venerdì

nazismo, IBM e Renzi







Boston, 31 marzo 2016:
seduti da sinistra: Erich Clementi, SVP, IBM Europa, Ivan Scalfarotto, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio italiano; in piedi da sinistra: Ginni Rometty, Chairman, Presidente e CEO di IBM; Matteo Renzi, primo ministro italiano.


di Gianni Lannes

Schedature di massa nel belpaese: l'IBM già lavora per il ministero dell'interno, ma non solo. E' il prossimo olocausto tricolore? Comunque ce n’è abbastanza per mandare sotto processo Matteo Renzi e i suoi sodali del governo Gentiloni. A proposito chi ha dato alla fondazione Open riconducibile al bomba toscano ben 5,5 milioni di euro? E in cambio di che? La Procura della Repubblica di Roma si attiverà?


C’è già chi l’ha definito “il grande fratello della Sanità”: un altro esperimento sulla pelle della gente come la vaccinazione obbligatoria di neonati, bambini e adolescenti sani. Alle porte di Milano IBM realizzerà l’Hub europeo ‘Watson Health’ con il beneplacito del governatore Maroni. Almeno sulla carta un centro di eccellenza nel campo della genomica, dei big data, dell’invecchiamento della popolazione e dell’alimentazione. Il cervellone di Ibm sarà in grado di memorizzare e analizzare milioni  e milioni di referti diventando un punto di riferimento per l’informatizzazione del settore sanitario. L’iniziativa si baserà su forti sinergie tra pubblico e privato, con il coinvolgimento di vari atenei, tra i quali l’Università Statale e il Politecnico di Milano, e di diversi partner internazionali. Oltre a IBM, al progetto parteciperanno Google, lo European Molecular Biology Laboratory, il Weizmann Institute, ma interesse è stato espresso anche da multinazionali tra cui Nestlè, Bayer e Novartis.


L’IBM nel 2006 reclamò dal governo Prodi ed ottenne in seguito l’istituzione del fascicolo sanitario elettronico. Questa corporation oggi ha ottenuto i dati sensibili e sanitari dell’ignara popolazione italiana. Infatti Matteo Renzi il 31 marzo 2016 a Boston, ha avallato insieme al sottosegretario Ivan Scalfarotto, un accordo mai ratificato dal Parlamento italiano - peraltro ufficialmente all’oscuro della vicenda - che prevede la cessione all’IBM, ovvero ad una multinazionale straniera, senza interpellare preventivamente gli interessati, di tutti i dati sensibili della popolazione italiana, in cambio di un investimento a Milano di appena 150 milioni di dollari. E la privacy? Singolare coincidenza: adesso proprio in Lombardia è appena partito il progetto Watson che coinvolge ben 3 milioni di ignari cittadini. Già nel 2016 l’IBM aveva proceduto  in Italia a massicci licenziamenti di personale, come attestano gli atti parlamentari e le denunce sindacali. Comunque Renzi e poi Gentiloni sembrano avere gravi problemi di udito. In altri termini i due compari del piddì non ci sentono, poiché ben 25 atti parlamentari nella XVII legislatura corrente, inerenti proprio l'IBM non hanno mai avuto risposta dal governo: 

4/03641 (19/02/2014), 4/08004 (17/02/2015), 4/18394 (07/11/2017), 4/12559 (17/03/2016), 4/16653 (19/05/2017), 4/13892 (21/07/2016), 4/06208 (01/08/2016), 4/03510 (24/02/2015), 5/10120 (14/12/2016), 3/02879 (24/05/2016), 5/02110 (11/02/2014), 5/09329 (02/08/2016), 2/02029 (22/11/2017), 5/11855 (13/07/2017), 5/00653 (19/07/2013), 2/008825 (23/01/2015), 3/02252 (19/07/2013), 5/12352 (04/10/2017), 5/09638 (29/09/2016), 5/09315 (29/07/2016), 5/10947 (23/03/2017), 5/12615 (07/11/2017), 3/04077 (25/10/2017), 4/06189 (27/07/2016), 4/12359 (03/03/2016.

 Hollerith Maschinen: prima macchina per la schedatura di massa

Tutto a posto? L’efficienza dell’IBM è stata provata in un tempo storico addirittura oscuro. Ne parla un saggio di Edvin Black - L’Ibm e l’olocausto - uscito nel  2001, un libro documentato che accusa la multinazionale di aver favorito l’organizzazione dei lager nella Germania nazista. La storia si ripete nella disattenzione generale.

L’IBM in effetti, ebbe un ruolo decisivo nel censimento e nelle deportazioni, anche nell'apartheid in Sudafrica e nella strategia terroristica della CIA in Sudamerica (fonte: National security Archive - Archivio di sicurezza nazionale americano). 


Ai giorni nostri le tecnologie informatiche possono avere un supporto rilevante nei sistemi totalitari. L’azienda nordamericana IBM ha fornito le macchine e le schede perforate per il trattamento automatico dei dati per realizzare l’Olocausto. L’azienda statunitense fornì consapevolmente ai nazisti quello che oggi si direbbe il know how, sfidando le leggi statunitensi che dal 1941 in poi vietarono rapporti commerciali con il Reich e con le industrie ad esso collegate. Per nessuno sarebbe stato possibile procedere senza la tecnologia  assolutamente essenziale della compagnia: Hitler aveva necessità dell'IBM.  A quel tempo ci fu una stretta collaborazione fra la corporation USA e la Germania di Hitler: prova che l’allora presidente dell’International Business Machines, Thomas Watson, collaborò col governo nazista fin dall’inizio. Le gerarchie naziste decisero di mappare nel minor tempo possibile l’intera popolazione tedesca.

La filiale tedesca dell’IBM prese il nome tedesco di Dehomag (Deutsche Hollerith Maschinen Gesellschaft) per poter operare anche durante la guerra. Watson, nel 1933, forniva la tecnologia necessaria per il primo censimento del nazismo, a cui ne seguiranno altri più perfezionati, anche negli anni di guerra. L’intera popolazione sarà schedata, in modo da poter identificare gli ebrei e differenziare anche altre categorie, ad esempio, i soggetti che avevano sposato ebrei, gli ebrei che avevano combattuto durante la Prima guerra mondiale, la percentuale di sangue ebraico. La tecnologia dell’IBM permetterà una maggiore efficienza dell’industria bellica, e una migliore organizzazione dei trasporti. L’aiuto della IBM fu fondamentale per realizzare lo sterminio degli ebrei e per ottenere i migliori risultati nell'eliminazione dei soggetti ritenuti indegni di vivere (zingari, disabili, mendicanti, dissidenti politici). Il padrone dell'IBM, Thomas J. Watson era talmente vicino ai nazisti che, nel 1937, ricevette la “Croce al merito dell’aquila tedesca”, la più alta onorificenza nazista che si poteva offrire ad uno straniero. Dopo lo scoppio della guerra, la Dehomag aprì nuove filiali nei territori conquistati (Austria, Polonia, Cecoslovacchia ecc.), per attuare nuovi censimenti. Addirittura, l’IBM, con rapidità ed efficienza, istituì nuove filiali nei territori che verranno occupati in seguito, anticipando le mosse della Wehrmacht. In tal modo i governi nazisti locali potevano da subito smascherare gli ebrei e deportarli. Questa realtà agghiacciante è inoppugnabilmente documentata. Alla fine della guerra, l’IBM potrà festeggiare una doppia vittoria: oltre agli enormi profitti maturati prima e durante la guerra, sarà considerata dagli Alleati una vittima dell’esproprio nazista, e potrà recuperare tutte le proprie macchine. Il movente principale della IBM era il profitto.

Attraverso sue affiliate, l'IBM aveva fornito calcolatrici agli aguzzini nazisti consegnando così loro gli strumenti per amministrare la macchina di sterminio dei Lager. Fu la Dehomag infatti a gestire il censimento tedesco del 1933, e quello successivo del 1934. Censimenti che avevano dichiaramente l'obiettivo di individuare la popolazione ebrea e porre le basi per l'Olocausto. Nelle schede Hollerith comparvero infatti per la prima volta elementi di classificazione quali la religione praticata, la razza, o definizioni come antisociale o omosessuale. In quegli anni in Germania le persecuzioni verso gli ebrei erano già cominciate, e la stampa internazionale, in particolare quella statunitense, nei riferiva puntualmente. Le mire espansionistiche della Germania di Hitler erano evidenti, ma al contrario i rapporti commerciali tra l'IBM, che verificava sin nei minimi particolari l'attività delle sue consociate, e il Reich ebbero un'accelerazione. La Dehomag, dopo il censimento, diventò un elemento insostituibile nella burocrazia tedesca, ma anche in settori che poi si sarebbero rivelati tristemente indispensabili per lo sterminio degli ebrei, come le ferrovie che le trasportavano verso i campi di concentramento. Nel contempo il prestigio di Watson cresceva, dentro e fuori i confini degli Usa. Era diventato presidente della Camera di commercio internazionale e un convinto fautore del libero mercato. Il suo motto, in anni in cui affacciava lo spettro della guerra, era «Pace mondiale attraverso il commercio mondiale». Mentre altre grandi aziende cominciavano a sospendere i rapporti con la Germania, al contrario Watson scelse deliberatamente di incrementarli. In quegli anni cruciali Watson non nascondeva la propria simpatia per Hitler e per il nuovo assetto totalitario dell'Europa. Poteva non sapere dei piani del Furher? Certo lo sapevano i suoi diretti dipendenti, i vertici tedeschi della Dehomag, fanatici nazisti. Nello stesso anno, durante l'inaugurazione di uno stabilimento a Berlino, a proposito delle statistiche demografiche il presidente Heidinger disse: «Il medico esamina il corpo umano e verifica che tutti gli organi funzionino in modo da garantire il benessere dell'intero organismo. Noi (la Dehomag) siamo molto simili ai medici perchè sezioniamo, cellula dopo cellula, il corpo della cultura tedesca. Indichiamo ogni singola caratteristica su una piccola scheda (...) Siamo orgogliosi di poter contribuire a tale compito, un compito che fornisce al Medico della nostra Nazione (Hitler) il materiale necessario ai suoi accertamenti. Egli potrà stabilire se i valori calcolati sono tali da garantire la salute del nostro popolo: in caso contrario potrà prendere misure correttive per guarire il male». Poteva non sapere Watson, che telegrafò immediatamente per congratularsi con l'autore del discorso, a cosa si riferissero quelle parole? Con singolari coincidenze: l'apertura di nuove filiali, ad esempio in Cecoslovacchia o in Polonia, avveniva in concomitanza con le invasioni del Terzo Reich, qualche volta in anticipo di alcuni mesi. Chi era dunque Watson, un intimo del presidente Roosevelt o un fanatico nazista? Sicuramente un uomo abilissimo, capace di sviare i sospetti di filonazismo che, inevitabilmente, dopo l'inizio del conflitto (ma anche al termine) lambirono in modo insolitamente marginale la sua azienda. L’IBM, anche dopo che il governo americano proibì rapporti commerciali con la Germania e le nazioni sotto il suo dominio, continuò a gestire i propri affari attraverso la sua filiale madre in Europa, quella di Ginevra. E quando l'esercito alleato entrò nei campi di concentramento nessuno, di fronte a tanto orrore, si chiese a cosa servissero quelle macchine Hollerith con su scritto IBM o Dehomag che erano servite a far diventare numeri a 5 o 6 cifre milioni di individui e a garantire la puntualità dei treni della morte per Dachau, Auschwitz, Treblinka o Mauthausen.


Per ogni gruppo etnico (ebrei, zingari, eccetera) sulle schede perforate IBM c'era un apposito codice numerico. Le informazioni registrate sulle schede, elaborate per mezzo delle selezionatrici elettromeccaniche IBM, permisero di individuare e deportare milioni di ebrei verso i campi di concentramento in tempi rapidissimi, impensabili per l'epoca senza la tecnologia fornita dall'IBM. In particolare, grazie alle selezionatrici IBM i nazisti riuscivano a individuare con estrema efficienza le persone con cognome tedesco ma discendenti da famiglie ebraiche.



Un poster pubblicitario Dehomag del 1934 rappresentava un occhio che,   emettendo un raggio di luce,  scrutava una città dal cielo. Sul poster c'era anche il profilo di una scheda perforata IBM. Nell'insieme, l'immagine era decisamente inquietante. Lo slogan del poster recitava più o meno: "Potete controllare tutto con le schede perforate Hollerith". Le schede perforate IBM all'epoca si chiamavano "schede Hollerith", dal nome del loro inventore, l'americano Hollerith.

I rapporti tra Thomas J. Watson, il "boss" dell'IBM, e Adolf Hitler, restarono ottimi fino allo scoppio della guerra tra USA e Germania. Nel 1937 Hitler assegnò addirittura a Watson un alto riconoscimento nazista, l'"Ordine dell'Aquila Tedesca". Il riconoscimento era più che meritato: in quegli anni l'IBM deteneva il monopolio sulla tecnologia della schede perforate, e senza la tecnologia IBM difficilmente le idee deliranti di Hitler si sarebbero concretizzate in un sistema così efficiente per la  deportazione e lo sterminio di milioni di ebrei tedeschi.


riferimenti:

Gianni Lannes,  VACCINI DOMINIO ASSOLUTO, Battaglia Terme (PD) 2017.










http://bologna.repubblica.it/cronaca/2017/11/27/news /lavoro_ibm_e_sorelle_investono_43_milioni_di_euro_in_emilia-romagna-182343289/?refresh_ce





















http://aic.camera.it/aic/scheda.html?core=aic&numero=3/02879&ramo=S&leg=17

fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

sabato

succede a Reggio Emilia: la magistratura complice della pedofilia

Non si può credere che nel 2017 un giudice possa revocare gli arresti domiciliari a un pedofilo reo-confesso. Eppure è successo, tra l’incredulità dell’opinione pubblica, delle forze dell’ordine che hanno arrestato il pedofilo e dello stesso CSM, che forse (l’ipotesi è d’obbligo) avvierà un’inchiesta interna contro il giudice responsabile del grave atto di scarcerazione per valutarne l’incompatibilità.
I fatti risalgono a circa una settimana fa, quando un giovane pakistano senza fissa dimora ha aggredito e abusato sessualmente in campagna di un tredicenne disabile. Subito sono scattate le indagini dei carabinieri che hanno interrogato e poi condotto in carcere il pakistano, il quale, ha candidamente ammesso di aver violentato il tredicenne. Non solo. Il pakistano ha anche fatto davanti ai carabinieri un’affermazione gravissima: “il bambino era d’accordo, altrimenti non l’avrei fatto”. Come no! Ma un giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Emilia, tal Giovanni Ghiani, di cui si allega una foto a fine post per dare la possibilità agli utenti di ammirare la classe e il rispetto per il ruolo rivestito da questo servitore dello Stato, ha preso sulla parola il pedofilo reo-confesso, disponendo la revocazione degli arresti domiciliari. La motivazione? “Per lo straordinario senso di autodisciplina dimostrato dall’indagato”. Siamo alle comiche: un pedofilo reo-confesso, che secondo le forze dell’ordine aveva dei precedenti penali dello stesso tipo, che non ha mostrato alcun segno di pentimento - tant’è vero che ha dichiarato nero su bianco che il tredicenne era consenziente - viene rilasciato da un GIP “noblesse oblige” per il senso di autodisciplina dimostrato. Una perizia psichiatrica non sarebbe un azzardo per questo servitore dello Stato che con la sua discrezionalità (che fa rima con imbec…) sta mettendo in pericolo una città di 250 mila abitanti.
Ma la cosa ancora più assurda in questa vicenda che sa di surreale è che l’amministrazione cittadina non solo non si è pronunciata contro la gravissima decisione del giudice, anzi, ha dichiarato che la rispetta e che l’opinione pubblica forcaiola è sotto il condizionamento di forze politiche xenofobe, che stanno strumentalizzando il fatto per portare acqua al loro mulino. Per di più, saputo che il pedofilo pakistano è senza fissa dimora e che 2 anni fa aveva ottenuto l’ambito status di rifugiato (!), alcune associazioni – di quelle che piacciono tanto a Saviano – hanno lanciato un appello alla cittadinanza per rendere disponibile un’abitazione al povero rifugiato. Oltre al danno anche la beffa. Non solo il criminale non viene espulso, come stabilisce la legge, ma si predispone, da parte della gentaglia buonista della città, l'accoglienza con tanto di tappettino rosso.
Che dire di questa sconcertante vicenda? Non può saltare all’occhio lo stato caotico che regna all’interno della magistratura. Mi assale un dubbio: se a compiere l’orribile reato fosse stato non un rifugiato straniero ma un italiano di Canicattì, il trasandato GIP (che fa rima con mentec..), avrebbe usato la stessa clemenza, rimettendo in libertà il reo-confesso? E vogliamo dire qualcosa sul comportamento inquietante tenuto dal centro-sinistra, di assoluta insensibilità verso la vittima e la sua famiglia? Come fanno un sindaco e la sua amministrazione a giustificare una decisione così incomprensibile e conturbante per la comunità che rappresentano?
Mi auguro che anche all’interno della magistratura prima o poi si faccia pulizia di tutto il lerciume umano colluso con la delinquenza comune e con la criminalità organizzata. E che le cose stiano così lo dimostrano le numerose sentenze emesse negli ultimi anni da giudici che sembrano sbarcati da Marte, incuranti del senso civico e della difesa dei cittadini, dai quali sono stipendiati. Giudici che emettono sentenze non in modo oggettivo e neutro, come richiederebbe il loro cursus honorum, ma lasciandosi influenzare dalla loro personale visione del reato. Evidentemente per il giudice sbracato di Reggio Emilia il reato di abuso sessuale di minore è una bazzecola, da cestinare senza troppo dispendio di energia mentale.
In conclusione: il disordine che regna sovrano all’interno della magistratura italiana è un altro segno dei Tempi da decodificare in una certa direzione, quella della dissoluzione che sta agendo all’impazzata, spazzando via tutto ciò che resta di civile in un paese dove ormai di civile è rimasta solo la Costituzione sulla carta, il Codice civile e penale, mai applicati veramente e costantemente calpestati da giudici irresponsabili e incompetenti. Altro che Stato di diritto!

 L'affascinante GIP durante la sentenza di scarcerazione del pedofilo

fonte: http://federicafrancesconi.blogspot.it/

domenica

Sahar Tabar



VIDEO

il finto pellerossa che ingannò i fascisti

È bello, virile e fa innamorare le donne. Le tribù irochesi non potrebbero desiderare un testimonial migliore. Il capo pellerossa Cervo Bianco è in Europa per rivendicare – davanti alla Società delle Nazioni – i diritti degli Indiani d’America.

Forte di un certo fascino esotico, l’uomo calamita l’interesse delle folle e attrae una platea di seguaci sempre crescente. Il suo tour italiano è ovunque accolto con entusiasmo. Con il suo carisma conquista un pubblico eterogeneo, composto da autorità e alti prelati, nobili e popolani, giornalisti e generali.
Sembra disporre di ricchezze illimitate. Dispensa mance a reduci di guerra, vedove e orfani, ma le donazioni più cospicue sono a favore della Federazione Provinciale Fascista. (1)  A Fiume viene proclamato “fascista ad honorem”. Ad Ancona lo accoglie un drappello ufficiale che intona l’inno Giovinezza! A Bari riceve una seconda tessera fascista. (2) 
Cervo Bianco e i suoi amici fascisti.
Nell’estate del 1924 Cervo Bianco vuole incontrare Benito Mussolini. Per il Duce è un’occasione da non perdere: nei giorni del delitto Matteotti, Cervo Bianco è la “distrazione di massa” perfetta. L’incontro salta all’ultimo momento, ma verrà sceneggiato lo stesso in un romanzo del 1980. Nella ricostruzione di Ernesto Ferrero, il principe pellerossa si fa annunciare come Chief White Elk Tewanna Ray. Un po’ capo politico e un po’ sciamano, Cervo Bianco mostra doti di chiaroveggenza, invitando il Duce a fare attenzione all’ulcera allo stomaco: «Io che ho pratica di medicina, riconosco questi mali. Me ne accorgo dal respiro, dagli occhi, da come tengono le mani, da come si muovono.» (3)  Ma c’è anche finezza psicologica dietro la “visione endoscopica”: «È abbastanza frequente che un Capo di Stato abbia l’ulcera…» (4) 
Le contesse austriache Melania e la figlia Antonia Khevenhüller di Fiumicello gli mettono a disposizione la loro villa vicino a Trieste. Amante della buona tavola e forte bevitore, trascorre il mese di agosto sulla Riviera ligure, tra Diano Marina e Varazze. A settembre è in Toscana.

Un articolo dell’epoca regala un’efficace istantanea a proposito del suo rapporto con la folla. La sera del 2 settembre 1924 l’uomo festeggia il suo compleanno all’Hotel Baglioni di Firenze; uscendo dall’albergo,
il principe ha estratto manciate di biglietti da 50 e 10 lire, che distribuì ai più vicini. Naturalmente la folla non tardò a crescere ed in breve il donatore è stato competamente [sic] attorniato. Le banconote furono esaurite ben presto ed il principe è salito in automobile, allontanandosi dopo qualche sforzo. In piazza Unità, la folla continuò a sostare a lungo in attesa del ritorno del principe, ma inutilmente. (5) 
Mentre si trova a Firenze, Richard Ginori fa realizzare per lui un busto in porcellana in cui è ritratto in scala 1:1. (6) 

AVVISAGLIE DI RESISTENZA

Il consenso, però, non è unanime. Tra gli applausi che gli tributa la città di Bologna, il 19 settembre 1924 l’onorevole Mario Bergamo (1892-1963) scrive al prefetto del capoluogo emiliano, in nome di “un ostinato residuo di dignità nazionale”. Firma da solo, ma ci tiene a dire che altri – come lui – sono scettici sui metodi del personaggio:
Un principe dei pellirosse […] si onora della scorta continua di militi fascisti, va riportando e provocando in Bologna le munifiche gesta che non aggiunsero nuova gloria alla città di Firenze. Per un ostinato residuo di dignità nazionale che è in me, e non in me solo, mi permetto di segnalare privatamente alla S.V. il nuovo fatto umiliante di cui tutti implicitamente siamo vittime. Tale fatto, ahimé, non mi meraviglia; tuttavia, a mio sentimentale avviso, il signor principe indiano, potrebbe essere messo in condizione di dover rispettare l’ospitalità degli italiani, l’ospitalità, per lo meno, degli italiani poveri. (7) 
Un primo caso di “resistenza”: Mario Bergamo su La Stampa, 20.9.1924.
Il 28 ottobre 1924 Cervo Bianco pronuncia un discorso ufficiale alla cerimonia di commemorazione della Marcia su Roma. (8)  Il primo e unico Indiano d’America Fascista è un orgoglio per i gerarchi.
Mentre si trova a Torino, viene ricoverato all’ospedale San Vito per problemi epatici. Un giorno sparisce dal sanatorio per riapparire in Svizzera. Cervo Bianco è a Lugano quando un telegramma avverte la polizia elvetica della sua vera identità: un truffatore in cerca di fortuna.

LA VERA STORIA DI EDGAR LAPLANTE

In realtà Cervo Bianco si chiama Edgar Laplante. È un meticcio nato il 16 marzo 1888 a Pawtucket (Rhode Island). Suo padre Arthur Laplante è un muratore canadese, sua madre una nativa americana. Edgar studia canto e si mette a lavorare in vaudeville itineranti, che lo porteranno fino alla costa Ovest degli Stati Uniti. Nel 1918 sposa Bertha Thompson, una nativa americana. Come racconta Beppe Leonetti, i due
iniziano a vagabondare per la Confederazione spacciando come medicinale un intruglio a base di olio di serpente e raccogliendo fondi per la Croce Rossa, che intascano allegramente e che saranno fonte di guai giudiziari in alcune città. (9) 

Nel 1923 la sua compagnia teatrale viene ingaggiata dalla Paramount Pictures per fare promozione al film di James Cruze “I pionieri”. Lo spettacolo che accompagna la proiezione si intitola “La carovana verso il West” (10)  e lui interpreta la parte del pellerossa. Da tale personaggio non uscirà più. Il tour lo conduce in Europa, e a Liverpool inizia a millantare origini nobili:
Mio bisnonno, mio nonno, mio padre erano tutti dei capi tribù; io ho ereditato tale titolo e sono l’ultimo di 1600 capi. Io sono quello che ha conferito al Principe di Galles il titolo di «Grande Stella del Mattino». Fra pochi giorni andrò in Inghilterra per ottenere dalla benevolenza di Re Giorgio la protezione per i miei figli indiani. (11) 
Solo una complicazione burocratica gli impedisce di incontrare il sovrano. Il 27 giugno 1923, sotto il falso nome di dottor Tewanna Ray, si sposa a Manchester con Ethel Elizabeth Holmes, una vedova inglese. Crede di essere bigamo, in realtà è vedovo: non sa che – nel frattempo – Bertha è morta di parto. Dando alla luce una figlia che lui non conoscerà mai.
Ha qualche problema con la polizia. Si diffonde la voce che sia omosessuale e lui ripara a Parigi. Quando la sua compagnia ritorna negli States, lui decide di proseguire la tournée da solo. Rimasto senza abiti di scena, rimedia acquistando un costume presso i magazzini Lafayette. Dalla Francia si trasferisce poi a Bruxelles, dove continua a esibirsi nei teatri. Interpreta canzoni della tradizione irochese e balla indossando i costumi tipici. Propone il suo one man show a Marsiglia, poi a Nizza. (12) 
In un albergo della Costa Azzurra conosce Antonia Khevenhüller di Fiumicello. Sedotta dall’esotico trentenne, la ragazza ne diventa l’amante e nel giugno 1924 lo porta con sé in Italia. I soldi della nobildonna gli fanno comodo; con il sostegno economico della famiglia Khevenhüller, Edgar percorre in lungo e in largo la penisola.
Il 13 dicembre lascia l’Italia per Bellinzona. Ha una tessera turistica valida 5 giorni, ma riesce a stabilirsi a Lugano. Qui lo raggiunge un mandato di arresto internazionale spedito dagli Stati Uniti. (13)  La sua carriera finisce nel manicomio cantonale di Medrisio.
In occasione del primo processo in terra svizzera, il 26 giugno 1925 La Stampa dedica al caso un titolo a tutta pagina (14) :
Davanti ai giudici di Lugano l’uomo confessa che Chief White Elkera il nome che aveva assunto lavorando in un circo nel ruolo dell’Indiano. Durante il processo mantiene sempre la stessa linea di difesa: sono un artista, tutto ciò che ho detto di me era da intendersi nel quadro di una narrativa teatrale.

Un secondo processo si svolge a Torino nell’ottobre 1926 (15) , al termine del quale viene condannato a cinque anni di reclusione. (16)  Ne sconterà meno di tre: nel giugno 1929 La Stampaannuncia la sua liberazione. (17) 
Il professor Mario Carrara, che ha sposato la figlia di Cesare Lombroso e che ne dirigerà il museo, è incaricato di fare una perizia psichiatrica su Edgar, che viene etichettato come un “bugiardo patologico dalla personalità istrionica”.
Il 27 agosto 1929 Edgar viene rispedito nel Stati Uniti (18) . Secondo un articolo del 6 luglio 1930, a New York l’uomo ha ripreso la carriera teatrale. (19)  Muore nel 1944 a Phoenix (Arizona).
A Torino, il Museo di Antropologia criminale Cesare Lombroso ospita ancora oggi il costume acquistato ai magazzini Lafayette.
Il 15 marzo 2014 il gruppo jazz dell’Associazione Musicale degli Studenti Universitari del Piemonte, diretto da Gian Luigi Panattoni, organizza presso l’Aula Magna del Museo Lombroso un doppio concerto dedicato al finto pellerossa. La scaletta include brani che Edgar Laplante interpretava nei vaudeville, i cui spartiti sono ancora nel dossier conservato nel museo torinese (tra cui “My Mammy” e “The Sunshine Of Your Smile”). Alla serata interviene Beppe Leonetti, che ne racconta la vita e annuncia per la fine del 2015 l’uscita di un documentario su di lui.
Due fotografie dal concerto del 15 marzo 2014. A sinistra: Beppe Leonetti. A destra: il complesso diretto da Gian Luigi Panattoni, Stefano Ivaldi, Cristian Zambaia, Isabella Rizzo ed Elisabetta Panattoni.

L’HOUDINI DELL’IDENTITÀ


Per Nico Orengo Edgar Laplante fu «un Houdini dell’identità in un paese che si maschera con lui.» (20)  Ernesto Ferrero gli dedica il romanzo Cervo Bianco(Mondadori 1980), poi riscritto e pubblicato con il nuovo titolo L’anno dell’Indiano (Einaudi 2001). Citando le pagine di Ferrero, Oreste del Buono e Giorgio Boatti ritengono che la vicenda di White Elk racconti qualcosa del presente:
Servirebbe una spiegazione: e non tanto sulla vita sbrindellata di Cervo Bianco. Ma su questa faccenda degli italiani così facilmente magnetizzati, così desiderosi di farsi ammaliare: «Forse non era stato Laplante a inventare Cervo Bianco per gli italiani, ma gli italiani a inventare Cervo Bianco per Laplante. Gli italiani avevano proiettato su di lui il loro confuso desiderio di fasto e d’avventura. Avevano bisogno di un mago che li guarisse dalla mediocrità del loro presente. Qualcuno da applaudire per meriti che nessuno conosceva esattamente, e che consistevano principalmente in una ricchezza favolosa.»  (21) 
Allude agli stessi richiami con la contemporaneità questo fotomontaggio che circola in rete:
Il volto di un illusionista contemporaneo sull’immagine di Edgar Laplante.
Oddone Camerana ne mette in luce la capacità di portare alla luce vacuità e ipocrisia della nostra società; quelli come lui
sono personaggi interessanti perché, disegnando il loro raggiro sulla base dell’idea maturata su stereotipi professionali e di comportamento, ne sfruttano i filoni più sicuri. Da buoni psicologi della vita essi mettono in scena e teatralizzano le ambiguità che ritengono di avere in comune con il prossimo. […] Piacciono a chi, scampato alle loro trame, prova soddisfazione a parteggiare al modo insolito in cui qualcuno riesce a schernire la società e i suoi sognati valori. Infatti l’impostore si rivela un amabile conoscitore delle debolezze umane. […] L’idea della vita come farsa non esclude quella dell’esistenza come tragica e pietosa recita di una parte, in forma matura e definita, per compiacere al prossimo e alla collettività. (22) 
E se si pensa al finto pellerossa che, dal balcone dell’hotel Danieli di Venezia, lancia sulla folla i quattrini della contessa Khevenhüller (23) , la scena appare come la subdola (e geniale) messa in atto di un esproprio proletario.

fonte: http://www.marianotomatis.it/

NOTE

1. Secondo La Stampa, la donazione fu di 10 mila lire – circa 8 mila euro odierni. (“Le strabilianti avventure del falso principe pellerossa”, La Stampa, 24.6.1925.)
2. Ercole Moggi, “L’incredibile film dal vero del principe pellerossa davanti ai giudici di Lugano”, La Stampa, 26.6.1925.
3. Ernesto Ferrero, Cervo Bianco (romanzo), Mondadori, Milano 1980.
4. Ibidem.
5. “Il principe pellerossa a Firenze. Lo spettacolo delle manciate di biglietti alla folla…”, La Stampa, 3.9.1924.
7. “Una lettera dell’on. Mario Bergamo a proposito del principe pellerossa”, La Stampa, 20.9.1924.
8. “Le strabilianti avventure del falso principe pellerossa”, La Stampa, 24.6.1925.
10. La Stampa, 9.10.1926).
11. Cit. in “Le strabilianti avventure del falso principe pellerossa”, La Stampa, 24.6.1925.
12. La Stampa, 24.6.1925.
13. “Il pellirossa truffatore identificato”, La Stampa, 18.2.1925.
14. La Stampa, 26.6.1925.
15. “Il falso principe pellerossa racconta ai giudici la sua vicenda sentimentale”, La Stampa, 9.10.1926.
16. “Il pellerossa condannato a 5 anni, 7 mesi e 15 giorni di reclusione”, La Stampa, 13.10.1926.
17. “Il Cervo Bianco in libertà”, La Stampa, 4.6.1929.
18. “Il Cervo Bianco sarà oggi tradotto a New York”, La Stampa, 27.8.1929.
19. “Il Cervo Bianco e i suoi successi americani”, La Stampa, 6.7.1930.
20. Nico Orengo, “Così Cervo Bianco il finto indiano marciò su Roma”, La Stampa – TuttoLibri, 8.11.1980.
21. Oreste del Buono e Giorgio Boatti, “Tutti al circo di Cervo Bianco”, La Stampa – TuttoLibri, 27.10.2001.
22. Oddone Camerana, “Truffa indiana”, La Stampa – TuttoLibri, 25.7.1996.

sabato

nel tempo in cui i bimbi nati-morti erano degni al più di qualche sorriso


Dal XII al XIX secolo almeno, decine, centinaia, migliaia di casi di ritorno effimero alla vita di bimbi nati-morti si verificarono in tutta Europa, divenendo una delle manifestazioni rituali più diffuse e longeve della cristianità. 
Il fenomeno esplode soprattutto a partire dal Cinquecento. Un evento eclatante è quello documentato nelle vicinanze di Aix-en-Provence nel 1558. In quell'anno "uno di questi bimbi fu lasciato sull'altare per diverso tempo. Dopo le preghiere, riprende vigore, e viene battezzato. Sette candele disposte su un lampadario al centro della chiesa, ad oltre 12 passi da terra, miracolosamente si accendono. Erano presenti il vicario generale e sette testimoni".
La chiesa cui si riferisce il miracolo apparteneva all'Annonciade di Aix-en-Provence, monastero dedicato all'Annunciazione della Beata Vergine, costruito nel XIII secolo sulle rovine di una cappella dedicata a Sant'Antonio. Gli abitanti della città avevano stabilito di edificare l'edificio fuori le mura in seguito all'incremento dei casi della malattia conosciuta con il nome di fuoco sacro, male degli ardenti fuoco di Sant'Antonio. Tale pericoloso morbo poteva avere effetti devastanti sulle comunità colpite. Si manifestava in due forme: la prima caratterizzata da sintomi epilettici, la seconda da gangrena alle estremità che conduceva all'amputazione dell'arto colpito. Le parti del corpo interessate dalla malattia diventavano secche e nere, come se fossero state bruciate, caratteristica dalla quale potrebbe essere derivato il nome, che evoca il fuoco, della patologia. La medicina del tempo non conosceva rimedi efficaci, perciò le popolazioni del XIII secolo si rivolgevano a Sant'Antonio, considerato l'intercessore prediletto contro questo malanno. Con il tempo il convento dell'Annonciade fu abbandonato sino a cadere in rovina. 



Soltanto i libri parrocchiali rimangono a testimoniare, come spesso accade, l'incredibile, miracoloso evento svoltosi presso l'altare di quella cappella dedicata all'Annunciazione della Beata Vergine. Intanto il répit si diffonde anche in Italia. A Rimella, in Val Mastellone in provincia di Vercelli, nel 1590 si registra un caso clamoroso. L'allora vescovo di Novara, Cesare Speciano, durante una visita pastorale in Valsesia decise di spingersi fino a quello sperduto villaggio, perché aveva udito che vi si perpetravano strani riti. Cosi scrisse di proprio pugno: "In Rimella perdura questa superstizione e cioè che gli infanti morti senza il sacramento del battesimo se fossero collocati sotto l'altare di Santa Maria sarebbero tornati alla vita fino che avessero ricevuto il battesimo, ma essendo stati interrogati il curato ed altri testimoni sul fatto che uno di questi bimbi fosse tornato alla vita, risposero nessuno. La qual cosa fu giudicata piuttosto degna di riso e fu vietata, affinché quei bimbi nati morti e creduti vivi non fossero battezzati ne sull'altare della chiesa ne in altri luoghi".
Il presule novarese era nato a Cremona nel 1539, nobile rampollo della famiglia degli Speciani, e avviato sin da giovane età alla vita clericale. Ordinato presbitero dell'arcidiocesi di Milano nel 1567, fu nominato vescovo di Novara nel 1584 e già all'indomani dell'incarico si impegnò fortemente nell'applicazione dei dettami del Concilio di Trento. 



Lo Speciano si sentì investito d'estirpare le superstizioni antiche dalla sua diocesi, compresa l'ignobile pratica del répit che decise di vietare con violenza, seguendo il sentimento istituzionale dell'epoca, destinato a rimanere tale per molto tempo. Ancora nel 1702 il teologo Jean-Baptiste Thiers avrebbe espresso il medesimo parere: quel rito era di certo superstizione e in piena opposizione alla dottrina cristiana. Il répit veniva vietato non solo in Italia, ma anche nella terra d'origine, la Francia. Nella diocesi di Sens, dopo quasi 150 anni dalla prima perentoria proibizione, il rito continuava ad essere praticato. Il vescovo si era scagliato violentemente contro i genitori accusati di ricorrervi già nel 1524, ma i ritorni effimeri alla vita dei bimbi nati-morti a Pringy si verificarono con regolarità. Abbiamo documenti che attestano tale pratica: "il venti di ottobre del 1662, hanno portato un bambino nato morto dalla parrocchia di Nandi, figlio di Etienne Colin e Catherine Colas. Il bambino è stato esposto di fronte all'immagine della Vergine nella cappella del Priore di Pringy. Dopo le preghiere alla Vergine il piccolo ha mostrato segni di vita come perdita di sangue dalle narici e dall'ombelico, e la piuma che era stata posta sulle sue labbra è sventolata. E' stato battezzato e sepolto nel cimitero. Presenti Claudine Vignier, ostetrica, Simonne Delacroix, vedova di Tourbillon, Guy Dealcroix e Marie Delacroix".



Ovunque vi fossero santuari a répit, le resurrezioni effimere continuavano. In Italia un caso unico è quello di Soriso, provincia di Novara. Nel piccolo paese, che sorge lungo la direttrice che collega la Valsesia con il medio novarese, tutto ebbe inizio nel 1676: "dalla parte occidentale in bassa e angusta valletta si venera, in vago oratorio, la miracolosa immagine della Madre di Dio, appellata della Gelata, le cui prodigiose grazie, e portenti, non devono essere passate sotto silenzio. L'anno passato 1676 circa l'ora 11 del 30 ottobre Livia Vercelli di questo luogo, diede alla luce una bambina nata morta. Angosciata cercò il denaro per un viaggio nella diocesi di Tarantasia in Savoia, dove per intercessione della beata vergine innumerevoli bambini nati morti hanno dato segni di essere risorti a vita sufficiente per ricorrere al battesimo convenzionale. Mancandogli i soldi ma avendo viva fede, chiese al parroco di esporre la sua bambina davanti alla miracolosa immagine. Si recò il giorno 3 di novembre circa all'ora 13, si recitò il rosario con orazioni ma non comparendo indici sospirati e partendo già il popolo esclamò l'ostetrica di aver quell'istante evacuato dal corpicciolo alcuni escrementi. Disse l'ostetrica sentir palpitare il cuore a quel cadavere e tremare l'occhio sinistro. Onde il parroco pieno di allegria spirituale diedegli il battesimo condizionato. Si terminò il rosario, si resero grazie a Dio e alla beata vergine con l'inno Te Deum e si portò alla sepoltura la bambina a suono festoso delle campane. Fu veduto quel piccolo cadavere prima di seppellirlo essersi colorito da livido a bianco e rubicondo al pari di un ben sano vivente". La miracolosa immagine era soltanto un dipinto protetto da una piccola cappella sulla strada che, uscendo dal paese verso occidente, raggiungeva la Valsesia. In seguito a quel primo prodigio e agli altri dieci che si verificarono poco dopo, l'edicola diventò un oratorio e poi un santuario. 



Dal manoscritto si comprende che il ricorso al répit era conosciuto e di prassi comune nella zona del novarese nel seicento. Al 1739 risale l'ultimo caso di ritorno effimero alla vita di cui si abbia traccia nell'archivio parrocchiale di Soriso. Possiamo avere la certezza che nel 1739 si sia verificato l'ultimo caso di ritorno alla vita? Dopo tale data i registri parrocchiali e le memorie non menzionano più tale fenomeno. Che ne siano accaduti altri o meno, i divieti vescovili e papali di certo spinsero i parroci a seguire scrupolosamente le nuove disposizioni. In altre regioni europee il culto non si spense fino alle soglie del XX secolo. Non lontano da Soriso un altro santuario divenne luogo di ritorni effimeri alla vita. L'esistenza del répit a Ornavasso, provincia di Verbania, divenne pubblico nel 1759, quando l'allora vescovo di Novara, Marco Aurelio Balbis Bertone, ne viene a conoscenza durante una visita pastorale. Le parole del segretario episcopale negli Atti di Visita non lasciano dubbi: in quel luogo i bimbi che nascevano privi di vita erano portati in un santuario de paese per tornare temporaneamente tra i vivi al fine d'ottenere il battesimo. Il luogo era quello della Madonna dei Miracoli, chiamato Boden ovvero pianoro nella locale lingua walser, che sorge al di sopra di unabalza incuneata all'ingresso di uno stretto vallone. Il vescovo si espresse duramente nei confronti del répit che in quel luogo si praticava. Sicuramente a tale sentimento fu spinto dalla condanna generale espressa pochi anni prima dal De Synodo Diocesana, testo con il quale papa Benedetto XIV condannò in via definitiva il rito del ritorno effimero alla vita per abuso del sacramento del battesimo.



Negli anni seguenti il ricorso al répit non declinò ne scomparve. Chi vi faceva ricorso si nascondeva, si riparava in luoghi isolati. Non lontano dall'abitato di Ornavasso è il Canton Vallese, in territorio svizzero. Nel 1794 il vescovo di Sion,  Joseph-Antoine Blatter, prima di intraprendere un viaggio nella diocesi, inviò a tutti i parroci un questionario sullo stato della parrocchia. Le domande riguardavano le pratiche svolte nei santuari a répit. I parroci di Moerel e di Reckingen confermarono che i bimbi nati-morti erano abitualmente portati alla cappella di Hohen-Fluhen, nel comune di Rieredalp, affinché potessero ricevere il sacramento del battesimo. Il parroco di Moerel aggiunse che la cappella era luogo di pellegrinaggio molto frequentato e che vi erano stati comportamenti scandalosi, da parte dell'uno e dell'altro sesso, nelle locande dei dintorni. Voci simili si levarono anche da Munster, Biel, Naters e Mund. L'ultimo battesimo impartito a Hohen-Fluhen sembra risalire al 1852. Il registro dei battesimi di Biel menziona alla data del 22 maggio del 1863 il decesso di bimbi non battezzati e portati alla cappella di Hohen-Fluhen, in seguito ad "una stupida credenza". 
La certezza che il 1863 sia stato l'anno finale della pratica non è credibile poiché ancora nel 1879, nello Stato della parrocchia di Moerel, era menzionato, come destinatario dei bimbi morti senza il battesimo, il cimitero della cappella di Hohen-Fluhen.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.it/

Bibliografia
Fabio Casalini e Francesco Teruggi, Mai vivi, mai morti, Giuliano Ladolfi editore, Borgomanero, 2015
Marcel Bernos, Réflexions sur un miracle de l'Annonciade d'Aix. Contribution à l'etude dex sanctuaries à repit, in Annales du Midi, Edition Privat, Tolosa, 1970

Fiorella Mattioli Carcano, Santuari à répit, Priuli e Verlucca, Ivrea, 2009

Jean-Baptist Thiers, Traité de l'exposition du Sain Sacrament de l'autel, Louis Chambeau, Avignone, 1977

Gabriel Leroy, Notre-Dame de Pringy, son culte et sa légende, Dumoulin, Paris, 1862

Fiorella Mattioli Carcano e Valerio Cirio, Santa Maria della Gelata nel contesto europeo dei santuari fonte di vita, Parrocchia di Soriso, Soriso, 1993

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.