martedì

Helen Keller




Helen Adams Keller è stata una scrittrice, attivista e insegnante statunitense, sordo-cieca dall’età di 19 mesi. Alla sua vicenda, e a quella dell'istitutrice che le insegnò a interagire con il mondo esterno così da poter affrontare gli studi fino alla laurea, fu dedicato il romanzo The Miracle Worker, da cui furono tratti sia un film che una rappresentazione teatrale, entrambi con lo stesso nome del romanzo, che in italiano è noto come Anna dei miracoli.

La gioventù

Helen Keller nasce nella tenuta di Ivy Green, vicino Tuscumbia (Alabama), dal Capitano Arthur H. Keller e da Kate Adams Keller. A 19 mesi, si ammala gravemente: i dottori descrivono la malattia come "un'acuta congestione dello stomaco e del cervello" (probabilmente scarlattina o meningite). La malattia non dura a lungo, ma la porta alla cecità e sordità totali. Per comunicare con i genitori, la piccola Helen inventa una serie di segni convenzionali (all'età di sette anni, saranno circa 60).
Nel 1886, sua madre Kate resta colpita da un resoconto di Charles Dickens su American Notes, in cui si parla di un tentativo coronato da successo di mandare a scuola una bambina cieca e sorda di nome Laura Bridgman. Kate Keller si reca così da uno specialista a Baltimora, che a sua volta mette in contatto la famiglia Keller con l'esperto locale, Alexander Graham Bell (all'epoca impegnato nella cura di bambini sordi).
Bell suggerisce alla coppia di contattare la scuola dove la piccola Laura Bridgman è stata educata, il Perkins Institute for the Blind (nel sobborgo irlandese di South Boston). La scuola affida il compito di istruire ed educare la piccola Helen ad Anne Sullivan, ex allieva dell'istituto stesso ed essa stessa parzialmente cieca, all'epoca poco più che ventenne. È l'inizio di un rapporto che durerà quasi mezzo secolo.

La Sullivan, per prima cosa, chiede ed ottiene il permesso dal padre di isolare la bambina dal resto della famiglia, vivendo insieme a lei in una dépendance nel giardino di casa. Il primo obiettivo è quello di insegnare la disciplina ad Helen, che era stata viziata dai genitori fino a quel momento.
Helen fa il primo grande passo in avanti nella comunicazione quando, sentendo dell'acqua fredda scorrere sul palmo della mano, riesce a comprendere il concetto di "acqua". Da quel momento, Helen non smetterà più di chiedere alla sua maestra il nome di tutti gli altri oggetti a lei familiari (compresa la sua amatissima bambola).
Nel 1890, Helen scopre la storia di Ragnhild Kåta, una ragazzina norvegese anch'essa cieca e sorda che è riuscita ad imparare a parlare. Il successo di Raghnild spinge Helen (che all'epoca aveva dieci anni) ad imparare a parlare. Anne Sullivan nel frattempo continua ad educare Helen attraverso il metodo Tadoma (ovvero, toccare le labbra e il collo di chi sta parlando) e attraverso l'alfabeto manuale. Più tardi, Helen Keller imparerà a leggere anche l'inglese, il francese, il tedesco, il greco e il latino in Braille.

Nel 1888, Helen inizia a frequentare la Perkins School for the Blind. Nel 1894, si trasferisce assieme ad Anne Sullivan a New York per frequentare la Wright-Humason School for the Deaf. Nel 1898, tornano nel Massachusetts e Helen entra alla The Cambridge School of Weston. Due anni dopo (1900), viene ammessa al Radcliffe College, dove si laurea magna cum laude (1904) all'età di 24 anni. Diventa così la prima persona cieca e sorda a laurearsi in un college.

L'impegno in politica

Nel 1903, pubblica la sua corposa autobiografia The story of my life. È il primo di una serie di undici libri e di numerosi articoli a firma Helen Keller, che nel tempo diventa una autrice ed oratrice molto famosa in tutto il mondo. Si impegna da avvocato in numerose cause per i diritti dei disabili ed in numerose altre cause progressiste, oltre ad essere una suffragette, una pacifista ed una attivista del movimento per il controllo delle nascite.
Nel 1915, fonda l'organizzazione non-profit Helen Keller International per la prevenzione della cecità. Assieme ad Anne Sullivan, compie vari viaggi in ben 39 Paesi mostrando particolare predilezione per il Giappone, dove diventa una beniamina. Inoltre, incontra tutti i Presidenti degli Stati Uniti da Grover Cleveland a Lyndon B. Johnson e diventa amica di parecchie personalità come Alexander Graham Bell, Charlie Chaplin e Mark Twain.
Helen Keller diventa anche membro del Partito Socialista d'America (Socialist Party of America, SPA), partecipando attivamente alle iniziative del partito e scrivendo molti articoli in favore della classe operaia dal 1909 al 1921. Sostiene attivamente anche il candidato del SPA alla presidenza Eugene V. Debs in tutte le sue campagne. Visita spesso i lavoratori, arrivando ad affermare:
« Ho visitato i luoghi dove lavorano gli operai sfruttati, le industrie, i bassifondi sovraffollati. Anche se non li ho potuti vedere, li ho odorati. »
Vari editorialisti e commentatori dei giornali, dapprima pieni di elogi per il suo coraggio e la sua intelligenza, iniziano però a porre maggiore attenzione alle disabilità di Helen Keller, dopo che questa adotta posizioni socialiste. L'editore del Brooklyn Eagle arriva a scrivere che:

« [...] i suoi errori [politici, ndr] scaturiscono dalle sue manifeste limitazioni fisiche. »

Keller risponde all'editore, ricordando il giorno in cui si incontrarono (ben prima che egli scoprisse le sue posizioni politiche):

« Quel giorno, i complimenti che lui mi tributò furono così generosi che ancora arrossisco al solo ricordarli. Ma adesso che ho reso pubbliche le mie posizioni socialiste, lui ricorda a me e al pubblico che sono cieca e sorda e soggetta a compiere molto facilmente errori. Evidentemente, mi si deve essere ristretta l'intelligenza dall'ultima volta che ci siamo visti... Oh, ridicolo Brooklyn Eagle! Cieco e sordo socialmente, difende un sistema intollerabile, un sistema che è responsabile di larga parte di quei casi di cecità e sordità che noi cerchiamo di prevenire. »

Temendo che il "socialismo parlamentarista" stesse "affondando nel pantano della politica", Helen Keller aderisce nel 1912 all'Industrial Workers of the World (IWW), un sindacato con ramificazioni in molti Paesi per cui pubblicherà vari articoli fra il 1916 e il 1918. In una intervista rilasciata al New York Tribune, Helen spiega che il suo attivismo in parte deriva dal suo interesse per le disabilità:

« Fui nominata per una commissione per studiare le condizioni delle persone cieche. Per la prima volta, proprio io che pensavo che la cecità fosse una malattia non dipendente dall'uomo, ho scoperto che troppe volte le cause erano rintracciabili in condizioni di lavoro insostenibili, spesso dovute all'egoismo e all'avarizia degli industriali. E che anche i mali sociali contribuiscono, da par loro: la povertà ha portato spesso le donne a condurre una vita indecente, conclusasi con la cecità totale. »

Helen Keller e gli "Akita Inu"

Nel luglio del 1937, Helen Keller visita la Prefettura di Akita (Giappone). Qui chiede notizie su Hachiko, il cane di razza Akita Inu morto nel 1935, esprimendo il desiderio di avere un cane della sua stessa razza. Nel giro di un mese, ottiene in regalo dalla popolazione un cucciolo di Akita Inu chiamato Kamikaze-go, che morirà poco tempo dopo per cimurro. Nel luglio del 1939, il Governo giapponese provvede così a regalarle come dono ufficiale il "fratello maggiore" di Kamikaze, Kenzan-go.
Si attribuisce proprio ad Helen Keller la prima introduzione negli Stati Uniti di un cane di razza Akita Inu proprio con i suoi due cani, Kamikaze-go e Kenzan-go. Nel 1938, è addirittura creato uno standard per quella razza, che viene presentato in molte manifestazioni canine. Tutte queste attività però si fermarono dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Helen Keller così ricorda Kamikaze-go sull'Akita Journal:

« Se mai è esistito un angelo con la pelliccia, quello era Kamikaze. So che non otterrò mai più la stessa tenerezza da un altro animale. I cani Akita hanno tutte le qualità che mi attirano - gentilezza, socievolezza e lealtà. »

Gli ultimi anni

Nel 1960, viene pubblicato il suo libro Light in my Darkness, in cui Helen Keller sostiene con forza le teorie dello scienziato e filosofo svedese Emanuel Swedenborg. Negli ultimi anni della sua vita, si dedica a raccogliere fondi per la American Foundation for the Blind.
Il 14 settembre 1964 riceve dalle mani del Presidente degli Stati Uniti Lyndon B. Johnson la Medaglia presidenziale della libertà, l'onorificenza civile più alta negli Stati Uniti.
Helen Keller muore il 1º giugno 1968 nella sua casa di Easton (Connecticut) all'età di 87 anni.

La storia di Helen Keller ispirò il cinema. Il primo film muto sulla storia di Helen Keller, Deliverance, viene pubblicato nel 1919. Nel 1962, viene girato un altro film, Anna dei miracoli (titolo inglese: The Miracle Worker), che racconta la storia di Anne Sullivan (interpretata da Anne Bancroft, premiata con l'Oscar alla migliore attrice protagonista) e di Helen Keller (interpretata da Patty Duke, anch'essa premiata con l'Oscar alla migliore attrice non protagonista). Nel 1984 viene trasmesso un film tv dal titolo The Miracle Continues, riguardante l'ingresso di Helen al Radcliffe College, che viene considerato un "semi-sequel" di Anna dei miracoli. Nessuno degli ultimi film prodotti e trasmessi accenna all'impegno politico di Helen Keller. Solo una versione del 2000 prodotta dalla The Walt Disney Company accenna, nei titoli finali, al fatto che è stata «un'attivista per l'equità sociale». Anche Bollywood nel 2005 tributa i suoi onori ad Helen Keller con il film Black, che illustra la sua vita dall'infanzia alla laurea. Sempre nel 2005, la Fondazione Swedenborg ha prodotto un nuovo documentario dal titolo Shining Soul: Helen Keller's Spiritual Life and Legacy, incentrato sul ruolo svolto dalle teorie spirituali di Emanuel Swedenborg nella vita di Keller.
Nel 2003, l'Alabama (Stato natale di Helen Keller) ha dedicato l'emissione delle monete da 25 centesimi di dollaro alla memoria della scrittrice ed attivista. Sempre in Alabama, alla sua memoria è dedicato l'Helen Keller Hospital.
La vicenda di Helen Keller viene raccontata anche nel manga Il grande sogno di Maya, scritto e disegnato da Suzue Miuchi: la protagonista, una giovane attrice in carriera, recita la parte della giovane sordo-cieca in uno spettacolo teatrale.

fonte: Wikipedia

domenica

Alessandro Pavolini




è stato un giornalista, politico e scrittore italiano, ministro della Cultura popolare e segretario del Partito Fascista Repubblicano (PFR).

Ambito familiare e formazione

Figlio di Paolo Emilio, poeta e filologo (docente ordinario di sanscrito e di civiltà dell'India antica presso l'Istituto di Studi Superiori fiorentino, livornese originario dell'isola d'Elba, nacque nell'aristocratica ed antica residenza fiorentina occupata dalla famiglia in via San Gallo 57).
Secondo i biografi, il giovane Alessandro avrebbe mostrato una precocissima attitudine al giornalismo, redigendo nel 1911, a soli otto anni, con l'aiuto del fratello Corrado, un foglio ciclostilato dal titolo "La guerra" in appoggio alla campagna di Libia. Qualche anno più tardi sarebbe stata la volta di un'analoga iniziativa volta ad esaltare l'intervento italiano nella prima guerra mondiale su un foglio dal titolo "Il Buzzegolo", nome derivante da un soprannome familiare del giovane Alessandro.
Dal 1916 al 1920 frequentò il ginnasio ed il liceo classico presso l'istituto "Michelangelo". Si iscrisse quindi alla facoltà di Legge dell'Università di Firenze ed a quella di Scienze Sociali di Roma, mentre iniziava le prime esperienze letterarie ed alternava l'impegno culturale a quello politico.

Gli anni dello squadrismo

Il 1º ottobre 1920 aderì ai Fasci Italiani di Combattimento di Firenze e partecipò a varie azioni nelle squadre d'azione del conte Dino Perrone Compagni, rimanendo allo stesso tempo amico di Carlo e Nello Rosselli.
Tra il 1922 ed il 1923 entra nel Fascio dissidente di Firenze, più radicale ed intransigente e per un periodo attivo con un rapporto di collaborazione e competizione con il Fascio ufficiale, assieme a Manganiello ed alla cosiddetta "Banda dello Sgombero", della quale fa simbolicamente parte anche il padre. Rientrerà, con tutti i dissidenti, nel Fascio ufficiale durante il 1923.
Il 28 ottobre 1922, in occasione della Marcia su Roma, trovandosi nella Capitale per sostenere un esame universitario, si unì al gruppo di fascisti proveniente da Firenze. Tra il 1923 ed il 1924 svolse il servizio militare come sottotenente dei Bersaglieri, ottenendo il grado di centurione della MVSN al suo congedo.
Nel 1924 si laureò contemporaneamente in Legge a Firenze ed in Scienze Sociali a Roma, anno nel quale partecipò alla contestazione del docente antifascista Gaetano Salvemini, all'Università degli Studi di Firenze. Alla manifestazione assistette Piero Calamandrei che ricordò:

« Soprattutto mi restarono impressi, nei cento volti di quella canea urlante, gli occhi di Alessandro Pavolini, allora studente di legge, che capeggiava quell'impresa: egli mi guardava senza parlare con occhi così pieni di acuminato odio che quasi ne rimasi affascinato come se fossero occhi di un rettile: c'era già in quegli occhi la spietata crudeltà di colui al quale vent'anni dopo, alla vigilia della liberazione della sua città, doveva essere riservata la gloria di organizzare i franchi tiratori, incaricati di prendere a fucilate dai tetti le donne che uscivano durante l'emergenza a far provvista d'acqua. »
(Piero Calamandrei)

L'attività politica, culturale e giornalistica

Successivamente ricoprì vari incarichi negli istituti di cultura e nei movimenti giovanili fascisti: nel 1925 fu addetto stampa della Legione Ferrucci, successivamente collaborò a Battaglie fasciste, Rivoluzione fascista, Critica fascista, Solaria (1926-1932) e saltuariamente a riviste letterarie. Pubblicò il romanzo Giro d'Italia e compose poesie di tema crepuscolare.
Nel maggio del 1927 fu nominato vice Federale di Firenze. Nello stesso anno, durante le vacanze estive passate a Castiglioncello (passate dedicandosi spesso e con discreto successo al tennis), conobbe la futura moglie, Teresa Franzi, nipote di un senatore e figlia di un affermato ingegnere milanese. La sposò nel 1929 e la coppia ebbe tre figli, Ferruccio (1930), Maria Vittoria (1931) e Vanni (1938).
Il 17 settembre 1929, in seguito al rapporto del prefetto di Firenze al Ministero dell'Interno, vennero segnalati i suoi precedenti di "attivo squadrista" e di partecipante alla Marcia su Roma, permettendogli quindi di ottenere il Brevetto della Marcia su Roma, requisito che tra l'altro concedeva una serie di preferenze e benefici durante il regime.
Sempre nel 1929 successe, appena ventiseienne, al marchese Luigi Ridolfi alla carica di segretario della federazione provinciale del PNF di Firenze. In questo ruolo promosse la realizzazione dell'autostrada Firenze-Mare e della centrale Stazione di Santa Maria Novella, ed istituì il Maggio Musicale Fiorentino. Diventato gerarca, fu in questo periodo che cominciò ad alimentare il "mito della giovinezza", tra i motivi fondanti del regime, esaltando e puntando principalmente l'attenzione sugli anni dello squadrismo:

« Sede di Via Cavour, sede di piazza Ottaviani... Acri mesi del '20, del '21. Bastonature che nascevano in piazza, improvvise, come i mulinelli della polvere nelle sere di vento; canti irosi nei rioni ostili; revolverate; vie deserte con tutte le porte, le persiane serrate come per un temporale; i camions; i morti (gli occhi stravolti nel viso dell'amico, quel sangue, sulla pietra) e gli indimenticabili vivi, "i vecchi": rivelazione di temperamenti straordinari colti nell'istante dello scatenamento (...) corto circuito d'inquietitudini, di entusiastiche devozioni; vita di capannello e di spedizione, combattimento alle cantonate, alle siepi; disperati litigi; armi spaiate; berretti da ciclista, elmi, baveri alzati. »

(Alessandro Pavolini, dalla prefazione a Bruno Frullini, Squadrismo fiorentino, Vallecchi, Firenze, 1935)

Nel 1929 inoltre fondò la rivista Il Bargello, organo della federazione fiorentina e rivista letteraria. Eletto deputato nel 1934, lascia la direzione del Fascio fiorentino e, insieme a Giuseppe Bottai, contribuisce all'ideazione ed all'organizzazione dei Littoriali della cultura e dell'arte. Dal 1934 al 1942 fu stabilmente al Corriere della sera come inviato speciale. Durante questa esperienza è da ricordare un articolo in cui si scagliò contro la stampa estera, affermando che gli stranieri fossero «lividi d'ira e d'invidia perché hanno la precisa coscienza del livello morale che passa tra i nostri giornali, araldi di un'idea, e quelli delle "grandi democrazie", asserviti alla massoneria e all'affarismo».
Nel 1938 fu tra i firmatari del Manifesto della razza, in appoggio alle leggi razziali fasciste. Fu poi presidente della Confederazione fascista dei professionisti e artisti (29 ottobre 1934 al 23 novembre 1939); membro del Consiglio Nazionale delle Corporazioni (1939-1943); componente della commissione per la bonifica libraria istituita dal ministero della Cultura Popolare (1938-1939); membro del Gran Consiglio del Fascismo (1939-1943).
Strinse amicizia con Galeazzo Ciano, con il quale condivideva il piacere per la bella vita ed un'idea del fascismo alquanto distante da quella propugnata da Starace. Ciano lo protesse e lo difese a più riprese, più di quanto non avesse mai fatto per qualsiasi altro, una prima volta nel 1935 quando a Mussolini giunse una segnalazione nella quale, dopo essere stato ridicolizzato come combattente, veniva accusato di cumulare incarichi e prebende sino a mettere assieme stipendi da favola ed in almeno un'altra occasione, nel novembre 1937, quando Mussolini espresse a Ciano dubbi sul "lealismo politico" di Pavolini.
Almeno sino al 1939 Pavolini si mantenne, in pubblico, vicino al sentimento antitedesco di Ciano, tanto che in occasione dell'occupazione della Boemia esclamò:
« Ecco l'occasione buona per mettere a posto per sempre la Germania. »
e l'eco di tale dichiarazione giunse sino a Berlino
.
La guerra d'Abissinia

Già nel settembre 1935 Pavolini si trovava ad Asmara come corrispondente di guerra in vista dell'imminente conflitto. Allo scoppio della guerra Pavolini si arruolò entrando in servizio come tenente osservatore nella 15ª squadriglia da bombardamento la Disperata, operandovi contemporaneamente quale inviato speciale del Corriere della Sera. Il 3 ottobre partecipò alla sua prima azione durante il bombardamento della città etiopica di Adua.
In questo periodo scrisse anche un inno in onore di Galeazzo Ciano, comandante della squadriglia:

« Vita, sei nostra amica. Morte, sei nostra amante.
Nella prima carlinga è Ciano comandante.
A chi ci seguirà, il varco si aprirà
Anche la geografia bombardando si rifarà »

(Alessandro Pavolini)

Nel periodo che va da Natale ai primi di febbraio, Pavolini fu costretto all'inattività a causa di una licenza in Italia di Ciano: in questo periodo progettò azioni ardimentose da proporre a Ciano, che rimasero tutte sulla carta: come l'occupazione di un isolotto sul Lago Tana, in territorio nemico, dove impiantare una base aerea facilmente difendibile, dalla quale dare man forte ai ribelli avversi all'imperatore d'Etiopia. A questo proposito scrisse a Ciano:

« Sono sicuro che un'impresa del genere, che rimarrebbe storica negli annali dell'aviazione, e nella fantasia di tutti i ragazzi del mondo, non può non sedurti così come ha innamorato me fino all'ossessione (sono dieci giorni che non penso ad altro). »

(Alessandro Pavolini il 29 gennaio 1936 nella sua corrispondenza a Ciano)

Dopo il ritorno di Ciano alla squadriglia, il 15 febbraio Pavolini prese parte agli attacchi contro l'esercito etiopico in ritirata dopo la sconfitta subita nella Battaglia dell'Endertà:

« Si trattava di convertire in disastro la ritirata di un nemico già duramente sconfitto. Ecco che l'Aeronautica A.O., questa materia umana e meccanica atta ad assumere ogni forma, iniziò un altro fra i nuovi impieghi dell'aviazione di guerra. L'aviazione concepita come cavalleria d'inseguimento. Vere e proprie cariche di velivoli si avventarono lungo le carovaniere, incalzando i fuggiaschi ai guadi, dispersero le colonne, perseguitarono i dispersi con la mitragliatrice e la carabina. »

(Alessandro Pavolini in Disperata)

Nel corso delle medesime operazioni il nemico fu bombardato con 60 tonnellate di iprite, un'arma chimica il cui impiego era vietato dalla Convenzione di Ginevra: Pavolini non ne fa menzione. Il 27 febbraio iniziò la Seconda battaglia del Tembien che vide la rotta dell'esercito guidato da Ras Kassa Haile Darge. Pavolini dall'alto descrisse la situazione evolversi:

« Quando vedemmo le truppe che puntando sul rovescio dell'Amba Aradam avevano determinato il crollo di Mulugheta proseguire e sbloccare a Gaelà, anche la sorte di Cassa e Sejum apparve segnata. Erano ormai fra due Corpi d'Armata come fra due mandibole ben arcuate. E non restava che stringere. Quest'operazione finale, nelle selve, nelle forre e nelle caverne del Tembien, richiamava ancora una volta alla mente immagini di caccia grossa. Somigliò ad una gigantesca battuta.»

(Alessandro Pavolini)

Commentando la fine della battaglia nei pressi del lago Ascianghi Pavolini scrisse:

« Infinite altre ecatombi, spesso molto più vaste, ha visto la storia delle guerre. Ma di rado la strage si concentrò in un tempo e in uno spazio altrettanto ristretti. [...] Fulminata, una generazione giaceva sui tratturi dell'altopiano. A bocca chiusa marciavano gli occupanti, attenti a non inciampare. Il fetore riduceva i comandi al minor numero possibile di sillabe. E finalmente fu la pianura, fu la prateria. »

(Alessandro Pavolini)

Il 15 aprile l'aereo su cui si trovava Pavolini ebbe un guasto pertanto si decise di puntare sulla città di Dessiè appena occupata dalle truppe eritree del generale Alessandro Pirzio Biroli. Ma quando si danneggiò anche uno dei due motori fu costretto ad effettuare un atterraggio di emergenza nel piccolo campo di aviazione di Quoram in territorio nemico. Da qui furono poi recuperati il giorno seguente.
Alcuni giorni prima dell'occupazione di Addis Abeba, per un Ciano desideroso di compiere un'impresa ardimentosa, Pavolini progettò un'incursione nell'aeroporto della città al fine di catturarne il comandante. Il 30 aprile, da Dessiè, Ciano accompagnato da Ettore Muti partì alla volta di Addis Abeba: l'impresa non ebbe però successo, in quanto la rapida reazione dei difensori abissini non permise all'aereo di atterrare. Ripresa quota, Ciano si accontentò di lanciare un gagliardetto della "Disperata" sulla piazza principale della città.
Pavolini rievocò la sua esperienza bellica nel libro di memorie di guerra Disperata edito dalla Vallecchi nel 1937, allo stesso modo di altri illustri reduci della conquista abissina. Il libro ha toni analoghi a quelli di altri memoriali redatti da altri illustri reduci sulla guerra d'Etiopia e rivela disprezzo verso il nemico, assenza di pietà nel suo sterminio ed esaltazione della bella morte, valori reputati - allora - positivi e degni di essere francamente proclamati e rivendicati.

Ministro della Cultura Popolare e la relazione con Doris Duranti

Dal 31 ottobre 1939 fu titolare del Ministero della Cultura Popolare (Minculpop), in sostituzione di Dino Alfieri, inviato a Berlino come ambasciatore. Per Montanelli, con la sua nomina "salì sul firmamento fascista una stella che avrebbe brillato di luce sanguigna durante il periodo repubblichino".
Ad ispirare la nomina di Pavolini fu l'amico Ciano che, già la sera del 19 ottobre, aveva annotato nel suo Diario: «... Il Duce si accinge a fare ministri tutti i miei amici, Muti, Pavolini, Riccardi, Ricci...». Tutti toscani, come lo stesso Ciano. Tale fu la percezione della sua influenza nel rimpasto ordinato da Mussolini, mentre la guerra europea divampava ormai da due mesi, che presso alcuni circoli il nuovo governo venne definito non ufficialmente "il primo gabinetto Ciano".
Nello stesso periodo l'attrice Doris Duranti, diva del cinema dei "telefoni bianchi", divenne sua amante e lo resterà sino all'ultimo, quando Pavolini, alla vigilia della sua tragica fine, la fece rifugiare in Svizzera.

Le veline

Tra i principali compiti quotidiani del Ministero assegnato a Pavolini v'era la redazione delle "note di servizio", le cosiddette "veline" del Minculpop (tecnicamente denominate "note di servizio"), che imponevano ai media italiani cosa dire e come dirlo. L'arrivo di un uomo colto come Pavolini alla guida del dicastero, tuttavia, non portò alcun miglioramento - al contrario - nello stile e nella sostanza di tale attività, tesa a sostituire interamente la propaganda ai fatti ed alle notizie Già una settimana dopo l'inizio del mandato, infatti, la velina del giorno della gestione Pavolini assume toni perentori:

« Nelle cronache delle partite di calcio e negli articoli sul campionato non attaccare gli arbitri; ... Assoluto divieto di abbinare altri nomi alle acclamazioni all'indirizzo del Duce »

(Nota di servizio del Minculpop del 6 novembre 1939)

Nel febbraio del 1940 viene emessa una velina che rappresenta egregiamente il culto della personalità dedicato a Mussolini, cui Pavolini non cessa di dare impulso:

« Tenere sempre presente che tutto quanto si fa in Italia attualmente: lo sforzo produttivo del Paese, la preparazione militare, la preparazione spirituale, ecc., tutto promana dal Duce e porta la sua sigla inconfondibile »

(Nota di servizio del Minculpop del 22 febbraio 1940)

La foga con la quale la propaganda promossa sotto la supervisione di Pavolini viene prodotta porta anche ad infortuni linguistici, che contribuiranno all'ironia che si va diffondendo in modo sotterraneo nel Paese all'indirizzo del "colto" ministro e del suo ministero:

« È inutile continuamente parlare, in questa fase del conflitto, della non-belligeranza italiana: ma si può parlare invece che ci troviamo [sic!] in un periodo di intensissima preparazione, con le armi al fianco, e osserviamo con la più vigile attenzione gli avvenimenti che si svolgono intorno a noi. »

(Nota di servizio del Minculpop del 15 aprile 1940)

Con l'Italia ormai coinvolta nel conflitto mondiale, le veline aumentano il proprio distacco dalla realtà sino a specificarlo, a volte, esse stesse in modo esplicito, come quando, nell'anniversario della Marcia su Roma, il Minculpop non esita ad emettere una nota tutt'altro che bellicosa ma alquanto surreale, destinata probabilmente a tacitare i pettegolezzi che si vanno sempre più facendo intensi circa la relazione sentimentale tra Pavolini e Doris Duranti, che per questo viene popolarmente schernita come "l'artista per (sua) eccellenza":

« Tra i presenti alla "prima" del film "Bengasi" dare anche il ministro Pavolini (anche se non ci sarà). »
(Nota di servizio del Minculpop del 28 ottobre 1942)

Allo scopo di stigmatizzare la rivista fascista "Il Primato", che aveva pubblicato in copertina un'illustrazione raffigurante alcuni soldati seduti in un bivacco, durante la guerra Pavolini emise un messaggio che recitava:

« In Italia i soldati devono stare sempre in piedi. »
(Alessandro Pavolini)

Nel gennaio del 1941 fu inviato sul fronte greco, col grado di capitano, sempre al seguito di Ciano. La polizia politica registrò un'azione riservata di attacco compiuta con ardore, ma senza fortuna, dai due gerarchi: la "vittima" era un'attricetta di passaggio a Bari, che ne uscì indenne.
Pavolini perse l'incarico di ministro a seguito di un rimpasto governativo voluto da Mussolini l'8 febbraio 1943, nel tentativo di controllare il fronte interno mentre la guerra appariva ormai perduta: i pesanti bombardamenti alleati sulle città italiane ed il diluvio di feriti e di caduti, che né la propaganda di Pavolini né la censura militare riuscivano più ad occultare, avevano ormai reso chiaro a tutti ciò che da tempo era chiaro anche ad alcuni membri della Casa Reale.
Forse consapevole del fallimento di una propaganda alla Starace, Mussolini, secondo una interpretazione dei fatti, tentò di risalire la china con un cambio di ministri nell'ambito del quale la testa più illustre a cadere fu proprio quella del ministro della Cultura Popolare, il cui ruolo sarebbe stato perciò visto come ormai inefficace, se non dannoso, ai fini della sopravvivenza del regime.
Pavolini fu così privato del ministero (sostituito da Gaetano Polverelli) e nominato direttore del quotidiano romano Il Messaggero. Secondo altre interpretazioni il rimpasto fu invece dovuto al conflitto sotterraneo tra le più alte cariche dello Stato, che andava aprendosi tra Monarchia e Fascismo: Mussolini intendeva sollevare dalle poltrone più delicate gli uomini sospetti di maggiore fedeltà alla monarchia che al fascismo, per rendere più difficili possibili iniziative politiche avverse al regime avallate da Casa Savoia.
Quello impostogli da Mussolini costituì un arretramento - seppure momentaneo, in quanto conservò la carica di consigliere nazionale del PNF - nel prestigio di Pavolini ed un altrettanto momentaneo allontanamento dalla politica attiva di alto livello, sebbene a Pavolini fosse stata comunque offerta una tribuna, quella di direttore di un importante quotidiano, che gli consentiva inoltre di tornare a coltivare la sua vecchia passione per il giornalismo. Continuò l'attività letteraria con la pubblicazione di memorie come Disperata (1937) e racconti o romanzi come Scomparsa d'Angela (1940).

La fine del fascismo-regime

Il 25 luglio 1943 Pavolini venne a conoscenza della destituzione e del conseguente arresto di Mussolini dal ministro Zenone Benini. Pavolini, tornato a casa, mise al sicuro la famiglia facendola ospitare da uno zio, l'architetto Brogi, poi si rifugiò presso l'amico Pierfrancesco Nistri in via Tre Madonne, temendo di poter essere ucciso dalla polizia di Badoglio come era già avvenuto con Ettore Muti. Nel corso dei due giorni lì passati maturò la decisione di recarsi in Germania al fine di continuare a combattere al fianco dei tedeschi.

« Dal regime ho avuto tutto e intendo restituirgli tutto. C'è una sola strada possibile per salvare almeno il nostro onore di fascisti. »

(Alessandro Pavolini confidandosi all'amico Pierfrancesco Nistri il 26 luglio 1943)

Cinque minuti prima della mezzanotte del 27 luglio a bordo di un'auto munita di targa diplomatica giunse a Villa Wolkonsky, all'epoca sede dell'ambasciata tedesca a Roma e l'indomani mattina dallo scalo aereo di Ciampino, partì per Königsberg raggiungendo Vittorio Mussolini.

Segretario del Partito Fascista Repubblicano

La ricostituzione del partito fascista

A seguito del tracollo del regime, Pavolini si rifugiò in Germania, da qui svolse opera costante di propaganda mostrandosi ai tedeschi oltre che fedelissimo del Duce, anche fascista intransigente. Infatti ancor prima dell'armistizio dell'8 settembre, insieme a Vittorio Mussolini, da Königsberg sviluppò i piani politici per la restaurazione del fascismo in Italia e pronunciò comunicati via radio in italiano che preannunciavano il ritorno del Duce al governo. Quando questi fu liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e condotto in Germania, Pavolini fu tra coloro che a Monaco sostennero la necessità di dare al centro-nord Italia un "Governo Nazionale Fascista" dopo la fuga da Roma del Re e di Badoglio, insistendo con Mussolini affinché ne assumesse la guida.
Così Pavolini si rivolse a Mussolini al loro primo incontro dopo la liberazione da Campo Imperatore:

« Il governo provvisorio nazionale fascista attende la ratifica dal suo capo naturale: solo così si potrà annunciare la composizione del governo. »

(Alessandro Pavolini rivolgendosi a Mussolini)

Dopo alcuni tentennamenti, Mussolini si risolse ad accettare la guida della nuova entità statale. La scelta di Mussolini, per la quale spingeva Hitler stesso che voleva nuovamente dare dignità al proprio maestro ed amico, indispettì parte dei gerarchi nazisti che avrebbero preferito una figura più malleabile.

La Repubblica Sociale Italiana

Costituita la Repubblica Sociale Italiana fu nominato segretario provvisorio del neonato Partito Fascista Repubblicano (PFR). Il 17 settembre si recò con Guido Buffarini Guidi a Roma, dove aprì la sede del Partito a palazzo Wedekind riorganizzandone la struttura e l'organizzazione. Da qui lanciò un appello radiofonico agli italiani:

« Facile è l'entusiasmo nelle vittorie, più arduo ma più degno è tener fede nei giorni avversi con i denti stretti e col pugno duro. Chi oggi si arrende si rassegna alla perpetua vergogna e alla miseria per sé e per i suoi. Fascisti e cittadini romani e italiani, riaccendete l'intimo fuoco delle speranze e della volontà, stringetevi intorno a Mussolini e alla bandiera d'Italia. Non tradiamo i Caduti d'Italia e l'Italia non cadrà. »

(Alessandro Pavolini, dal discorso radiofonico del 17 settembre 1943)

Il 23 settembre Pavolini convinse il maresciallo Rodolfo Graziani ad aderire al PFR dopo un burrascoso colloquio. Successivamente convocò gli ufficiali del Presidio Militare di Roma e, annunciato loro che "il partito che io guido sarà un partito totalitario", ordinò alla divisione Piave di deporre le armi, consegnarle ai tedeschi e mettersi in marcia verso il nord in attesa di ulteriori ordini. Il 24 settembre fece celebrare la prima cerimonia funebre in onore di Ettore Muti, ucciso in maniera misteriosa durante il suo arresto notturno a Fregene ad opera di Carabinieri inviati da Badoglio.
L'idea di Pavolini di creare un esercito prettamente fascista per la Repubblica Sociale Italiana lo portò a vari scontri con Graziani, che desiderava che il nascente Esercito Nazionale Repubblicano fosse apolitico, e con l'amico Ricci che era al comando della Guardia Nazionale Repubblicana. Pavolini riuscì poi a ottenere soddisfazione con la creazione delle Brigate Nere.
Fu aperta la campagna tesseramenti al nuovo Partito Fascista Repubblicano. Secondo le direttive di Pavolini si negò aprioristicamente la tessera a coloro che avevano appoggiato il Governo Badoglio ed ai fascisti pentiti che chiedevano la reintegrazione. Il tesseramento fu poi chiuso per il sospetto che potessero giungere richieste strumentali da parte di "avventurieri ed opportunisti". Abolì inoltre l'uso del termine gerarca ed i fronzoli che adornavano le divise militari, rendendole il più possibile spartane. A fine ottobre erano già state raccolte circa 250.000 richieste di iscrizione al Partito Fascista Repubblicano.
Questo dato portò al congresso costituente di Verona (novembre 1943)raccontando: «ci siamo impadroniti dei ministeri mandando un camerata accompagnato da due, massimo da quattro giovani fascisti armati di mitra».
In realtà i due gerarchi erano nella capitale, seguendo un progetto discusso a Monaco con Mussolini, per riunire la Camera dei Fasci ed il Senato per far loro dichiarare decaduta la monarchia, ma si avvidero che era eccessivamente rischioso, avendo le Camere già votato in modo apertamente antifascista. Il 5 novembre, a seguito dell'omicidio di diversi fascisti nel corso di imboscate (colpì in particolar modo l'uccisione del console della Milizia Domenico Giardina), Pavolini emanò la seguente ordinanza che comminava la pena di morte ai responsabili:

« Di fronte al ripetersi di atti proditori nei riguardi dei fascisti repubblicani per parte di elementi antinazionali al soldo del nemico, il segretario del P.F.R. ordina alle squadre del partito di procedere all'immediato arresto degli esecutori materiali o dei mandanti morali degli assassini. Previo giudizio dei tribunali speciali, detti esecutori o mandanti siano passati per le armi. Per mandanti morali intendo i nemici dell'Italia e del fascismo, responsabili dell'avvelenamento delle anime. »

Il Manifesto di Verona

Alessandro Pavolini partecipò con Benito Mussolini e Nicola Bombacci alla stesura del Manifesto di Verona, che fu poi posto ai voti ed approvato al Congresso del Partito Fascista Repubblicano del 14 e 15 novembre 1943.

L'assise di Verona

Pavolini, chiamato a presiedere il primo ed unico Congresso del Partito Fascista Repubblicano (PFR) in qualità di segretario, aveva aperto l'assise leggendo un messaggio di Mussolini in cui si invitava ad adoperarsi per dare alla nuova repubblica un esercito. Pavolini proseguì la propria relazione paventando il pericolo costituito dagli attentati partigiani e richiamandosi al fascismo delle origini:

« Camerati si ricomincia. Siamo quelli del Ventuno.... Lo squadrismo è stata la primavera della nostra vita. Chi è stato squadrista una volta, lo è per sempre. »

(Alessandro Pavolini, 14 novembre 1943)

per poi concludere:

« E' l'antico tricolore che in una lontana primavera nacque senza stemmi sulla sua parte bianca, là dove noi idealmente iscriviamo, come su una pagina tornata vergine, una sola parola: "Onore". »

In seguito furono poi approvati i 18 punti del Manifesto di Verona. Mussolini descrisse a Dolfin il congresso come:

« E' stata una bolgia vera e propria! Molte chiacchiere confuse, poche idee chiare e precise. Si sono manifestate le tendenze più strane, comprese quelle comunistoidi. Qualcuno, infatti ha chiesto l'abolizione, nuda e cruda, del diritto di proprietà. »

(Mussolini a Dolpin)

Sostanzialmente il Congresso di Verona segnò la vittoria dei fascisti più intransigenti a scapito della corrente moderata, come dimostrò anche l'avvenuta rappresaglia di Ferrara.

La rappresaglia di Ferrara

Mentre il congresso era in corso, giunse a Verona la notizia dell'uccisione di Igino Ghisellini, pluridecorato  reggente la Federazione di Ferrara (Ghisellini dopo l'armistizio, aveva aperto trattative con gli antifascisti rifiutate però dal Partito comunista). Pavolini comunicò subito la notizia all'assemblea:

« Il commissario della federazione di Ferrara che avrebbe dovuto essere qui con noi, il camerata Ghisellini, è stato ucciso con sei colpi di pistola. Noi eleviamo a lui il nostro pensiero. Egli sarà vendicato!. »

(Alessandro Pavolini il 14 novembre)

Alla notizia i partecipanti all'assise cominciarono a gridare: "A Ferrara, a Ferrara". Pavolini, assecondando le richieste di rappresaglia disse: «lo faremo con il nostro stile spietato e inesorabile» e disponendo l'invio solo degli squadristi ferraresi e di Verona e Padova aggiunse:

« Non si può gridare in presenza del morto; si agisce in modo disciplinato. I lavori continuano. I rappresentanti di Ferrara raggiungano la loro città. Con essi vadano le formazioni della polizia federale di Verona e gli squadristi di Padova. »

(Alessandro Pavolini il 14 novembre)

In seguito alle disposizioni date da Pavolini, diverse squadre si recarono a Ferrara per eseguire la rappresaglia nel corso della quale settantacinque antifascisti furono prelevati dalle loro abitazioni e dalle locali carceri. Undici di essi furono sommariamente fucilati la notte stessa del 15 novembre, mentre alcuni altri morirono successivamente in carcere. La rappresaglia di Ferrara fu criticata da Mussolini per la sua ferocia e la sua inopportunità politica: in quel momento egli cercava di riunire quel che restava del Paese sotto la RSI, non precipitarlo ulteriormente in una guerra fratricida.

« Un atto stupido e brutale. »

(Benito Mussolini)

Tuttavia, da quel momento il dado fu definitivamente tratto. Roberto Farinacci commentò così l'episodio su "Il Regime Fascista": «La parola d'ordine è stata: occhio per occhio, dente per dente. Si è creduto forse che noi non avessimo la forza e il coraggio di reagire. I fatti ora hanno parlato».
Da quel momento la stampa di Salò prese ad impiegare largamente il neologismo "ferrarizzare" quale sinonimo di analoghe operazioni di liquidazione del nemico interno reputate "esemplari". Secondo Indro Montanelli:

« Il fanatismo divenne violenza e crudeltà anche in uomini che, come Alessandro Pavolini, avevano sensibilità e cultura »

(Indro Montanelli)

Il processo di Verona

La vittoria dell'ala dura del fascismo repubblicano al congresso di Verona sancì un sentimento comune a tutte le federazioni del nord Italia, desiderose di vendetta su coloro che nel Gran Consiglio del Fascismo del 25 luglio 1943 avevano sfiduciato Mussolini apponendo la propria firma sull'Ordine del giorno Grandi. I membri del Gran Consiglio che vennero arrestati furono processati e cinque di essi condannati alla pena capitale, gli altri tredici condannati a morte in contumacia.
In serata tutti e cinque i condannati a morte compilarono la loro domanda di grazia, compreso Ciano che la firmò dopo numerose sollecitazioni; per decisione di Pavolini le richieste di grazia non furono mai inoltrate a Mussolini. Esse, dopo un procedimento assai contorto, furono formalmente respinte dal console Italo Vianini.
Fu in questo contesto che Pavolini si guadagnò la definizione di "irriducibile" ed a tal proposito lo si ricorda come "il Superfascista". Secondo Mack Smith, la sua prima fama sarebbe stata quella di un uomo "intelligente e sensibile", ma oramai "il fascismo ne aveva fatto un fanatico privo di scrupoli, un uomo spietato e vendicativo che credeva nella politica del terrore". A Ferdinando Mezzasoma, suo "successore" al Ministero della Cultura Popolare, ordinò che i giornali evitassero appelli "per la pacificazione delle menti e la concordia degli spiriti, per la fraternizzazione degli italiani".
Carolina Ciano, madre dell'ucciso, attribuì in un suo scritto la responsabilità della sua fucilazione a Pavolini insieme a Buffarini, Cosmin e donna Rachele, la moglie di Mussolini.

I franchi tiratori di Firenze

Nel giugno 1944, alla caduta di Roma, Pavolini era a Firenze per organizzare al meglio la resistenza della città e permettere quindi agli alleati tedeschi di organizzare le difese sulla Linea Gotica. In una relazione a Mussolini scrisse:

« Particolare cura dedico all'organizzazione dei gruppi di attivisti da lasciare sul posto o eventualmente da irradiare al Sud. Iniziative ben consistenti sono state prese per Terni, Arezzo, Grosseto, Firenze, Livorno, Pisa: radio clandestine, tipografie, bande, movimenti politici. »

(Alessandro Pavolini nella sua relazioni a Mussolini del 19 giugno 1944)

Nell'agosto 1944 prese parte ai primi combattimenti nella sua Firenze a capo dei fascisti fiorentini, riuscendo a resistere in armi per molti giorni dopo l'arrivo degli Alleati, e ritardando la conquista della città organizzando i franchi tiratori (dei quali fecero parte anche donne e ragazzini). Il 18 agosto il "Corriere Alleato "diede notizia dei primi scontri con i franchi tiratori fascisti a Firenze:

« Le camicie nere repubblicane di Mussolini sono state viste, per la prima volta, in combattimento contro i patrioti nei sobborghi settentrionali di Firenze. »

(Il "Corriere Alleato" del 18 agosto 1944)

L'attività dei Franchi tiratori fascisti terminò soltanto il 1º settembre quando la città fu definitivamente conquistata dagli Alleati appoggiati da nuclei di partigiani.

La creazione delle Brigate Nere

La costituzione delle Brigate Nere fu un disegno lungamente inseguito da Pavolini, sin da quando a Roma, nei primi giorni del suo lavoro di ricostituzione del partito fascista, aveva inteso farne un'organizzazione intransigente e totalitaria, esclusivista e combattente su ispirazione delle vecchie squadre d'azione dello squadrismo. Il progetto vide l'opposizione di Rodolfo Graziani e Renato Ricci contrari alla creazione di un esercito politicizzato.
Scrisse a proposito Pavolini:

« Gli italiani non temono il combattimento e quelli che sono fedeli al Duce lo sono per davvero. Non amano però essere rinchiusi in caserma, inquadrati, irreggimentati... Il movimento partigiano ha successo perché il combattente nelle file partigiane ha l'impressione di essere un uomo libero. Egli è fiero del suo operato perché agisce indipendentemente e sviluppa l'azione secondo la sua personalità e individualità. Bisogna quindi creare un movimento antipartigiano sulle stesse basi e con le stesse caratteristiche. »

(Alessandro Pavolini)

L'idea fu apprezzata dai tedeschi (in particolare da Wolff e da Rahn), quando ormai gli Alleati premevano verso la linea Gotica ancora in costruzione, facendo loro balenare la possibilità di creare, usando le strutture e gli uomini del partito, un nuovo corpo armato più efficiente, agile e deciso della GNR, in grado davvero di "distruggere la piaga del ribellismo" e di assicurare la tranquillità delle retrovie germaniche.
Il 22 giugno 1944 Pavolini consegnò le armi agli iscritti del PFR di Lucca costituendo di fatto quella che sarà la prima Brigata nera, denominata "Mussolini" il cui comando fu assegnato ad Idreno Utimpergher. La nascita ufficiale delle Brigate Nere fu annunciata dallo stesso Pavolini alla radio il 25 luglio 1944, nel primo anniversario del "tradimento" del Gran Consiglio. Discorso che concluse con queste significative parole:

« [...]Forze della riscossa saranno le Brigate Nere in cui fiammeggierà, in una seconda primavera, il vecchio fuoco dello squadrismo. A noi, camerati! Nonostante ogni fallace apparenza l'avvenire ci appartiene, perché noi apparteniamo ad una Europa eroica, le cui luci, necessarie al mondo, non possono spegnersi! »

(Alessandro Pavolini nel discorso radiofonico del 25 luglio 1944)

Il 30 giugno 1944 completò la costituzione delle Brigate Nere. Esse furono costituite nel numero di 41 brigate, una per ogni provincia della RSI, ed intitolate ciascuna ad un caduto del fascismo. Ad esse si affiancavano sette brigate autonome e otto brigate mobili per un totale di 110.000 unità.
Nel contesto dello stesso annuncio, Pavolini rese noto che i brigatisti già "saldamente inquadrati" erano ventimila, una cifra destinata a crescere in numero, ma non in efficienza: questo sia per la mancanza di materiali sia in quanto i quadri del partito, spesso privi di esperienza ed istruzione militare, vennero trasformati istantaneamente in comandanti di formazioni militari.
Le Brigate Nere dovevano essere impiegate, secondo le parole pronunciate in giugno da Mussolini e riprese da Pavolini, per dare corpo alla "marcia della Repubblica Sociale contro la Vandea", riferendosi al Piemonte, dove i partigiani erano particolarmente attivi sin dal settembre 1943 e, guidati da comandanti esperti (spesso ufficiali del Regio Esercito che avevano deciso di dare vita alla resistenza dopo l'armistizio), erano riusciti a strappare larghe porzioni di territorio al controllo nazifascista anche per estesi periodi di tempo.
Fu durante queste prime operazioni svolte dalle Brigate Nere in Piemonte che Pavolini il 12 agosto 1944 nella valle dell'Orco fu ferito dalla deflagrazione di una bomba nel corso di un attacco partigiano della 77ª brigata "Garibaldi". Pavolini fu ricoverato all'ospedale di Cuorgné, ove rimase un mese prima di poter far ritorno, ancora aiutandosi con un bastone, a Maderno dove risiedeva. A seguito del ferimento, su proposta di Wolff, Pavolini fu insignito da Hitler della Croce di Ferro per i suoi "meriti nella guerra antiribellistica".
Più tardi partecipò sempre in prima persona, alla guida delle Brigate nere, alle operazioni di riconquista della Repubblica partigiana dell'Ossola che avvennero tra il 10 e il 23 ottobre. Il 16 dicembre Pavolini accompagnò Mussolini nell'auto scoperta che fece il giro di Milano prima del discorso del Teatro Lirico, di piazza San Sepolcro e del Castello Sforzesco, l'unica uscita pubblica del duce dopo il 25 luglio del 1943.

La missione in Venezia Giulia

A fine gennaio 1945 Pavolini fu inviato da Mussolini in Venezia Giulia per rimarcarne l'italianità. Nei territori orientali i tedeschi, fin dal 1943 avevano costituito la Adriatisches Kustenland, sottraendo di fatto quei territori al regno d'Italia e non restituendoli poi nemmeno all'autorità della Repubblica Sociale Italiana. Pavolini si recò a Udine, Gorizia, Fiume, Trieste intrattenendosi con i rappresentanti del Partito Fascista Repubblicano, di cui raccolse le lamentele circa l'ingombrante alleato tedesco che favoriva l'elemento croato a discapito degli italiani.
Pavolini pronunciò, al Teatro Verdi di Trieste, un discorso improntato sulla difesa dell'italianità della città che strappò l'applauso dei convenuti:

« Talvolta in questa vostra trincea avanzata che è Trieste, all'estremo di lunghe strade isolate dal bombardamento nemico, per le comunicazioni scarse e per altri motivi che conoscete, vi è accaduto di sentirvi lontani. Ebbene, io posso dirvi una cosa sola: nessuno più di voi triestini e gente della Venezia Giulia è vicino ogni ora al cuore di Mussolini. »
(Alessandro Pavolini al teatro Verdi di Trieste)


Il Ridotto alpino repubblicano

Mussolini e Pavolini ripresi a Milano in occasione dell'ultima uscita pubblica del primo al Teatro Lirico, il 16 dicembre 1944; il secondo ripeteva spesso che loro due erano gli italiani più odiati in assoluto.

« Un'idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento ma pratica quotidiana. »

(Alessandro Pavolini)

Fu sostenitore, o forse proprio ideatore, della proposta del Ridotto alpino repubblicano (RAR), che prevedeva di ritirare in Valtellina tutte le truppe ancora teoricamente disponibili (in particolare: le sue Brigate nere) onde poter opporre un'estrema resistenza contro gli Alleati. Con certezza ne fu comunque il principale organizzatore, tant'è che alcuni mesi prima della fine fu costituita su iniziativa di Mussolini una commissione di coordinamento dei lavori del RAR e Pavolini ne fu nominato presidente: ne aveva scelto come comandante (generale Onorio Onori), vi aveva destinato ed accasermato le truppe (squadristi toscani con rispettive famiglie) e programmava un concentramento di circa 50.000 uomini. Dette queste notizie a Mussolini durante la riunione del 14 aprile 1945 a Villa Feltrinelli a Gargnano, alla presenza dei massimi esponenti della RSI: Graziani, Filippo Anfuso (nuovo viceministro degli esteri), il generale delle Allgemeine SS Wolff, il ministro dell'interno Zerbino, il colonnello Dollmann e diversi altri generali sia italiani che tedeschi. Consegnò inoltre programmi di trinceramento come l'escavazione di caverne (bunker) e la traslazione nel ridotto delle ceneri di Dante.
Fra le altre idee di Pavolini vi era la costruzione di una stazione radio di propaganda e di una tipografia per la stampa di un giornale che avrebbe dovuto essere distribuito lanciandone le copie da un aereo in volo. Essendo tutti i convenuti, Pavolini compreso, già convinti dell'imminente fine, concluse gridando che "in Valtellina si consumeranno le Termopili del fascismo". La proposta, tuttavia, non ebbe concreto seguito.
Per i fascisti che avevano seguito il loro Duce, Pavolini dispose però premi in denaro e la possibilità di scegliere tra il rifugio in Germania o la "mimetizzazione", fruendo di documenti falsi e di tessere annonarie; con Mezzasoma, ministro del Minculpop, preordinò la distribuzione di fondi segreti fra quei fascisti che avessero voluto proseguire in clandestinità la lotta nell'Italia del dopoguerra e la disseminazione di "talpe" in istituzioni ed organismi cruciali. Con una nota riservata, suggerì a Mussolini di organizzare in Svizzera una centrale fascista di una trentina di elementi fidati, costituendovi un fondo monetario speciale in valuta straniera per le occorrenze future.

Le ultime giornate di Salò

Dopo il fallimento delle trattative di resa con il CLN, Mussolini, dopo una riunione al palazzo della Prefettura a Milano, decise di accettare la proposta di Pavolini ed impartì l'ordine di dirigersi verso il Ridotto alpino repubblicano, ordine mascherato nella formula "Precampo a Como", ma tuttavia ben chiaro. Pavolini ordinò alle Brigate Nere della Liguria e del Piemonte di muovere verso la Valtellina e stimò in circa 25.000 le unità in movimento. Prima di partire ebbe un violento scontro con Graziani, che lo accusò di mentire e di illudere il Duce, e con Junio Valerio Borghese, il quale gli disse che la Xª Flottiglia MAS non sarebbe andata in Valtellina[74] e che si sarebbe arresa "a modo nostro".
Alla partenza di Mussolini, Pavolini spintonò Carlo Borsani, cieco di guerra pluridecorato e Medaglia d'oro al valor militare, che supplicava il Duce di trattenersi a Milano dove stava trattando la resa con i partigiani.
Mussolini partì la sera del 25 aprile; il giorno dopo Pavolini insieme a Idreno Utimpergher, Comandante della Brigata Nera di Lucca, si mise alla testa di una colonna di 178 veicoli, che contavano 4.636 uomini e 346 ausiliarie. Una volta giunto a Como non vi trovò Mussolini, il quale aveva proseguito sino a Menaggio. Il 27 aprile da Menaggio proseguì verso Dongo, in direzione dell'Alto Adige.
Pavolini si unì quindi all'autocolonna di Mussolini, che a propria volta si unì ad un'autocolonna della FlaK (contraerea) tedesca in ritirata verso la Germania. Pavolini portò sul suo autoblindo in testa al corteo sia quello che diverrà noto come l'oro di Dongo che gli archivi documentari, forse contenenti anche il presunto carteggio Churchill-Mussolini. Dopo circa un'ora di viaggio Pavolini fermò la colonna, chiedendo a Mussolini (della cui sicurezza si autoproclamò responsabile) di scendere dalla sua auto per viaggiare sul suo autoblindo.
Poco più avanti incapparono nel posto di blocco improvvisato dalla 52ª Brigata Garibaldi, agli ordini del conte Pier Luigi Bellini delle Stelle. I partigiani, consultato il loro comando di zona, accettarono qualche ora dopo di far passare i tedeschi, mentre a Mussolini furono fatti indossare un pastrano ed un elmetto da sottufficiale tedesco, nel tentativo di farlo in tal modo passare inosservato e consentirgli di superare il blocco partigiano. Pavolini lo scongiurò drammaticamente di non partire, di non abbandonare i suoi fedeli, ma Mussolini lo spintonò, chiedendogli conto delle divisioni di Brigate Nere che gli aveva millantato ("Voi e le vostre fantomatiche Brigate Nere, dove sono finiti tutti gli uomini che mi avevate promesso?"). Poi salì sull'autocarro tedesco lasciandosi dietro Pavolini. Questi, incitato da un giovane legionario della Ettore Muti, studiò la possibilità di attaccare i partigiani, ma Birzer, che della vita di Mussolini rispondeva direttamente a Hitler (ignorando che questi era nel frattempo circondato dai sovietici a Berlino e sul punto di suicidarsi), riuscì a farlo desistere.
Raggiunto un accordo col conte Bellini, gli autocarri tedeschi partirono e poterono proseguire con Mussolini. Gli italiani, dopo la partenza dei tedeschi, avrebbero dovuto invece tornare indietro: l'autocarro di Pavolini partì bruscamente e, per superare una cunetta, fece una manovra scomposta con una repentina accelerata, equivocata come un tentativo di forzare il blocco. Ne nacque una sparatoria. Mentre Barracu proponeva di arrendersi, Pavolini gridava "Dobbiamo morire da fascisti, non da vigliacchi": preso il mitra si lanciò quindi verso il lago, correndo e sparando. Inseguito dai partigiani e ferito in modo piuttosto grave da schegge di proiettile ai glutei. A seguito di un'ampia battuta di ricerca fu catturato a notte, indebolito da una ferita dai pallini da caccia ricevuti nella ferita, fu poi portato a Dongo, nella Sala d'Oro del palazzo comunale, dove poi fu condotto brevemente anche Mussolini, anch'egli nel frattempo riconosciuto e catturato.
Insieme a Paolo Porta e Paolo Zerbino Pavolini fu processato per collaborazionismo con il nemico, passibile per il CLN di fucilazione immediata secondo la sua ordinanza del 12 aprile precedente. Furono fucilati anche gli altri 12 arrestati che erano con loro. Pavolini ebbe per ultimo vanto quello di guidare la fila indiana dei condannati che dall'edificio del comune si avviò verso il lago, nei pressi del quale (dopo diversi incidenti procedurali) furono schierati di schiena per l'esecuzione. Il cadavere di Pavolini fu esposto il giorno dopo a Milano, a Piazzale Loreto, appeso con quello di Mussolini.

fonte: Wikipedia

sabato

Claretta Petacci




Clara Petacci detta Claretta; vero nome Clarice, è nota per essere stata amante di Benito Mussolini, da lei idolatrato fin dall'infanzia. Era sorella dell'attrice Miria di San Servolo (vero nome Maria Petacci).

Figlia di Giuseppina Persichetti (1888-1962) e del medico Francesco Saverio Petacci (1883-1970), direttore per alcuni anni di una clinica a Roma e introdotto negli ambienti vaticani in qualità di medico dei Sacri Palazzi apostolici. Per un periodo di vari anni ebbe anche una sua clinica personale, "La Clinica del Sole". Clara studiò con rendimenti alterni musica e fu allieva del violinista Corrado Archibugi, amico dei suoi genitori.
Nel 1932, in seguito a un incontro fortuito avvenuto durante una gita in auto a Castel Fusano (Mussolini era da solo alla guida della sua auto, la Petacci era con Federici, futuro marito, e l'autista) Clara riuscì a conoscere Mussolini di persona; già da tempo ella inviava al Duce numerose lettere, in realtà intercettate dalla segreteria, ma dopo quell'incontro si succedettero numerose "udienze" a Palazzo Venezia, che dopo una serie di colloqui confidenziali acquisirono il carattere di una vera e propria relazione.
Petacci, ormai sposata con il tenente dell'Aeronautica Militare Italiana Riccardo Federici (1904-1972), aveva in realtà già preso le distanze da quest'ultimo (dal quale si sarebbe separata ufficialmente nel 1936). All'epoca del suo incontro con Mussolini, Clara aveva vent'anni, trenta di meno del suo amante.
Mussolini era sposato dal 1915 con rito civile e dal 1925 con rito religioso con Rachele Guidi (detta "donna Rachele"), che aveva conosciuto già durante l'infanzia e alla quale era legato sin da prima del 1910. Gli erano inoltre state attribuite numerose amanti, tra le quali Ida Dalser (che gli diede il figlio Benito Albino Mussolini), e aveva da poco concluso una lunga ed importante relazione con Margherita Sarfatti.
Mussolini prese a frequentare la Petacci con regolarità, ricevendone le visite puntuali anche nel suo studio di Capo del governo a Palazzo Venezia. Clara rimase per molti anni fedele «all'amato "Ben"», come chiamava Mussolini anche nella corrispondenza, suscitando facezie ed amenità tra quanti ne erano informati. Diversi gerarchi del fascismo, d'altra parte, reputavano la relazione tra il duce e la Petacci - per quanto ufficialmente inesistente e tollerata da donna Rachele - molto inappropriata, perché possibile fonte di scandalo e di accuse di corruzione al regime.
Clara era appassionata di pittura. Ebbe il ruolo di compagna segreta di Mussolini, di cui condivise i momenti più bui e il destino finale, pare senza mai avanzare la pretesa che l'amante lasciasse per lei la moglie Rachele.

L'ascesa sociale della famiglia Petacci

La vicinanza di Clara a Mussolini finì per innalzare il rango della sua famiglia, alimentando voci relative a favoritismi e possibili episodi di corruzione, dei quali veniva prevalentemente ritenuto responsabile (anche da ambienti legati alla gerarchia fascista) il fratello Marcello Petacci (Roma 1 maggio 1910 - Dongo 28 aprile 1945).
Verso la fine del 1939 i Petacci si trasferirono dalla residenza medio-borghese di via Lazzaro Spallanzani (confinante con villa Torlonia) nella splendida villa "Camilluccia" (sita sulle pendici di Monte Mario, allora ai margini della città), progettata dagli architetti italiani Vincenzo Monaco e Amedeo Luccichenti, e che rappresentava un notevole esempio del Razionalismo italiano.
La grande casa era divisa in 32 locali distribuiti su due piani sovrastati da una terrazza. Nel sottosuolo, come nella residenza del duce di Villa Torlonia, era ricavato un rifugio antiaereo, mentre nell'ampio parco erano presenti anche una piscina, un campo da tennis, un giardino fiorito, curato da Clara, un orto e un pollaio, curati dalla madre. L'accesso al complesso era sorvegliato da una guardiola per il portiere ed una per la guardia presidenziale assegnata alla proprietà.
Nell'ala destra del piano terreno (probabilmente per ragioni di sicurezza dovute alla necessaria vicinanza con il rifugio) era posizionata l'alcova di Claretta e Benito. Composta da una camera con pareti e soffitto ricoperte da specchi ed arredata con mobili rosa, era servita da una stanza da bagno rivestita in marmo nero e dotata di grande vasca mosaicata, posta a filo del pavimento, che voleva imitare le vasche termali romane.
All'indirizzo della residenza Petacci (via della Camilluccia 355/357) erano inviate numerose lettere che richiedevano i buoni uffici di Clara per petizioni rivolte a Mussolini.
Dopo la caduta del fascismo la villa fu confiscata con l'accusa che fosse stata acquistata da Mussolini con fondi sottratti al bilancio dello Stato. La famiglia riuscì ad opporsi a tale provvedimento di esproprio e successivamente ottenne la restituzione della villa, dimostrando l'accusa come infondata.
Più tardi la villa fu venduta, e finì in stato di abbandono, fino ad essere definitivamente demolita per far posto ad un complesso di edifici che oggi ospitano le ambasciate dell'Iraq presso l'Italia e la Santa Sede.

La fine

Travolta dagli eventi della Seconda Guerra Mondiale, Clara Petacci fu arrestata il 25 luglio 1943, alla caduta del regime fascista, per essere poi liberata l'8 settembre, quando venne annunciata la firma dell'armistizio di Cassibile. Tutta la famiglia abbandonò Roma e si trasferì nel Nord Italia controllato ancora dalle forze tedesche, e dove poi si instaurò la Repubblica di Salò. Clara si trasferì in una villa a Gardone, non lontano dalla residenza di Mussolini e dalla sede del governo repubblicano a Salò.
In questo periodo ebbe un fitto rapporto epistolare con Mussolini e nonostante il parere contrario del Duce conservò tutte le missive: in una di queste, chiese che al processo di Verona Galeazzo Ciano fosse condannato a morte in quanto "traditore, vile, sudicio, interessato e falso", esprimendo quindi una posizione durissima (valevole anche per Edda Mussolini, "sua degna compare") che venne definita dallo storico Emilio Gentile di "rigore nazista".
Trasferitisi a Milano a seguito dell'abbandono della riviera gardesana da parte del duce, poco dopo la metà di aprile del 1945, il 23 aprile i Petacci - salvo Clara e il fratello Marcello, che rimasero nel capoluogo lombardo - si misero in salvo in aereo, giungendo a Barcellona dopo un avventuroso volo durato quattro ore. Il 25 aprile, sia Clara sia Marcello si allontanarono da Milano assieme alla lunga colonna di gerarchi fascisti in fuga verso Como, Marcello tentando di riparare in Svizzera con false credenziali da diplomatico spagnolo. Il 27 aprile 1945, durante l'estremo tentativo di Mussolini di sottrarsi alla cattura, Clara fu bloccata a Dongo da una formazione della 52ª Brigata Garibaldi partigiana, che intercettò la colonna di automezzi tedeschi con i quali il duce viaggiava. Taluni affermano che le sia stata offerta una via di scampo, da lei ricusata decisamente. Avrebbe potuto fuggire in Spagna con i suoi familiari in aereo (Miriam Petacci: "Chi ama è perduto").

Il giorno seguente, 28 aprile, dopo il trasferimento a Bonzanigo di Mezzegra, sul lago di Como, Mussolini e la Petacci furono uccisi, sebbene su Clara non pendesse alcuna condanna. Nella stessa giornata anche il fratello di Clara, Marcello Petacci, fu ucciso a Dongo dai partigiani, insieme ad altre quindici persone che accompagnavano la fuga di Mussolini.
Il giorno successivo, il 29 aprile, a Piazzale Loreto (Milano), i corpi di Benito Mussolini e Claretta Petacci furono esposti (assieme a quelli delle persone fucilate a Dongo il giorno prima e Achille Starace, che venne ucciso in Piazzale Loreto poco prima), appesi per i piedi alla pensilina del distributore di carburanti Esso, dopo essere stati oltraggiati dalla folla. Il luogo venne scelto per vendicare simbolicamente la strage di quindici partigiani e antifascisti, messi a morte per rappresaglia in quello stesso luogo il 10 agosto 1944.
Non appena comprese che c'era l'intenzione di appendere per i piedi anche il cadavere della Petacci alla pensilina, don Pollarolo, cappellano dei partigiani, prese l'iniziativa di chiedere a una donna presente tra la folla, la sarta Rosa Fascì, una spilla da balia per fissare la gonna indossata dal corpo di Clara. Tale soluzione si rivelò però inefficace e così intervennero i pompieri, sopraggiunti con gli idranti a sedare l'ira della folla, a provvedere a mantenere ferma la gonna con una corda.
Dopo essere stata sepolta in un primo tempo al Cimitero Maggiore di Milano, sotto il nome fittizio di Rita Colfosco, nel 1959, con autorizzazione dell'allora Presidente del Consiglio Fernando Tambroni, è stata inumata nella tomba di famiglia al Cimitero Comunale Monumentale Campo Verano di Roma.

Il personaggio

Nel cinema

Mussolini ultimo atto (1974) di Carlo Lizzani, interpretata da Lisa Gastoni
Caesar and Claretta (1975) (TV) di Claude Whatham, interpretata da Helen Mirren
Claretta di Pasquale Squitieri (1984), interpretata da Claudia Cardinale.
Io e il Duce (1985) di Alberto Negrin, interpretata da Barbara De Rossi
Mussolini: The Untold Story (1985) di William A. Graham, interpretata da Virginia Madsen

Nel teatro

Il Picnic di Claretta di René Kalisky (1973), trasmesso da France Culture.
Seguo il mio destino di Bruno Spadaccini (2007 - 2008).
Quel venticinque luglio a Villa Torlonia di Pier Francesco Pingitore (2010)

Nella musica

Scott Walker musicista statunitense all'interno del suo album The Drift del 2006 ha pubblicato la canzone Clara (Benito's Dream) che narra dell'amore fra Claretta Petacci e il duce.

fonte: Wikipedia

mercoledì

Osho Rajneesh



« Se non c'è uno specchio, non vuol dire che non hai un volto. »

(Osho, Con te e senza di te)

Osho, alla nascita chiamato Chandra Mohan Jain (hindi devanagari: चन्द्र मोहन जैन), anche noto come Acharya Rajneesh dagli anni Sessanta in poi e come Bhagwan Shree Rajneesh negli anni Settanta e Ottanta - adottò il nome Osho, che significa probabilmente "oceanico", nel 1989, è stato un filosofo, mistico e maestro spirituale (guru) indiano, che acquisì seguito internazionale. I suoi insegnamenti sincretici enfatizzano l'importanza della meditazione, della consapevolezza, dell'amore, della celebrazione, della creatività e dell'umorismo - qualità che egli riteneva soppresse dall'adesione a sistemi di credenze statici, alla tradizione religiosa, al socialismo. Fu un forte critico delle religioni organizzate e dei sistemi di potere ad esse legati. Egli considerava la maggior parte delle credenze religiose come superstizioni che nascondevano la verità sull'illuminazione. Le sue idee ebbero un notevole impatto sul pensiero New Age occidentale e sulla controcultura ereditata dagli anni sessanta e la loro popolarità è decisamente aumentata dalla sua morte.
Osho era un professore di filosofia e viaggiò per l'India negli anni Sessanta del XX secolo come conferenziere. Le sue posizioni contro il socialismo e la religione istituzionale erano considerate controverse. Sosteneva anche una più aperta attitudine verso la sessualità, una posizione che gli guadagnò il nomignolo di "guru del sesso" presso la stampa indiana e successivamente internazionale. Nel 1970 si stabilì per breve tempo a Mumbai (Bombay). Prese ad iniziare discepoli, noti come neo-sannyasin e assunse il ruolo di maestro spirituale. Nei suoi discorsi rentrerpretava gli scritti di tradizioni religiose, mistici e filosofi di tutto il mondo. Trasferitosi a Pune nel 1974, fondò un'ashram che attrasse un gran numero di occidentali. L'ashram offriva terapie derivate dallo Human Potential Movement ai suoi seguaci occidentali, e apparve sui giornali in India e all'estero, in particolare per i suoi insegnamenti permissivi e provocatori. Verso la fine degli anni Settanta, vi erano contrasti crescenti col governo e con la società indiani.
Nel 1981 Osho si trasferì negli Stati Uniti e i suoi seguaci fondarono una comune, in seguito nota come Rajneeshpuram, nello stato dell'Oregon. Entro un anno la guida della comune entrò in conflitto con i residenti locali, principalmente riguardo all'uso dei terreni, con episodi di ostilità da ambo le parti. L'ampia collezione di Rolls-Royce di Osho, donata da alcuni ricchi seguaci, divenne famosa. La comune di Osho collassò nel 1985, quando Osho in persona rivelò che i dirigenti della comune avevano commesso numerosi gravi crimini, incluso un attacco biologico contro i cittadini di The Dalles. Osho fu arrestato poco dopo e accusato di violazioni della legge sull'immigrazione. Fu estradato dopo una richiesta di patteggiamento. Ventuno Stati gli negarono l'ingresso, e Osho dovette viaggiare a lungo prima di tornare a Pune, dove morì nel 1990. La sua ashram è oggi l'Osho International Meditation Resort.

L'infanzia

Osho nasce a Kuchwada nel Madhya Pradesh, in India Centrale, l'11 dicembre 1931, in una famiglia jainista, anche se verrà influenzato molto anche dall'induismo nella sua formazione. Egli ha raccontato come il periodo dell'infanzia ebbe grande influenza sulla sua crescita, perché in casa dei nonni questi gli diedero la massima libertà e gli dimostrarono grande rispetto. Fu lasciato senza cure particolari né restrizioni o alcun tipo di educazione imposta. Come egli stesso ebbe a dire, i bambini, durante i primi sette anni, vengono influenzati in maniera negativa dall'esser forzati ad imparare e dal negare loro la dignità: "se ad un bambino nei suoi primi anni è permessa la libertà, crescerà forte e abbastanza intelligente da decidere e discutere, e potrà auto-educarsi". Se un bambino riceve rispetto, afferma Osho, è più obbediente verso i genitori; se i genitori ignorano la sua individualità, il bambino a sua volta li ignorerà.

L'«illuminazione» e le prime comunità

Da giovane Osho era ateo e marxista: rinnegherà più tardi la sua posizione politica. Il 21 marzo 1953, all'età di ventun anni, dopo un intenso periodo ebbe l'esperienza dell'"Illuminazione", quella in cui si raggiunge il più alto grado di consapevolezza, dove " la goccia si fonde nell'oceano, nell'attimo stesso in cui l'oceano si riversa nella goccia". È il momento della suprema comprensione, della caduta di tutti i veli che impediscono la chiara visione della realtà. Convinto dell'importanza di ciò che aveva acquisito, da allora volle invitare ogni individuo a condividere la sua esperienza. Cominciò così a viaggiare per l'India, istituendo dibattiti e convegni e attirando migliaia di persone.
Conclusi gli studi, insegnò al Sanskrit College di Raipur e successivamente negli anni sessanta ottenne la cattedra di filosofia alla università di Jabalpur. Nel 1969 un gruppo di discepoli stabilì una fondazione in supporto al suo lavoro, permettendogli di lasciare il lavoro universitario. Iniziò a proporre le sue tecniche di meditazione con l'intento, condiviso da antiche tradizioni, di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé, che per Osho e per la corrente spirituale di cui lui è stato l'iniziatore si può concretizzare in quello che in Oriente viene chiamato il «risveglio» interiore. Il 26 settembre del 1970 iniziò il suo primo discepolo (o sannyasin) durante una meditazione all'aperto, uno dei grandi incontri in cui dava conferenze e guidava meditazioni di gruppo.
Nel 1974 si trasferì a Pune dove fondò il suo ashram, centro di comunità spirituale e dove intensificò i discorsi offrendo degli spunti per cogliere il Silenzio da cui ha origine la consapevolezza. Qui il flusso di visitatori, in particolar modo quelli occidentali, diventò inarrestabile. Alla fine degli anni '70 l'ashram di Pune ospita il Centro di terapia e di crescita interiore più grande del mondo, dove migliaia di persone accorrono per partecipare a gruppi terapeutici e a corsi di meditazione, per ascoltare il discorso giornaliero tenuto al mattino da Osho, ora chiamato Bhagwan, oppure partecipare al darshan (incontro col Maestro) serale.

La comune in Oregon

Nell'estate del 1981 l'esperimento comunitario viene trasferito in America, dove ebbe modo di affermarsi nel mondo occidentale fondando una comune nello stato dell'Oregon (USA) presso il ranch "Big Muddy" ad Antelope. La nuova Comune viene chiamata "Rajneeshpuram ("Essenza di Rajneesh"), è grande ben 65.000 acri, riscuote un grande successo fino ad ingrandirsi alle dimensioni di una piccola cittadina.

Espulsione dagli Stati Uniti

Dopo un inizio travolgente, la Comune entrò in contrasto con le autorità locali, e, nel 1984, alcuni esponenti di spicco del movimento, tra cui la segretaria di Osho, che aveva il comando della comune mentre il guru si era ritirato in meditazione solitaria, organizzarono una serie di attacchi biologici, probabilmente all'insaputa del maestro (secondo i seguaci di Osho), con l'intento di influire sulle elezioni locali. La reazione della popolazione locale costrinse Osho ad allontanarsi dal ranch e a rifugiarsi presso la casa di una discepola. Fu poi arrestato, dopo essersi consegnato alla polizia, ma riconosciuto colpevole solo di violazione di leggi sull'immigrazione, e incarcerato in più prigioni per dodici giorni, fino a che fu condannato a dieci anni di carcere, sospesi con la condizionale, ed espulso dagli Stati Uniti. Osho considerava la faccenda un complotto contro di lui e le sue idee, da parte dei fondamentalisti cristiani.

Il ritorno a Pune

Chiese il visto di ingresso a molti paesi che glielo negarono: solo l'Italia lo concesse dopo lunghe battaglie condotte da seguaci di Osho e da intellettuali come Giorgio Gaber e Federico Fellini ed esponenti politici come Marco Pannella, ma a quel punto il guru era già partito per l'India. Qui il giornalista Enzo Biagi gli fece una lunga e famosa intervista. Ritornò in India e si stabilì nuovamente a Pune. Qui il vecchio ashram divenne la nuova Comune, che ancora oggi, sotto il nuovo nome di Osho International Meditation Resort, riceve persone che vengono da tutto il mondo, fedeli al suo pensiero e alla pratica dei suoi insegnamenti. I libri a lui intitolati, o meglio le trascrizioni dei suoi discorsi, sono centinaia, tradotti e letti in decine di lingue, coerentemente alla persistenza del movimento. Assunse il nome "Osho" in gennaio. Il suo ultimo anno fu rattristato dal suicidio della sua compagna di sempre, che egli riteneva la reincarnazione di un suo amore giovanile. Per il suo mahasamadhi, la partenza fisica dal mondo, lasciò la seguente epigrafe: "OSHO. Never Born, Never Died. Only Visited this Planet Earth between Dec 11 1931 – Jan 19 1990." ovvero "Osho. Mai nato, mai morto, ha solo visitato questo pianeta Terra dall'11 dicembre 1931 al 19 gennaio 1990". Il corpo fu cremato e le ceneri sepolte sotto una lapide con, appunto, questo epitaffio. Alla sua morte, dopo un lungo periodo in cui la sua salute era sempre più malferma e di cui lui stesso aveva parlato come conseguenza di un avvelenamento da tallio subito in carcere in America, la Comune di Pune, in cui ha sede una "Multiversità dell'essere" con programmi e corsi di crescita interiore, restò guidata da un gruppo di 21 persone da lui nominate qualche tempo prima.

L'insegnamento

Il suo insegnamento è stato considerato da alcuni come un insieme di idee proprie delle filosofie orientali (Induismo, Giainismo, Buddismo Zen, Yoga, Tantra, Taoismo) e di alcuni tratti del pensiero occidentale (psicologia junghiana, psicologia umanista, l'antica filosofia greca, in particolare Socrate, e quella moderna, specialmente Nietzsche e il suo Così parlò Zarathustra), del mondo della mistica Sufi e della religione di Zoroastro.

Il sincretismo e i valori proposti

L' originalità dell'opera di Rajneesh in anni di diffuso interesse per la tradizioni spirituali orientali consiste nell'intenzione di adattare i millenari concetti e pratiche delle antiche culture religiose, mistiche e psicologiche, al moderno uomo occidentale. Da questa esigenza nascono gli esercizi di meditazione dinamica introdotti da Osho, elaborati in modo sincretico. Osho afferma che la grazia più grande che possa essere concessa ad un uomo sia l'esperienza dell'illuminazione spirituale. Questa «illuminazione» non può essere descritta a parole, la mente è inadeguata a comprendere una esperienza che va oltre i dati sensibili. Una definizione può essere questa: è la comprensione, non razionale, di ogni cosa di cui è fatto l'universo; tuttavia, poiché la mente si lascia distrarre da una molteplicità di fattori non riesce a cogliere la totalità. In particolare, le distrazioni provengono dalle attività umane del pensiero razionale, così come dai vincoli emozionali che ci legano alle aspettative della società, con le conseguenti paure e inibizioni. Per chiarire agli ascoltatori il suo approccio e per dare degli strumenti sistematici al suo metodo di ricerca, Osho estrasse e espose varie filosofie da diverse fonti. Fu un ricercatore molto attivo e prolifico: in innumerevoli discorsi sia nella lingua hindi che in inglese si occupò di varie tradizioni spirituali e religiose, incluse quelle di Buddha, Krishna, Guru Nanak, Gesù, Socrate, dei maestri Zen, del Chassidismo (ramo dell'ebraismo), dei Sufi.
Volle evitare di costruire un "sistema di pensiero" dal momento che, secondo le sue parole, nessuna filosofia può esprimere completamente la verità. Una definizione possibile (anche se probabilmente può essere considerata riduttiva) del suo pensiero potrebbe essere quella di una "filosofia della non-filosofia". Oratore consumato, utilizzò il suo acume psicologico, la vastissima cultura di cui era dotato (aveva letto oltre diecimila libri), l'acutissima memoria che lo sorreggeva, per veicolare il messaggio insistendo sul fatto che l'unico scopo per il quale continuava a parlare era quello di convincere gli ascoltatori a guardare finalmente dentro se stessi e contemporaneamente a liberarsi delle abitudini e degli schemi mentali che hanno accompagnato loro per l'intera vita. E per ottenere ciò occorre intraprendere un percorso di meditazione.
Fu spesso erroneamente chiamato il "guru del sesso", dopo che alcuni suoi discorsi della fine degli anni sessanta scandalizzarono la parte della società più conservatrice. Questi, che erano il commento di alcuni libri sacri del Tantra, vennero in seguito trascritti e pubblicati sotto il titolo Dal sesso alla supercoscienza. A suo avviso, «per il Tantra tutto è sacro, e nulla è profano», e ogni morale sessualmente repressiva era controproducente dal momento che «non si può trascendere il sesso senza averne avuto un'esperienza completa e consapevole».

La meditazione

Secondo Osho, la meditazione è uno stato che va «oltre la mente», di totale presenza di sé nel quale raggiungere consapevolmente il silenzio interiore. Egli insistette molto sul fatto che la meditazione non può essere spiegata o descritta in modo esaustivo, essendo un'esperienza nella quale la mente ed ogni pensiero logico (quindi anche il linguaggio) vengono trascesi. La pratica della meditazione non comprende quindi necessariamente pensieri spirituali o religiosi, e non è possibile forzarla con un atto di volontà anche se è una disciplina, ma soltanto lasciare che questo stato di «non mente» cioè del guardare la cosa in sé senza dare giudizi di sorta, si manifesti spontaneamente. È questa la mente del bambino che guarda incantato le meraviglie del mondo; è la mente innocente che si affaccia per la prima volta sull'universo e lo contempla.
Osho partì dal presupposto che l'essere in "meditazione" sia una condizione comune e naturale dell'uomo. Ma, aggiunse, è molto difficile per l'uomo moderno raggiungere tale condizione con le tradizionali tecniche (come sedersi in silenzio semplicemente, a gambe incrociate), poiché egli subisce continuamente tante "distrazioni" e stimoli esterni e la mente è talmente piena di pensieri i quali corrono da una parte e dall'altra che ha perso la capacità di stare immobile e di dedicarsi al proprio ascolto interiore. Per questo motivo individuò alcune tecniche di meditazione attiva' il cui fine essenziale era di calmare la mente per creare quello spazio di silenzio e consapevolezza necessario alla meditazione.
Alcuni di questi esercizi preparatori possono essere ritrovati nelle terapie della moderna psicoterapia occidentale (a.e. la psicoterapia della Gestalt), e consistono nell'alterazione del respiro, nel gibberish (l'esprimersi in un linguaggio sconosciuto), nel piangere o ridere liberamente, nel danzare e muovere il corpo fino a raggiungere lo stato di catarsi, ovvero di crollo delle sovrastrutture mentali e liberazione dalle stesse attraverso un'esplosione emozionale. In questo modo si liberano il corpo e la struttura psico-energetica di tutti quei blocchi emozionali che impediscono la libera espressione di sé nella vita quotidiana.
Le tecniche di meditazione principali proposte da Osho sono chiamate Active Meditations (meditazioni attive) e comprendono le meditazioni: "dinamica", "kundalini", "nadabrahma", "nataraj". Esse si basano sui seguenti presupposti: 1. la concezione di piena identità fra corpo e struttura psichica (ogni emozione repressa o trauma interiorizzato ha un corrispettivo nel corpo fisico); 2. i condizionamenti sociali ed emotivi subiti dall'uomo fin dalla sua prima infanzia, se molto radicati nella propria struttura psicofisica, devono essere eliminati, il che richiede un atto di volontà del praticante.
Osho re-introdusse anche alcune tecniche tradizionali di meditazione, riducendole alla loro più essenziale espressione, astraendole dai rituali e dai formalismi propri, e mantenendone le parti maggiormente «terapeutiche». Inoltre sostenne la teoria per la quale lo stato meditativo può essere raggiunto e mantenuto, con una sufficiente pratica, anche attraverso le azioni quotidiane.

Un'illuminazione terrena

Con la pratica continua, senza interruzioni della meditazione, si ottiene, secondo Osho, l'Illuminazione, ovvero uno stato in cui "si è continuamente in uno stato di meditazione".
Osho non predicò mai una fuga dal mondo terreno verso quello spirituale né contrappose la vita profana alla vita religiosa ma invitò a vivere in maniera "naturale" e consapevole che per lui coincideva con quella sacra. Il percorso che conduce all'Illuminazione consiste quindi nel qualificare, con la massima presenza di sé, ogni atto della vita quotidiana, dal lavoro alla vita di coppia, dal sesso alle relazioni sociali. Non a caso, figura ricorrente nei discorsi di Osho è quella di Zorba il Buddha, che unisce in sé la vita vissuta pienamente sia nella dimensione materiale e quotidiana (simboleggiata da Zorba il Greco, personaggio dell'omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis), sia in quella spirituale e meditativa, simboleggiata dalla figura di Buddha. Questa concezione di spiritualità, che è consapevolezza immersa nel quotidiano, è quindi in aperta rottura con la tradizionale visione delle più importanti religioni, per le quali i due mondi sono separati: quello dello spirito e quello della materia.

Opere

Gli insegnamenti di Osho sono stati raccolti in circa seicento libri, molti dei quali tradotti in italiano. Bibliografia essenziale dei libri tradotti in lingua italiana ordinati in base ai temi trattati.

Biografie

Dimensioni oltre il conosciuto, Roma, Edizioni Mediterranee, 1982.
Bagliori di un’infanzia dorata, Roma, Edizioni Mediterranee, 1988.

Chassidismo

L'arte di morire, Firenz, Giuntina, 1992.

Cristianesimo

Lasciate che i morti seppelliscano i propri morti. Commenti ai Vangeli. India, 21-30 ottobre 1975, Roma, Libreria Camelot editrice, 1995; Roma, Il Minotauro, 2006.

Insegnamenti vari

La dottrina suprema. 17 discorsi sulla Kena-Upanishad, tenuti il mattino e la sera, Milano, Biblioteca universale Rizzoli, 1983.
Con te e senza di te. Una nuova visione delle relazioni umane, Milano, Mondadori, 2005.

Libri di e con sannyasin

Le lacrime della rosa mistica di Swami Rajneesh - a cura di Swami Gyan Visarjana (2008)
I miei giorni di luce con Osho. Il nuovo Sutra del Diamante di Ma Prem Shunyo, Peschiera del Garda, Edizioni del Cigno, 1996.

Meditazione

Il Libro Arancione. Le tecniche di meditazione di Osho, Roma, Edizioni Mediterranee, 1983.
Mistici occidentali 2010
Zarathustra un Dio che danza. 23 discorsi sul Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche, Genova, ECIG, 1989.
Zarathustra il Profeta che ride. 23 discorsi sul Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche. Vol. 2, Genova, ECIG, 1991.

Sufi

Le onde e l'oceano (2004)

Tantra

Il libro dei segreti. Discorsi su Vijnana Bhairava Tantra, Milano, Bompiani, 1978.
I segreti della trasformazione, Milano, Tascabili Bompiani, 2000.
I segreti del tantra, Milano, Tascabili Bompiani, 2003.
I segreti della gioia, Milano, Tascabili Bompiani, 2005.
I segreti del risveglio, Milano, Tascabili Bompiani, 2007.
Liberi di essere. Il libro della comprensione, Milano, Mondadori, 2007.

Tao

I libri del fiore d'oro. Discorsi su il segreto del fiore d'oro, Milano, Bompiani, 2007.

Buddhismo

L’antico canto dei pini. Lo Zen passo per passo, Torino, Libreria editrice Psiche, 1991.
Il sutra del diamante. Discorsi sul sutra Vajrachchedika Prajnaparamita di Gautama il Buddha, Milano, Edizioni del cigno, 1995.

Filmografia

"Osho Bhagwan Shree Rajneesh" - intervista filmata di Silvano Agosti

fonte: Wikipedia

martedì

Milena Sutter





Milena Sutter, appena 13 anni, figlia di Arturo - industriale svizzero della cera per pavimenti e del lucido da scarpe - sparisce alle cinque del pomeriggio del 6 maggio 1971. Un altro minore scomparso destinato ad un’orribile fine, proprio come era successo due anni prima ad Ermanno Lavorini.
Milena esce dall’esclusiva scuola elvetica che frequenta a Genova e scompare nel nulla. La prima, terribile ipotesi è quella del rapimento. Solo un mese prima, proprio a Genova, c’era stato uno dei primi sequestri di persona a scopo di estorsione mai avvenuto al di fuori della Sardegna: Sergio Gadolla, figlio di un ricco imprenditore genovese, per cinque giorni era rimasto nelle mani di una banda di rapitori politici, militanti del gruppo XXII Ottobre, una delle prime formazioni armate del terrorismo italiano. Riscatto pagato: circa 200 milioni delle vecchie lire, una cifra ingente per l’epoca, servita per autofinanziare la banda.
Sulle prime la scomparsa di Milena sembra dover essere addebitata proprio ad un sequestro di persona. Il giorno dopo la sua sparizione, nella lussuosa villa dei Sutter, arriva una telefonata: un voce maschile chiede un riscatto di 50 milioni. Poi il silenzio, fino a quando – due settimane dopo - il corpo di una giovanissima donna, appesantito da un cintura da subacqueo, riemerge 500 metri al largo della spiaggia di Priaruggia, sempre a Genova. A trovarlo sono due pescatori. Non c’è alcun dubbio: Milena Sutter è rimasta viva appena mezz’ora, forse un’ora. E’ stata strangolata prima di essere gettata in mare. I pesi che avrebbero dovuto tenere il suo corpicino sul fondo non hanno funzionato.
Chi ha ucciso una bambina di 13 anni?
Le indagini vanno a colpo sicuro. Il 20 maggio, giorno del ritrovamento del corpo senza vita di Milena, le manette scattano ai polsi di Lorenzo Bozano, 25 anni, figlio della buona borghesia genovese (la sua famiglia è imparentata con gli armatori Costa), ma ripudiato da suo padre fin dall’età di 10 anni: uno sbandato, insomma, che ha trascorso, giovanissimo, un periodo in riformatorio, è passato da un collegio all’altro, vive di espedienti e trascorre il suo tempo bighellonando al volante di una Giulietta sprint Alfa Romeo rossa. Capelli lunghi, baffi chiari, Bozano, fin dai primissimi giorni successivi alla scomparsa di Milena, è nel mirino della questura genovese: sono molti coloro che hanno descritto una persona a lui somigliante - a bordo di una spider rossa - notata a più riprese (e anche quel 6 maggio) davanti alla scuola frequentata da Milena Sutter. I giornali lo chiamano "il biondino della spider rossa", anche se Bozano è piuttosto castano e non è affatto esile come il nomignolo farebbe intendere. A suo carico una mole di indizi (al processo se ne conteranno 23), ma neppure una prova.
Lorenzo Bozano - che ancora oggi professa la sua innocenza - verrà assolto in primo grado due anni dopo l’omicidio di Milena per insufficienza di prove. Nel 1975 la corte d’Appello prima e la Cassazione poi (1976) sanciranno la sua condanna all’ergastolo. Fuggito prima della sentenza di secondo grado, Bozano sarà arrestato nel 1979. Nel 1991 - dopo aver scontato, complessivamente, 14 anni - Bozano otterrà l’affidamento al lavoro esterno al carcere, ma ne combinerà molte altre, compresi due approcci "pesanti" con altrettante minorenni che gli costeranno la sospensione dell’ottenuta semilibertà.



AL PROCESSO SOLO INDIZI
ma la pipì di Milena lo incastrerà

IL "BIONDINO" NON DEMORDE
la passione per le ragazzine lo ha riportato in galera

fonte: www.misteriditalia.it

Elizabeth Short





Elizabeth Ann Short, nota come La Dalia Nera (Black Dahlia), è la vittima di un noto caso irrisolto di omicidio negli Stati Uniti.

Elizabeth Short nacque a Hyde Park (Massachusetts), ma si trasferì in tenera età a Medford (Massachusetts) assieme alla madre Phoebe Mae e alle quattro sorelle, dopo che suo padre Cleo aveva abbandonato la famiglia (ottobre 1930) per trasferirsi a Vallejo (California).
Sofferente di asma, Elizabeth (per gli amici Betty, anche se lei preferiva essere chiamata Beth) passava l'estate con la famiglia a Medford e l'inverno in Florida per curarsi. Ma presto abbandonò gli studi per andare a lavorare come cameriera. All'età di 19 anni, decise di lasciare la madre e di andare a vivere con il padre in California, con il quale andò a Los Angeles. La loro coabitazione, però, durò poco: dopo un litigio, Elizabeth lasciò la casa, trovando un lavoro a Camp Cooke (sempre in California) in un ufficio postale.
Andò poi a vivere a Santa Barbara, dove il 23 settembre 1943 venne arrestata per ebbrezza (per la legge californiana era anche minorenne) e riaccompagnata dalle autorità a Medford dalla madre.
Dopo aver lavorato per un periodo alla mensa dell'Università di Harvard, si trasferì in Florida. Qui, incontrò il maggiore dell'Aeronautica statunitense Matthew M. Gordon Jr., all'epoca in procinto di essere trasferito al fronte, sul teatro di operazioni del Sud Est Asiatico.
Gordon - che otterrà molti e prestigiosi riconoscimenti durante la guerra - successivamente costretto in un ospedale militare in India, scrisse ad Elizabeth chiedendole di sposarlo. La giovane accettò ma non riuscì a convolare a nozze, perché il maggiore Gordon morì il 10 agosto 1945 in seguito ad un incidente aereo.
Betty lasciò così la Florida e tornò in California nel luglio 1946 per incontrare nuovamente una sua vecchia fiamma, il luogotenente Gordon Fickling, di stanza a Long Beach. Fu proprio durante la sua permanenza a Long Beach che venne soprannominata Dalia Nera, nomignolo che probabilmente univa la passione per il film La dalia azzurra alla sua abitudine a vestire di nero.
Nell'agosto 1946, Elizabeth arrivò ad Hollywood con la speranza di poter entrare nel mondo dello spettacolo, ma riuscì solo ad avere ruoli in film pornografici, all'epoca illegali anche negli USA. L'ultima volta che fu vista viva fu la sera del 9 gennaio 1947, nel salone del Biltmore Hotel di Los Angeles. Probabilmente, era in compagnia di un uomo.
Il 15 gennaio, venne trovato da Betty Bersinger il suo corpo nudo squarciato in due parti all'altezza della vita, mutilato e con vistosi segni di tortura, a Leimert Park, un quartiere meridionale di Los Angeles; aveva i capelli tinti di rosso e le era stato lavato via accuratamente tutto il sangue dal corpo. Aveva 22 anni.
Il 25 gennaio venne sepolta nel Mountain View Cemetery ad Oakland, California. Non venne interrata a Medford, la città da cui proveniva, per rispettare l'amore che aveva sempre dimostrato per la California.
Il suo delitto resta tuttora irrisolto. Molte sono state le ipotesi e le speculazioni fatte, anche sul conto della vittima. Nonostante corresse voce che fosse una ragazza-squillo (possibilità avallata dal suo atteggiamento all'apparenza ambiguo), ulteriori indagini hanno fatto decadere le voci in merito.

Il delitto

Le indagini

Le indagini sul "delitto della Dalia Nera" della Polizia di Los Angeles sono state fra le più vaste nella storia del Dipartimento ed hanno coinvolto centinaia di agenti ed ispettori, perfino di altri dipartimenti. I sospettati sono stati centinaia e migliaia le persone interrogate. Fortissima è stata l'attenzione dell'opinione pubblica sul caso, la cui complessità è stata ampliata dalla curiosità dei giornali, dovuta alla natura del delitto. Secondo alcuni le indagini non vennero svolte correttamente, dato che (ufficialmente) non furono ritrovate impronte di macchine o di scarpe. La polizia non raccolse neanche le fibre nel campo. Se lo avesse fatto avrebbe potuto trovare il numero di scarpa dell'assassino o, se fossero state trovate impronte di pneumatici, capire quali erano e cercare riscontri con l'automobile di ogni sospettato. Dell'omicidio sono state accusate (o si sono auto-accusate) almeno 60 persone, in larga parte uomini, anche se ci furono alcune donne. Dai documenti ufficiali degli investigatori della Polizia di Los Angeles risultano però 22 sospetti "principali".

I sospettati principali

Robert M. Manley

Robert M. Manley, detto "Red", è stata l'ultima persona ad aver visto Elizabeth in vita. È stato il primo sospettato nei giorni immediatamente successivi al delitto. Dopo essere stato sottoposto a vari test e dopo aver verificato il suo alibi, Manley è stato successivamente rilasciato.

Walter Alonzo Bayley

Walter Bayley, chirurgo di Los Angeles, ha vissuto in una delle case vicine a quella in cui è stata ritrovata Elizabeth Short fino all'ottobre 1946, quando si separa dalla moglie. La figlia di Bayley era amica della sorella di Elizabeth, Virginia Short, di cui fu anche testimone di nozze. Bayley morì nel gennaio 1948. La sua autopsia ha rivelato che soffriva di una malattia cerebrale degenerativa. All'epoca del delitto, Bayley aveva 67 anni e non aveva alcun precedente penale.
Dopo la sua morte, la vedova di Bayley dichiarò che l'amante del marito era a conoscenza di un «terribile segreto» che lo riguardava, accusando l'amante stessa di essere «la principale beneficiaria della sua morte». Bayley non è mai stato ufficialmente iscritto nel registro degli indagati - al contrario di molti suoi colleghi e di alcuni loro assistenti. In una testimonianza segreta, il detective Harry Hansen (fra i primi ad occuparsi del caso) ipotizza (1949) che l'assassino della Short fosse «un chirurgo molto esperto».
Larry Harnisch, redattore del Los Angeles Times, alla fine di una propria indagine giornalistica svolta nel 1996, arrivò alla conclusione che Bayley avrebbe potuto uccidere Elizabeth Short. Molti critici dell'ipotesi avanzata da Harnisch si interrogano sulla reale capacità di intendere e di volere di Bayley, data la sua malattia. Ma la principale teoria degli investigatori (secondo cui il corpo avrebbe dovuto essere smembrato per poter essere poi trasportato altrove, ipotesi che giustifica il profondo taglio all'altezza della vita) risponde parzialmente alla critica. Harnisch sostiene che sia stata proprio la sua malattia neurodegenerativa a contribuire all'accanimento sul corpo della vittima.
Riguardo al «terribile segreto» conosciuto dall'amante di Bayley, alcuni hanno sostenuto che si trattasse di alcuni aborti clandestini operati dallo stesso chirurgo. Nessuna prova concreta però è mai stata portata a supporto di questa tesi.

Joseph A. Dumais

Joseph A. Dumais, soldato di 29 anni di stanza in New Jersey, fu uno dei primi ad auto-accusarsi del delitto poche settimane dopo che questo è avvenuto. Tutta la stampa di Los Angeles sostenne entusiasticamente l'ipotesi, fin quando si scoprì che Dumais era alla sua base di appartenenza in New Jersey al momento dell'omicidio. Gli investigatori, a differenza della stampa, lasciano cadere immediatamente l'ipotesi. Durante gli anni cinquanta, Dumais venne arrestato più volte per reati minori ed ogni volta continuò ad auto-accusarsi del delitto Short.

Woody Guthrie

Woody Guthrie, noto cantante folk, venne iscritto nel registro degli indagati in seguito ad un'ipotesi di collegamento fra il delitto Short e una denuncia per molestie, fatta da una donna californiana di cui Guthrie era innamorato e che dallo stesso aveva ricevuto lettere minatorie e contenenti pesanti allusioni sessuali. L'ipotesi decade in seguito per mancanza di prove, ma Guthrie venne comunque processato per molestie.

George Hodel

George Hodel, medico specializzato in salute pubblica, fu posto per la prima volta sotto osservazione dalla polizia di Los Angeles nell'ottobre 1949, quando sua figlia quindicenne Tamara lo accusò di molestie. Il caso suscitò qualche sospetto di collegamento con il caso Short, tanto che le autorità decisero di porre il dottor Hodel sotto sorveglianza dal 18 febbraio al 27 marzo 1950 per accertare la sua eventuale implicazione nel delitto.
Nel rapporto finale dell'accusa al Grand Jury di Los Angeles, consegnato allo stesso il 20 febbraio 1951, si legge:
« Il dottor George Hodel [...] al momento dell'omicidio aveva una clinica sulla East 1st Street, vicino Alameda. Lillian Lenorak (una delle sue pazienti con problemi mentali, successivamente trasferita in un altro ospedale, ndr), che viveva con il dottor Hodel, ha affermato di aver trascorso con lui del tempo nei paraggi dell'Hotel Biltmore (il luogo dove Elizabeth Short è stata trovata morta, ndr) e di aver identificato la Short come una delle fidanzate del dottore.
Tamara Hodel, la figlia di quindici anni, ha dichiarato che sua madre Dorothy le ha confidato che, la notte dell'omicidio, suo padre è stato fuori tutta la notte per un party e che le ha detto: "Non saranno mai capaci di provare che l'ho uccisa io". Due microfoni sono stati piazzati nella casa del sospetto.
L'informatrice Lillian Lenorak è stata trasferita all'Istituto Statale per cure mentali di Camarillo. Joe Barrett, che vive nello stesso residence del dottor Hodel, ha cooperato come informatore. È stata sequestrata dagli effetti personali del dottor Hodel una foto dell'accusato, dove era ritratto nudo assieme ad una modella di colore, anch'essa nuda e successivamente identificata come Mattie Comfort [...]. La Confort ha affermato che è stata con il dottor Hodel prima del delitto e che non sapeva assolutamente che l'accusato fosse in qualche modo collegato alla vittima.
Rudolph Waters, che si sa abbia conosciuto sia la vittima che il sospettato, ha asserito che non ha mai visto la vittima ed Hodel assieme e che non crede alla possibilità che i due si conoscessero. Le seguenti persone, interrogate, non hanno saputo fornire nessun dato capace di collegare il sospetto alla vittima [...]. Cfr. anche i rapporti supplementari, i resoconti e le registrazioni, tutte tendenti ad eliminare Hodel dalla lista dei sospetti. »
Nel 2003, Steve Hodel (figlio del dottor Hodel ed ex-detective della Sezione Omicidi della Polizia di Los Angeles) ha pubblicato un libro in cui afferma che il padre, deceduto nel 1999, è il responsabile sia dell'omicidio della "Dalia Nera" che di un ampio numero di omicidi irrisolti commessi lungo un ventennio. L'ex-detective Steve Hodel afferma di aver maturato questa ipotesi dopo aver trovato due foto del padre in compagnia di una ragazza simile ad Elizabeth Short - anche se la famiglia della Short insiste nel negare ogni somiglianza fra la ragazza nella foto e la vittima. Steve Hodel inoltre sostiene di non sapere che all'epoca il padre fosse uno dei sospettati - nonostante sua sorella Tamara fosse amica di Janice Knowlton, autrice di Mio padre è l'assassino della Dalia Nera (vedi più sotto) e nonostante i documenti rendono chiaro come i parenti e anche alcuni soci del dottor Hodel sapessero che era stato inserito nella lista dei sospetti.
Dopo aver analizzato le informazioni presentate nel libro di Steve Hodel, il vice-procuratore di Los Angeles Stephen Kay (che è stato anche pubblico ministero nel processo alla "famiglia Manson") dichiarò chiuso il caso. Molti hanno però notato che Kay - ritiratosi in pensione subito dopo - abbia formulato il suo giudizio considerando le affermazioni di Steve Hodel come fatti inconfutabili. Non sono mancati invece i critici che hanno contestato le affermazioni di Hodel. Il detective Brian Carr, attualmente responsabile del caso, ha affermato in una intervista televisiva che il responso di Kay lo ha lasciato «confuso» ed ha anzi aggiunto che se avesse portato un impianto accusatorio debole come quello di Steve Hodel al pubblico ministero, questi «mi avrebbe riso in faccia e mi avrebbe cacciato fuori dal suo ufficio».

Norman Chandler

Norman Chandler, editore del Los Angeles Times, è stato accusato di essere il mandante dell'omicidio dallo scrittore Donald Wolfe nel suo The Mob, the Mogul, and the Murder That Transfixed Los Angeles. Ipotizzando un complicato scenario, Wolfe sostiene che Chandler abbia messo incinta la Short quando questa lavorava come squillo per "Madame" Brenda Allen, che gestiva un noto bordello di Hollywood.
Per evitare lo scandalo, Chandler si sarebbe rivolto ad un gangster locale, Bugsy Siegel, perché ammazzasse la donna. Tale ipotesi è però in aperto contrasto con quanto stabilito dalle indagini della Polizia di Los Angeles e dall'autopsia. La Short infatti non ha mai lavorato come prostituta e soprattutto, a causa di una malformazione vaginale, non poteva rimanere incinta.

George Knowlton

Tutto quello che si sa di George Knowlton è che, al tempo del delitto Short, viveva nell'area di Los Angeles e che è successivamente morto in un incidente automobilistico nel 1962.
Nei primi anni novanta, la figlia Janice (ex-cantante e proprietaria di una agenzia di pubbliche relazioni) dichiarò di aver visto suo padre uccidere Elizabeth Short. Le dichiarazioni della Knowlton si basano in larga parte su ricordi riaffiorati in seguito ad una terapia, ma non vengono giudicate attendibili dalla polizia.
« Il detective John P. St. John della polizia di Los Angeles, uno degli investigatori assegnati al caso, ha detto di aver parlato alla Knowlton e di non credere ad una connessione fra l'omicidio della "Dalia Nera" e George Knowlton. "Ci sono tantissime persone che sostengono che un loro parente sia l'assassino della "Dalia Nera - afferma il detective St. John [...] - Quello che [Janice Knowlton] afferma non può essere preso seriamente in considerazione per la risoluzione del caso. »
(dal Los Angeles Times, 1991)
Il dipartimento di Westminster prese però seriamente in considerazione le affermazioni della Knowlton, indagando a fondo sulla sua infanzia, ma non trovando assolutamente nulla di probante.

Le accuse di Janice Knowlton

Nel 1995, scrive assieme a Michael Newton (al cui attivo figurano varie inchieste su crimini e criminali) il libro Mio padre è l'assassino della Dalia Nera, in cui appunto afferma che è stato suo padre George ad uccidere la giovane Elizabeth Short. La Knowlton sostiene nel suo libro che il padre e la Short hanno avuto una relazione. Addirittura afferma la Short sarebbe stata ospite a casa sua (per lei sarebbe stata ricavata una improvvisata stanzetta nel garage della casa, dove successivamente avrebbe sofferto un aborto) e che sarebbe stata costretta a seguire il padre durante le operazioni di occultamento del cadavere.
Pare inoltre che un ex-collaboratore dello sceriffo di Los Angeles abbia informato la Knowlton riguardo alle indagini condotte proprio sul padre. La stessa fonte sembra le abbia inoltre confidato che anche Edward Davis - futuro capo della polizia di Los Angeles e futuro politico californiano - e Buron Fitts - procuratore distrettuale di Los Angeles - erano coinvolti nell'omicidio. Tuttavia, dai documenti ufficiali si evince che nessuna indagine è stata mai effettuata nei confronti di George Knowlton da parte della polizia, né sono state portate prove ufficiali riguardo alle altre dichiarazioni.
Janice Knowlton diventerà in seguito molto conosciuta nei vari newsgroups di Internet che parlano del delitto della "Dalia Nera". Le sue accuse riguardano e si collegano infatti a molti dei personaggi che ruotano intorno alla vicenda.
Nel 1998, invia un messaggio in un gruppo Usenet dove nomina il dottor George Hodel (vedi sopra) additandolo come uno dei sospetti. Poco tempo dopo, nascerà una lunga corrispondenza via e-mail fra Janice Knowlton e Tamara Hodel, figlia del dottor George Hodel. Nel 1999, dichiara invece su vari forum tematici che anche l'editore del Los Angeles Times Norman Chandler (vedi sopra) ha partecipato alle operazioni di "insabbiamento".
A supporto di questa tesi, ha più volte dichiarato sugli stessi forum che nella notte di Halloween del 1946 è stata "venduta" per la prima volta, alla tenera età di 9 anni, come baby-prostituta ad una setta satanica di Pasadena. Successivamente, sarebbe stata "venduta" ad altre star dello spettacolo ed altri personaggi importanti dell'epoca (al momento delle accuse, tutti morti), come appunto Norman Chandler, Gene Autry (dalla Knowlton sempre chiamata erroneamente Autrey), Arthur Freed e Walt Disney. Di lì a poco però venne bannata dai forum che frequentava a causa del suo comportamento, giudicato ossessivo e "spammatorio".
Janice Knowlton morì suicida nel 2004 per un'overdose di farmaci, regolarmente prescritti.

Orson Welles

Il famoso regista Orson Welles viene inserito nella lista dei sospettati del delitto Short nel 1999 da Mary Pacios, ex-vicina di casa della famiglia Short di Medford, nel suo libro Childhood shadows. La Pacios basa la sua teoria soprattutto sul temperamento molto "volatile" del regista e sulla sua ossessione di tagliare tutto a metà - ossessione che, secondo la Pacios, si può rintracciare nel set decisamente "particolare" ideato dallo stesso Welles per alcune scene (poi rimosse) di un film a cui stava lavorando al momento del delitto.
Come ulteriore indizio, la Pacios cita anche gli spettacoli di magia che Welles ha tenuto durante la seconda guerra mondiale per divertire i soldati al fronte. L'autrice definisce il particolare taglio effettuato a metà del corpo come la "firma" del killer, l'ossessione di chi l'ha perpetrata.
Welles richiede il passaporto il 24 gennaio 1947, nove giorni dopo il delitto e lo stesso giorno in cui il killer invia un misterioso pacchetto ai quotidiani di Los Angeles. Welles lascia dunque gli Stati Uniti per stare in Europa circa dieci mesi. Secondo la Pacios, alcuni testimoni da lei interrogati dicono che sia Welles che la Short frequentavano lo stesso ristorante di Los Angeles. Tuttavia, Orson Welles non è mai stato ufficialmente inserito nella lista dei sospettati.
Attualmente, Mary Pacios gestisce un sito web contenente un gran numero di informazioni e di documentazioni ufficiali sul caso della "Dalia Nera". Solo una piccola sezione del sito è tuttavia dedicata al possibile coinvolgimento di Orson Welles.

Jack Anderson Wilson

Jack Anderson Wilson (anche conosciuto come Arnold Smith) era un ladruncolo alcolizzato intervistato dallo scrittore John Gilmore per il suo libro Severed. Dopo la morte, Gilmore fa il nome di Wilson come probabile assassino, a causa della presunta conoscenza della Short. Il 17 gennaio 1982 (prima della morte di Wilson), tuttavia, Gilmore aveva fatto tutt'altra ipotesi dalle colonne del Los Angeles Herald-Examiner.
In Severed, l'autore sostiene che il detective John St. John, incaricato al tempo del caso, era quasi arrivato ad incastrare Wilson. In realtà, il detective stesso ha rilasciato al Los Angeles Herald-Examiner una dichiarazione, in cui affermava di essere impegnato nella risoluzione di altri delitti e che avrebbe preso in considerazione le ipotesi di Gilmore quando avrebbe avuto «un po' di tempo». Successivamente, una volta resi pubblici il rapporto dell'FBI e della Procura distrettuale di Los Angeles, le affermazioni contenute nel libro di John Gilmore che accusavano Wilson dell'omicidio della "Dalia Nera" si sono rivelate decisamente infondate.

Un nesso con altri omicidi?

Gilmore, sempre nel suo Severed, accusa il defunto Jack Wilson anche dell'omicidio di un'altra donna, Georgette Bauerdorf. Il libro - così come molti altri testi su esso basati - ipotizza erroneamente che la Short e la Bauerdorf si conoscessero, perché avevano entrambe lavorato come cameriere nello stesso night-club. In realtà, quando la Short arriva a Los Angeles (1946), la Bauerdorf era già morta da due anni mentre il locale era chiuso da un anno.
Alcuni autori di romanzi criminali hanno speculato sui possibili collegamenti fra il delitto Short e i delitti del Macellaio di Cleveland, che operò fra il 1935 e il 1938. I primi responsabili del caso hanno effettivamente esaminato l'ipotesi, ma senza risultati (va detto che la stessa ipotesi è stata fatta per altri delitti commessi sia prima che dopo il delitto della "Dalia Nera").
Altri hanno invece ipotizzato la presenza di un collegamento fra l'omicidio di Elizabeth Short e quello di Suzanne Degnan, una bambina di 6 anni trovata morta nel 1945 a Chicago, il cui corpo è stato anch'esso smembrato. L'ipotesi venne avvalorata dalla scoperta del corpo della Short in Degnan Boulevard. Tuttavia, il cosiddetto "Killer del rossetto" (al secolo William Heirens, l'autore dell'atroce delitto di Chicago) ha confessato il suo delitto ed è stato per questo arrestato prima della scoperta del cadavere della Short - anche se c'è chi ha sostenuto che Heirens fosse innocente riguardo al delitto della Degnan.

Influenze e omaggi

Il caso della "Dalia nera", com'era prevedibile, ha ispirato molti scrittori, registi e musicisti.

Cinema e televisione

Nel film Viale del tramonto del 1950, il personaggio interpretato da William Holden arriva a un party e viene presentato come un sospettato dell'omicidio della Dalia Nera. Nella versione italiana, a causa del doppiaggio, viene detto che è sospettato di spionaggio.
Il caso d'omicidio ha ispirato il film noir Gardenia blu (The Blue Gardenia) (1953).
Nel 1975, viene prodotto un film per la TV dal titolo Chi è Black Dahlia?, diretta da Joseph Pevney. Molti dettagli della vicenda sono stati però modificati, a causa del rifiuto di molti (compresa la madre di Elizabeth e "Red" Manley) di rilasciare l'apposita liberatoria.
Nel 1981 viene distribuito il film L'assoluzione con Robert Duvall e Robert De Niro, che lo stesso anno è presentato alla Biennale di Venezia. Il film è tratto dal romanzo Verità confessate di John Gregory Dunne.
Nel 1988, un episodio della serie televisiva Hunter mostra i detective protagonisti indagare su un caso simile a quello della "Dalia Nera", in cui uno scheletro tagliato a metà viene rinvenuto durante la demolizione di un edificio costruito nel 1947. I detective sono aiutati da un altro detective in pensione che ha lavorato sul caso Short.
Nel 2006, dal romanzo di Ellroy viene tratto il film The Black Dahlia, diretto da Brian De Palma. Nel cast, ci sono Josh Hartnett, Aaron Eckhart, Scarlett Johansson, Hilary Swank e Mia Kirshner nel ruolo di Elizabeth Short.
L'episodio La Dalia Nera della serie televisiva American Horror Story è ispirato a questo delitto, il personaggio di Elizabeth Short è interpretato da Mena Suvari.

Letteratura

Nel 1977, il delitto ispira il romanzo Verità confessate di John Gregory Dunne.
Nel 2002, lo scrittore Max Allan Collins pubblica il suo romanzo Angelo in nero, in cui combina la storia della "Dalia Nera" con quella del serial killer di Cleveland che lì operò negli anni trenta.
Sempre nel 2002, la rockstar Marilyn Manson ha dipinto una serie di acquerelli ispirati al delitto.
Nel 1987, il famoso autore noir James Ellroy pubblica il suo romanzo Dalia Nera.

Musica

Nel 2000, la cantante ed attrice Lisa Marr menziona la "Dalia Nera" nel suo pezzo In California, tratto dall'album "4 AM".
Nel 2001, il jazzista Bob Belden produce un CD di 12 pezzi ispirati al caso di Elizabeth Short, intesi dall'autore come un tributo alla vittima.
La band death metal The Black Dahlia Murder prende il suo nome proprio da questo delitto.
La band progressive rock Porcupine Tree ha pubblicato la canzone Black Dahlia nell'album The Incident del 2009.

Monumenti

Il 29 luglio 1993, a Medford venne eretto un monumento in onore di Elizabeth Short.

Videogiochi

Nel 1998, la Take Two Interactive pubblica il videogioco Black Dahlia, che lega i responsabili dell'omicidio ad ambienti nazisti e occultisti.
Nel videogioco L.A. Noire ad un certo punto della storia i giocatori (nei panni del detective Cole Phelps) dovranno investigare su una serie di cruenti delitti misteriosamente simili al caso della Dalia Nera e che fanno ricorso ad un possibile serial killer. Inoltre il delitto Short viene menzionato innumerevoli volte.

Altro

La Sergio Bonelli Editore, in particolare le testate Nick Raider e Leo Pulp, hanno reso omaggio alla vicenda della Dalia Nera rispettivamente con gli albi "Acque torbide" e "Il caso della Magnolia Rossa". Entrambi gli albi sono stati scritti da Claudio Nizzi.
Il Regal Biltmore Hotel ha aggiunto il "Black Dahlia Cocktail" al suo menù in onore di Elizabeth Short.

Curiosità

Circolano voci che dicono che secondo l'autopsia i genitali di Elizabeth erano perfetti, ma la notizia è falsa in quanto i suoi genitali furono mutilati e gli organi interni estratti.
Si è supposto che Elizabeth avesse una rosa tatuata sulla coscia destra. Tuttavia, il medico legale non ha rinvenuto alcun tatuaggio o segni simili sul corpo della vittima.
La famiglia Short era composta da: Cleo A. Short e Phoebe Mae Sawyer Short e dalle loro cinque figlie: Virginia (n. 19??), Dorothea (n. 1922), Elizabeth (n. 1924), Eleanora (n. 1926) e Muriel (n.1928).
Prima della morte Elizabeth pesava 54 kg ed era alta 1,65 m.
Una medium disse alla polizia che, per poter arrestare il killer, avrebbero dovuto seppellire Elizabeth Short con un uovo nel palmo della mano destra. La polizia non lo fece.
Voci non confermate riferiscono che Elizabeth fece la comparsa nel film Casablanca.
Si è affermato che Elizabeth Short avesse avuto anche alcune relazioni lesbiche, una tra le quali con la famosa attrice Marilyn Monroe. Ma in merito a queste affermazioni non esistono tuttavia certezze.
Gli investigatori che si sono occupati del caso della Dalia Nera sono: John St. John (dal 1947 al 1994), Paul Tippen (dal 1994 al 1996) e Brian Carr (dal 1996).