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Cecco d'Ascoli, l'uomo che sfidò Dante Alighieri con una gabbia di topi


Francesco Stabili, meglio noto come Cecco d'Ascoli, dalla terra in cui era nato, era uomo di alto ingegno. Medico, astrologo e astronomo, poiché nel periodo in cui camminò su questa terra non vi era differenza tra le due discipline.  Era un uomo non facile. La lingua seguiva il cervello. 
Francesco, non potendo fare eco ai pregiudizi che regnavano nei suoi tempi e neppure approvare i comportamenti dei Papi in Avignone e Roma, aveva esternato alcune critiche, parole di poco conto, che riferite al Santo Uffizio diedero inizio all'accanimento dell'istituto verso di lui.
In quel periodo si trovava in Bologna e la Santa Inquisizione, risapute le colpe false o vere, decise di agguantarlo. Cecco fu posto alla prova dei tormenti, condannato a far pubblica penitenza ed ammenda e privato dei titoli di dottore e maestro.
Chi era quest'uomo minuto che mise in subbuglio il Santo Uffizio?
Cecco nacque nel paese di Ancarano nel 1269.
A soli diciotto anni entrò nel monastero di Santa Croce ad Templum. Il luogo era conosciuto per essere ispiratore della dottrina occulta templare in tutta la marca meridionale. La marca era un feudo, un'ampia circoscrizione pubblica d'età carolingia e del Sacro Romano Impero, creata nelle zone di confine o in aree che necessitavano di un coordinamento militare particolarmente efficace. Comprendeva diversi comitati, grazie all'assunzione diretta dei titoli di conte da parte del marchese, o alle sottomissione dei titolari dei diversi comitati. Nuove marche furono poi create nel periodo ottoniano. Nel territorio della Marca il commercio era gestito in modo autonomo rispetto al potere centrale, ma i marchesi erano tenuti a dare una parte del loro guadagno alle Signorie di rango superiore.
Cecco decise di stabilirsi a Firenze intorno al 1314.
Spese gli anni nella città toscana studiando ed osservando il cielo.


La vita lo chiamò a Bologna nel 1324.
Nella città emiliana insegnò astronomia alla facoltà di medicina dell'Alma Mater. In Bologna si scontrò con l'Inquisizione a causa di commenti negativi sulla religione cristiana. Torturato, fu ritenuto colpevole. La sentenza di condanna si espletò in una multa, nella perdita del lavoro, nel sequestro di tutti i suoi libri e nell'obbligo giornaliero di recitare preghiere a penitenze.
L'ammirazione di studenti e colleghi lo confortò nella sentenza, aiutandolo a combattere per tornare in possesso dei requisiti necessari all'insegnamento. La battaglia fu vinta e, nel 1325, fu promosso di livello.
Esistono buone possibilità che la battaglia condotta da Cecco trovò l'aiuto e il sostegno di Papa Giovanni XXII.
Perché un Papa avrebbe aiutato un medico inquisito dal Santo Uffizio?
L'astronomo ascolano, durante il periodo bolognese, si recò ad Avignone per assolvere la funzione di medico personale di Papa Giovanni XXII.
La possibilità di tornare all'insegnamento non sollevò Cecco dai pensieri circa la libertà e la vita religiosa. Addolorato per l'iniqua sentenza e temendo d'incorrere ancora nel tirannico potere dell'Inquisizione decise di cambiare cielo sotto il quale vivere. Essendo uomo di alto ingegno decise di recarsi in una terra gentile e ospitale, dove poter trarre profitto dalle sue cognizioni.
Il cielo della Toscana lo attendeva.
Firenze era la scelta migliore, forse, per il medico ascolano.


Bologna d'altronde in quel periodo viveva un'epoca tumultuosa a causa dei contrasti all'interno del clero. Fra Jacopo Pepoli figlio di Taddeo entrò in conflitto con il vescovo della città. Le discussioni non si fermarono alle parole ma procedettero in direzioni delle mani. Il frate decise per una sberla sulla guancia del vescovo il quale, dimenticandosi di volgere l'altra al persecutore, diede aria ad un pugnale che portava sempre con se, ferendo gravemente il Pepoli. I seguaci del frate, udendo le urla dell'uomo ferito, entrarono nell'episcopato inseguendo i difensori dell'alto prelato. Il luogo fu avidamente saccheggiato dalla parte vincitrice e il vescovo ebbe salva la vita grazie alla precipitosa fuga. La vittoria di Fra Jacopo Pepoli figlio di Taddeo comportò l'immediata persecuzioni degli amici e sostenitori del vescovo.
Se Bologna era pervasa da tumulti, Firenze non godeva di estrema tranquillità.
La cacciata dalla città del Duca d'Atene, in aggiunta alla peste che iniziava il suo percorso di morte, avevano risvegliato i rancori delle parti. Le autorità ecclesiastiche, compresi i frati inquisitori, andavano per chiese e piazze sbracciandosi contro streghe ed eresiarchi, negromanti e bestemmiatori. Frate Giorgio da Foligno, grande predicatore, andava di piazza in piazza ad ululare alle folle che, sopite dalle paure, pendevano dalle sue labbra. Fra Giorgio apparteneva all'ordine dei francescani, che all'epoca dei fatti avevano grande influenza sul tribunale dell'inquisizione. Il punto sul quale maggiormente insisteva nelle sue predicazioni riguardava l'obbligo, per i fedeli, di denunciare tutti coloro che utilizzavano parole irriverenti nei confronti della chiesa e del sacerdozio. La sua fama di medico era grande, tanto d'esser nominato medico di corte da Carlo d'Angiò, Duca di Calabria e primogenito di Re Roberto.


Cecco d'Ascoli trascorse molto tempo con un uomo che aveva conosciuto a Bologna. A costui aprì il cuore, confidando d'essere in contrasto con l'idea imperante nell'Inquisizione, secondo la quale si doveva punire il pensiero. Nello stesso periodo entrò in contrasto con il cancelliere di Carlo d'Angiò, fra Raimondo vescovo d'Aversa, e con il Duca stesso a causa di un oroscopo negativo sulla figlia del nobile, Giovanna la futura regina di Napoli.
Le parole e le controversie di corte portarono l'uomo nuovamente nelle mani del Santo Uffizio. Il tribunale dell'Inquisizione senza tante formalità lo condannò a morte.
L'iniqua sentenza di morte fu pubblicamente eseguita il 16 settembre del 1327.
L'infelice Cecco d'Ascoli era pervenuto all'età di 58 anni.
Il medico ascolano, vecchio e malridotto, non si piegò alle fiamme divoratrici del rogo purificatore. Alcuni testimoni udirono le seguenti parole, nello stesso istante nel quale il corpo dell'eretico si piegava nella posa innaturale della morte: “l'ho detto, l'ho insegnato. Io credo”.
Cecco d'Ascoli vittima di un odio feroce.
Altro non gli era riservato che il compianto dei posteri.
Molti poeti tra gli antichi lo ricordarono come autore di un mediocre trattato comunemente chiamato l'Acerba. Nel libro Cecco parla dei cieli e delle loro influenze, dell'anima, delle pietre e degli animali, senza dimenticare la fortuna e gli eventi naturali. Il trattato conobbe fama d'essere libro magico, probabilmente a causa delle sentenze e della condanna al rogo dell'autore.
L'astronomo venuto dalla terra dei Piceni non lesinava critiche ai contemporanei.
Cecco fu spesso polemico nei confronti di Dante Alighieri.
Numerose furono le battaglie dottrinali tra i due cantori del tempo antico.


Dante Alighieri in particolare sosteneva la capacità dell'educazione di assoggettare l'istinto mentre Cecco era convinto della superiorità della natura. La leggenda vuole che Dante, a conferma delle sue teorie, avesse addestrato un gatto a reggere con le zampe una candela accesa per fargli da lume durante i suoi studi e lo avesse mostrato all'amico. Cecco in risposta si presentò un giorno a casa di Dante portando con sé una gabbia piena di topi; non appena li ebbe liberati davanti al felino questi lasciò la candela ed incurante dei richiami del padrone cominciò a rincorrerli.
Il documento più antico riguardante Cecco d'Ascoli è una pergamena conservata presso l'archivio comunale di Amandola, in provincia di Fermo, e riguarda una denuncia d'istanza per una inquisizione, presentata in data 6 agosto 1297, dal priore del monastero di San Leonardo in Golubrio.
Qui si conclude la triste vicenda di un uomo speciale, figlio di una sacerdotessa dell'antico culto della Dea Ancaria, la signora degli animali. Il giovane Cecco nacque sul prato ove sorgeva il santuario della Dea, analoga alla Diana latina, da una donna che frequentava le feste di carattere orgiastico che su quel manto d'erba si consumavano.
Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia

Pietro Tamburini - Storia Generale dell'Inquisizione. Due volumi in ristampa anastatica - Edizioni Bastogi, Foggia 1982.

Giuseppe Castelli - La vita e le opere di Cecco d'Ascoli - Bologna, 1892.

Vincenzo Paoletti - Cecco d'Ascoli: saggio critico - Bologna, Zanichelli, 1905.

Egidio Guidubaldi - Stabili, Francesco (Cecco d'Ascoli), in Enciclopedia Dantesca - Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1970.

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