VfL2RK) per produrre i vaccini per l'influenza, ad esempio (https://goo.gl/Nb7kDM)
Il video appartiene a http://sg001harmony.sliq.net/00289/Harmony/en/PowerBrowser/PowerBrowserV2/20170318/-1/6461
Fonte tratta dal sito  .

fonte: http://wwwblogdicristian.blogspot.it/

martedì

Pietro d'Abano, medico e astrologo bruciato sul rogo un anno dopo la morte


Pietro d'Abano, latinizzato in Petrus Patavinus, fu celebre medico e filosofo italiano del medioevo. Nacque nel 1250 in Abano, villaggio della provincia di Padova ai piedi dei colli Euganei. 
Pietro fu uno dei più colti scienziati dei suoi tempi, ed i suoi scritti donano ai posteri una grande impronta di originalità. Fu tenuto in considerazione come uno dei principali rinnovatori della vera scienza in Italia.  Amico di Marco Polo, visse a lungo a Costantinopoli per imparare il greco e l'arabo, studiando in originale i testi di Galeno e Avicenna. La partenza dal Veneto potrebbe considerarsi una fuga poiché in patria lo inseguiva l'accusa d'aver partecipato ad un omicidio.

Le notizie sulla vita di Pietro sono scarse e lacunose, purtroppo.

Tornò in Veneto per dirigersi a Parigi dove insegnò medicina, filosofia e astrologia all'università. In questo periodo subì il primo processo per eresia ma fu rilasciato grazie all'intervento del papa. L'anno esatto dell'incriminazione dovrebbe essere il 1300. Non è conosciuto l'anno in cui fu rilasciato.

Nel 1306 fece ritorno a Padova per insegnare nella locale università. 
Immediatamente fu agguantato dalla Santa Inquisizione. 
Subì un secondo processo, per negromanzia, senza incorrere nella sentenza definitiva, ossia il rogo purificatore. 


Perché la sua dottrina lo fece inquisire come negromante?
Cos'è la negromanzia?
La negromanzia, che deriva da una parola greca composta da altre due ovvero morto e predizione, è una forma di divinazione in cui i praticanti cercano di evocare spiriti e defunti. A partire dal medioevo la negromanzia fu associata alla magia oscura e all'evocazione di demoni. 
Perché Pietro d'Abano fu accusato di praticare la negromanzia?
Questo difficilmente lo potremmo scoprire, sappiamo però che il medico e filosofo portò nel nostro paese un insieme di conoscenze e concetti ignorati in precedenza. 
Pietro d’Abano non credeva che i pianeti fossero spiriti, quanto piuttosto corpi fisici superiori, che muovono ed influenzano in modo naturale gli esseri terreni, in particolare il corso delle malattie e la salute dell’uomo. L’astrologia-astronomia si configura dunque scientia licitae non ‘superstiziosa”. Una scienza “lecita” dunque, basata su cause del tutto naturali, che non contrastava soprattutto con le leggi divine dato che gli astri, nella visione di Pietro d’Abano, rappresentavano le “cause intermedie” tra Dio, l’origine di tutto, e gli eventi terreni. Questi accenti forse spiegano il motivo dei vari processi che Pietro dovette subire, senza che ci sia bisogno di ammettere da parte sua alcuna attività di mago o negromante. 1
La realtà spesso supera la fantasia dell'uomo moderno. 
Su Pietro d'Abano circolavano in Padova voci circa il fatto che avesse appreso le sette arti liberali da altrettanti spiriti, che egli stesso aveva rinchiuso in un'ampolla di cristallo, e che fosse capace di far tornare il denaro speso nella propria borsa.
Vox populi, vox Dei.
La voce del popolo, la voce di Dio.


Le accuse di negromanzia scavarono nell'ambiente più torbido ma anche più conosciuto dell'epoca. Il negromante Pietro comandava l'occulto!
Specchi, drappi e cerchi.
Cieli neri, lampi e lingue di fuoco.
Strane figure che appaiono dalle pareti e si aggrovigliano in un processo di moltiplicazione.
Potere della fantasia e della superstizione, mai sopita nel genere umano.
Torniamo alla realtà dei fatti.


Durante il soggiorno padovano, probabilmente, ispirò Giotto nella stesura pittorica del ciclo che ornava Palazzo della Ragione. Il ciclo andò perduto a causa di un incendio che si sviluppò nelle stanze del palazzo. Fu rifatto, dopo il 1420, da alcuni pittori seguendo il medesimo schema iconografico. Il ciclo è suddiviso in 333 riquadri e si sviluppa su tre fasce sovrapposte. Risulta uno dei rarissimi cicli astrologici medievali giunti sino a noi. 
La decorazione pittorica, dovuta a Niccolò Miretto e Stefano da Ferrara, si svolge nelle "tre fasce superiori" delle quattro pareti su oltre 200 metri lineari (il punto di partenza è l'angolo sud-est, parete su piazza delle Erbe, segno dell'Ariete). Il tema astrologico è diviso in dodici comparti corrispondenti ai mesi, articolati ciascuno in tre fasce di nove ripiani. Ogni comparto comprende le raffigurazioni di un apostolo, dell'allegoria del mese, del segno zodiacale, del pianeta, delle occupazioni tipiche, dei mestieri, delle costellazioni: tutto intorno sono rappresentate le attività e i caratteri individuali delle persone definiti dalle influenze astrali, a loro volta legate alla data di nascita e all'ascendente. Nella "fascia inferiore" sono raffigurate le insegne dei giudici (dischi), simboleggiate da animali, a cui si aggiungono le virtù cardinali e le virtù teologali, i Santi protettori di Padova.


Ma non gran tempo dopo aver ispirato il sommo artista fu, nuovamente, accusato d'eresia.
I capi d'imputazione erano 53.
I motivi alla base dell'accusa quali possono essere stati?
L'aver impugnato l'esistenza dei demoni, l'aver dubitato della vera resurrezione di Lazzaro e l'aver avanzato dubbi su altri punti facenti parte del dogma della chiesa.
I preti inquisitori d'allora lo agguantarono per le strade di Padova e lo tradussero nelle carceri cittadine per sottoporlo a nuovo processo. 
Durante lo svolgimento del procedimento morì.
Correva l'anno 1316, forse il 1315.
Del passato non v'è certezza in talune occasioni.
Fu sepolto, in onta al volere degli inquisitori, nella chiesa di Sant'Antonio.
Il tribunale dell'inquisizione, implacabile, lo volle perseguire estinto, pubblicando la sentenza di condanna e bruciandolo in effigie. 2
La morte fisica, avvenuta probabilmente in seguito al rigoroso esame, consente a Pietro di sorpassare la storia e d'entrare nella leggenda. Il medico e astrologo fu ritenuto, erroneamente, l'autore di alcuni testi di magia bianca e nera, come l'Heptameron o libro delle evocazioni, all'interno dei quali si narra di cerchi magici, di esorcismi e di riti per evocare gli angeli o i geni delle ore e delle stagioni. Le cerimonie descritte nel testo conducevano all'utilizzo di profumi, acqua santa, vasi di terra e fuochi per evocare gli spiriti, benigni i maligni che fossero.
I filosofi arabi sono del parere che alcuni individui si sollevino oltre le forze del corpo e della sensorialità e superando queste con l'ausilio del cielo e delle intelligenze giungano ad assumere entro di loro una forza divina. 
Pietro d'Abano studiò a stretto contatto con questi pensatori durante il soggiorno a Costantinopoli. 
Ritornò in Italia con un bagaglio di idee sino ad allora sconosciute sul suolo italico.
La figura di Pietro si colloca a cavallo tra duecento e trecento e sul difficile crinale tra medicina e astrologia. 
La mentalità ristretta dei frati inquisitori contribuì alla diffusione delle leggende sulla figura, carismatica, di uno scienziato dotato di grande ingegno ed intelletto. 
La riesumazione del cadavere per costringere il popolo allo spettacolo del fuoco, appartiene alle forme di controllo delle masse da sempre praticate dal potere, sia esso politico che religioso.


Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia

Prioreschi Plinio – A history of medicine - 2003

Seller Fabio – La fondazione epistemologica dell'astrologia in Pietro d'Abano – 2009

Panetto Monica – La lezione di Pietro d'Abano a 700 anni dalla morte – 25 giugno 2015

Centro studi Il Convivio – La storia esemplare di Pietro d'Abano – 2011

Il Mattino di Padova – Per Pietro l'eretico, il rogo dopo la morte – 16 marzo 2016

Tamburini Pietro – Storia generale dell'Inquisizione – Bastogi 1862

Ludwig Tieck – Pietro di Abano – Il flauto magico 1993
________________________________________________________________

1 Valeria Sorge – prefazione al libro La fondazione epistemologica dell'astrologia in Pietro d'Abano di Fabio Seller


2 A seguito della condanna il suo cadavere fu dissotterrato per essere arso sul rogo