mercoledì

la santa e l'assassino

 IL TRIPLICE OMICIDA ENRICO PRANZINI E SANTA TERESA DI LISIEUX




Enrico (Henri) Pranzini ritenuto nel 1887 colpevole dei raccapriccianti omicidi della prostituta d’alto bordo Marie Reginault, della sua serva, Annette Gremeret e della giovane figlia della Gremeret, avvenuti a Parigi, in rue Montaigne, fu anche, incredibilmente il primo ‘figlio’ di santa Teresa di Lisieux. Nel 1997 Teresa di Liseux è stata dichiarata Dottore della Chiesa, in occasione del centenario della morte avvenuto il 30 settembre 1897. Teresa di Lisieux fu una delle sante più amate dal mondo moderno. Perfino i suoi genitori, Zélie e Louis Martin saranno dichiarati santi. Siamo negli anni del pontificato di Carol Wojtila, che vuole affermare la santità della famiglia: l’autorità assoluta del Padre e l’obbedienza assoluta della moglie e dei figli. Ciò che contraddistingue la famiglia Martin e in particolare Teresa, è il trionfo del ‘sacrificio’. Nella famiglia Martin sono tutti ‘vittime’ gli uni degli altri. Teresa entra al Carmelo il 9 aprile 1888 a quindici anni, il 30 settembre 1894 è già morta. Morta di una terribile morte, dopo una feroce agonia, ‘guardata’ morire come in un terribile spettacolo che definirei quasi televisivo. Ma cominciamo dall’inizio e da un personaggio assai particolare che pare segnò nel profondo la vita spirituale di questa ragazzina ‘santa’, e cioè il triplice omicida Enrico Pranzini. Il triplice omicidio di cui fu accusato l’uomo, appassionò all’epoca l’opinione pubblica francese e anche Teresa. Pranzini sfuggiva allo stereotipo del semplice bandito, era un uomo colto, seducente, cosmopolita, nichilista. Teresa, adolescente, ne fu affascinata, tanto da leggere di nascosto i resoconti del processo sui giornali. Si impegnò per ottenerne la conversione in una sorta di sfida con Dio. Quando Pranzini, condannato a morte, deporrà sul crocifisso del cappellano un bacio, immediatamente prima di poggiare la testa sulla ghigliottina, Teresa riconoscerà il segno richiesto a Dio, e considererà Pranzini il suo primo ‘figlio’.
Il caso di Enrico Pranzini è molto interessante, e merita una breve approfondimento. La donna del cui omicidio fu incolpato, assieme a quello della serva e di sua figlia dodicenne, la definiremmo oggi una escort di lusso. Alcuni dei suoi clienti erano uomini di spicco del governo e dell'esercito francesi. Pranzini era un bell'uomo di 30 anni con una corporatura muscolosa, popolare tra le donne e descritto dalla stampa come un "gigolo". Un personaggio dalla vita strana e avventurosa. Nato in Egitto, era intelligente, mondano e parlava diverse lingue. Aveva lavorato come interprete e traduttore e viaggiato molto in Europa e nel Vicino Oriente. La stampa descriveva Pranzini come un "ricattatore professionista" che usava il suo bell'aspetto e il suo fascino per "fare l'amore con una donna più grande, metterla in suo potere e poi comprometterla se si rifiutava di pagare".
Sulla scena del crimine erano stati trovati oggetti (lettere, gemelli e una cintura) che implicavano un altro uomo, un certo Gaston Geissler. Tuttavia la polizia si gettò subito sulle tracce di Pranzini, che era una conoscenza della donna, nonostante il fatto che non avesse precedenti di violenza. Pranzini fu arrestato a Marsiglia in un teatro, ammise di conoscere Marie Regnault, e raccontò di essere fuggito da Parigi per timore di essere implicato negli omicidi, perché frequentava la donna. La polizia perquisì il suo alloggio a Parigi, e trovò degli indumenti macchiati di sangue. I giornali cominciarono a cercare informazioni su Enrico Pranzini. Scoprirono che era di origini italiane ma nato ad Alessandria nel 1856. Aveva servito come interprete nell'Esercito russo, e poi nell'esercito britannico, anche in Sudan. Pareva fosse stato anche  in Afghanistan e persino in Birmania. Arrivato a Parigi nel 1886, senza un soldo, era entrato subito nel mondo delle prostitute di alto bordo della capitale tra le quali appunto Marie Regnault. E questo aspetto della sua vita la polizia non lo approfondì, e nemmeno i giornali.
Pranzini si professò sempre innocente. L'accusa era circostanziale, basata  sul fatto che lasciò Parigi la notte degli omicidi e che diede dei gioielli simili a quelli che mancavano dall'appartamento della donna assassinata alle prostitute di Marsiglia nei giorni successivi al crimine. Fu condannato e condannato a morte,  esecuzione a ghigliottina. Dopo la sua esecuzione pubblica, il corpo di Pranzini, senza la testa, fu trasferito in una scuola medica di Parigi, dove alcune parti scomparvero. 
Ma ritorniamo alla storia di Teresa Martin nata ad Alencon, in Normandia, il 2 gennaio 1873. Prima di lei erano nati altri otto figli, due maschi e sei femmine, delle quali solo quattro erano rimaste in vita. La famiglia Martin era una famiglia borghese e benestante, profondamente ossequiente alle direttive religiose, etiche e sociali della Chiesa Cattolica. Luigi, il padre, possedeva un negozio di orologeria, la madre Zélie, dirigeva la manifattura e il commercio del famoso merletto di Alencon. Zélie morirà tre anni dopo la nascita di Teresa, e le sorelle più grandi Maria e Paolina ne prenderanno il posto. Teresa ha nove anni quando la sorella prediletta Paolina, la vice-madre, entra nel monastero carmelitano di Lisieux. Ne rimarrà sconvolta, cadrà malata e soffrirà di allucinazioni e deliri. Risale a questo periodo l’episodio ricordato come ‘la grazia del sorriso’: la statua della Madonna che si trova nella stanza di Teresa, sembra sorriderle. La bimba si sente subito meglio e a poco a poco guarisce. La sorella Maria subentra a Paolina per un breve periodo di tempo, fino a quando entra anche lei al Carmelo. Dopo il secondo e doloroso distacco ‘materno’ che segna la sua vita, Teresa decide che andrà anche lei al Carmelo, abbandonerà la vita di qua dove ha perso i riferimenti femminili più importanti dopo la madre, per la vita di là del monastero dove ‘sono’ le sue figure femminili più importanti. Ingaggerà dunque una battaglia all’ultimo sangue per riuscire ad entrare in monastero a quindici anni. Di fronte al veto opposto dal vescovo di Bayeux, decide di rivolgersi direttamente al Papa. Con l’appoggio delle sorelle Maria e Paolina, parte per Roma assieme al padre e alla sorella Celina. Intende fare una cosa proibita: rivolgere la parola al Papa durante l’udienza concessa ai pellegrini francesi. Papa è allora l’anziano Leone XIII. La risposta del Papa, tanto vecchio da apparire quasi rinsecchito sarà evasiva, nove anni dopo Teresa sarà già morta e lui sarà ancora vivo. Durante il suo viaggio in Italia, perfetto ‘prodotto’ della sua cultura, Teresa non dubiterà mai di nulla che le sarà mostrato, dalla lingua di S. Antonio a Padova, al corpo mummificato di S. Caterina da Siena. Anzi il suo cuore palpiterà fantasticando sul martirio dei cristiani al Colosseo. L’unico ‘pensiero’ autonomo che le sfugge è un’osservazione quasi femminista: non capisce come mai alle donne, in Italia, siano opposti così tanti divieti e così tante minacce di essere scomunicate. Ma si consola pensando che in cielo le ultime saranno le prime. Nel frattempo anche la sorella Leonia entra in monastero. Non nel Carmelo di Lisieux ma presso le Visitandine.
Dopo il viaggio a Roma, paiono non esserci più ostacoli. Infatti, il 9 aprile 1888 Teresa entra a quindici anni al Carmelo, un piccolo monastero dove una ventina di religiose seguono la regola di Santa Teresa d’Avila, sotto la guida di una superiora, Madre Maria di Gonzaga che da subito la prende di mira. Quella terza sorella Martin nel convento, non fu ben accolta. Troppe donne della famiglia Martin in un piccolo convento. Teresa agli occhi delle consorelle non si distinguerà né per particolari virtù, né per particolari doti umane, come le stesse testimonieranno nel processo di canonizzazione. La vita conventuale di Teresa scorrerà nella sua forma più ovvia e normale. E in clan Martin all’interno del convento si allargherà ancora con l’ingresso di un’altra sorella, Celina e della cugina Maria Guérin. Le donne Martin nel convento arrivano a formare un quinto dei membri della comunità. La famiglia Martin diventa la colonna economica su cui si regge in gran parte la vita della comunità, e inevitabilmente le tensioni tra le ‘sorelle’ Martin e la Madre Gonzaga che si vede accerchiata aumentano a dismisura. Madre Gonzaga, soprattutto, non sopporta Teresa. La ragazza non ha mai fatto alcun lavoro, neanche domestico, ed è lenta ad imparare. Inoltre mal sopporta la dura regola carmelitana che prevede veglie, digiuni, alimentazione scarsa. Il freddo nel convento poi è intenso, non c’è riscaldamento e l’abito monastico prevede i piedi nudi in sandali di corda. I lavori di pulizia degli ambienti sono gravosi, come il bucato. Tutti lavori che Teresa non aveva mai fatto. Presto, si manifestano in Teresa i sintomi della tubercolosi: tosse persistente, mal di gola, raucedine, inappetenza. La sorella Paolina, ora priora del convento, in un diario registra lo stato di salute precario della sorella, fin dai primi tempi. Tuttavia una diagnosi della malattia di Teresa non fu mai fatta, e la parola tubercolosi fu pronunciata solo quando ormai la ragazza era morente. Teresa non fu esonerata da nessuno degli impegni di preghiera, di penitenza e di lavoro previsti, neanche da quelli più gravosi. Gli alti e bassi della salute continuarono per due anni, senza che nessuno intervenisse. Nel convento lei aveva ben tre sorelle e una cugina. La sorella a lei più cara, Paolina, era addirittura priora del convento e lo rimase fino al marzo del 1896. E, Teresa, obbedisce all’obbligo che impone di informare sempre la priora delle proprie malattie. Giungono le emottisi, Teresa inizia a sputare e a vomitare sangue. Teresa continua la vita comunitaria. Giunge la febbre, che non sarà mai misurata, la mancanza di respiro, ma la sua comunità non se ne preoccupa. Lo stesso medico del monastero dichiara che Teresa ha una buona cera. Solo fra l’aprile e il maggio del 1897, dopo continue emottisi, il dottor Corniére ammette che Teresa è malata. Quando si decidono a farla scendere dalla sua cella all’infermeria la ragazza è ormai agli estremi. Le sarà sempre accanto Paolina, che negli ultimi mesi di vita della sorella, prenderà nota di quanto avveniva quotidianamente e soprattutto delle parole pronunciate da Teresa. A mano a mano che Teresa parlava, Paolina prendeva nota. Fra il sette luglio e il cinque agosto 1897 si contarono venti emottisi. Il polmone destro era ormai totalmente perduto, il sinistro già invaso nel suo terzo inferiore. La tubercolosi raggiunse gli intestini che andarono in cancrena. E intanto l’amata sorella Paolina, arrivava tutti i giorni, durante i periodi di ricreazione, riferendo a Teresa morente le aspettative del convento nei riguardi della sua morte, e ne registrava le parole. Enorme scandalo scoppia nel convento quando si sparge la voce che Teresa non riceve più la comunione, benché fosse la tosse e la sfinitezza ad impedirglielo, ciò non rispettava i canoni della bella ed eroica morte. La vogliono santa. Tanto che la povera Teresa un giorno esclama: Mi bersagliano di domande come Giovanna d’Arco davanti al suo tribunale. Perché Teresa è troppo normale, così normale che alla sua morte la priora troverà difficile compilare il suo necrologio.
Intorno a lei tutti però la vogliono santa, e si rifiutano di vedere la sua sofferenza estrema, il suo corpo sfinito, le ossa che le bucano le mani. In un delirio collettivo così la descriveranno: ‘I suoi occhi brillavano di pace e di gioia, e il suo volto di un sorriso celestiale. Era di una bellezza che rapiva’. E’ quanto dissero coloro che furono presenti la sera che Teresa Martin, una ragazza di ventitré anni entrata in convento a quindici, morì. Il 30 settembre 1897.


Invito tutti coloro che fossero interessati ad approfondire la figura di Teresa di Lisieux a leggere, e rileggere il libro di Ida Magli 'Teresa di Lisieux. malattia romantica e passione per la vita'. 

fonte: http://larapavanetto.blogspot.it/

Nessun commento: