Beppe Grillo era sul Britannia, il 2 giugno 1993, insieme a Mario
Draghi e a tutti gli altri uomini del Deep State italiano, reclutati
dalla finanza
globalista per spennare il Belpaese. Lo afferma l’avvocato Gianfranco
Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e massone progressista, acuto
osservatore dei retroscena italici. Moviola storica: cade il Muro di
Berlino, i partiti della Prima Repubblica diventano inutili come diga
contro l’Urss e quindi vengono rasi al suolo dai giudici di Mani Pulite,
che – dopo cinquant’anni – si accorgono che la corruzione domina la politica nazionale. Cadono Craxi e Andreotti, ma si risparmia il Pci-Pds, incaricato di ereditare il potere
nella colonia-Italia. A inceppare il piano, l’anno seguente irrompe
Berlusconi (variante classica del neoliberismo puro, visto da destra).
Un anno prima, invece, a condurre il gioco è ancora l’ex sinistra, da
integrare nell’establishment attraverso notabili e tecnocrati, a patto
che ammaini tutte le bandiere della sinistra storica, le battaglie per i
diritti sociali. Mario Draghi, di formazione keynesiana, è l’uomo
giusto al momento giusto, ma anche nel posto giusto (la direzione del
Tesoro, da cui gestirà le turbo-privatizzazioni all’italiana che
metteranno in croce il paese, svenduto a Francia e Germania).
L’altro partner si chiama Romano Prodi, in quota alla sinistra Dc,
incaricato di smantellare l’Iri, cioè il complesso industriale
(pubblico) più grande d’Europa.
Oggi, Prodi e Draghi sono i due maggiori candidati a succedere a
Mattarella. E il possibile king-maker, dietro le quinte, è proprio il
finto outsider Beppe Grillo.
Legato a De Mita, poi cacciato dalla Rai per una celebre battuta sui
socialisti “ladri”, l’ex comico genovese s’è reinventato – assai prima
dell’incolore Giuseppe Conte – nel ruolo di “avvocato del popolo”. Per
anni ha riempito i palasport con coraggiose invettive contro gli abusi del potere politico-economico. Poi ha provocato il neonato Pd, proponendosi come candidato alle primarie. «Se vuol fare politica,
Grillo si faccia un partito», lo respinse il sempre profetico Fassino.
Dieci anni fa, il Partito del Vaffa nacque davvero. E che partito:
vietato il dissenso, niente congressi, zero democrazia
interna. Proprietario del marchio, Beppe Grillo. Socio,
l’informatico-visionario Gianroberto Casaleggio, massone. Una
spettacolare operazione di gatekeeping, per dirottare su un binario
morto l’elettorato italiano, esasperato dall’austerity e dall’alternanza
solo apparente tra centrodestra e centrosinistra, due blocchi in realtà
alleati e proni entrambi al rigore Ue. Nella sua fantapolitica
delirante, anni fa il grillismo farneticava su tutto, proponendo anche
un referendum sull’euro, cioè lo strumento di dominio sponsorizzato
dall’amico Draghi e dall’amico Prodi. Non ci sono cascati solo i
grillini, ma milioni di italiani. Il primo exploit nel 2013, con il
pensionamento di Bersani e l’avvento di Renzi. Cinque anni dopo, il
boom: i 5 Stelle al 33%, primo partito italiano. Non composto da veri
parlamentari, però, ma da marionette ricattate perché licenziabili
all’istante dal Capo.
Per questo, le marionette hanno obbedito fino all’ultimo e quindi
tradito una dopo l’altra tutte le promesse agitate in campagna
elettorale: Ilva e Tap, trivelle, F-35, vaccini, Tav. Di che pasta
fosse, il Capo, lo si era già visto nel 2017, quando provò a traslocare
il gruppo europarlamentare – d’imperio – tra gli ultra-euristi
dell’Alde, a Strasburgo. Fu respinto. «Il potere
non ci vuole perché ci teme», riuscì a dire, senza ridere. E il peggio è
che i grillini gli credettero. Non videro che il Britannia si stava
inesorabilmente riavvicinando: gettata la maschera, Beppe Grillo si
stava preparando a tornare a casa. Altro indizio palese: la scelta
dell’inconsistente Di Maio come commissario politico dei 5 Stelle,
diligente e innocuo, uso obbedir tacendo. Nel vuoto i ripetuti
avvertimenti di Carpeoro: attenti, Di Maio è nelle mani del massone
reazionario Michael Ledeen. Chi è Ledeen? Eminente politologo
statunitense, docente universitario e autore di saggi, già accusato di
aver depistato le indagini sul caso
Moro. Ieri vicino a Di Pietro e poi a Renzi, Ledeen è un esponente
della cupola massonica oligarchica mondiale, quella nel
neoliberismo-canaglia. Membro delle superlogge dell’ultradestra,
contigue al potentissimo Council on Foreign Relations. Di più:
autorevole capataz del Jewish Institute e membro del B’nai B’rith,
elusiva massoneria sionista dominata dal Mossad.
E’ Ledeen, ha ripetuto Carpeoro, ad aver portato Di Maio a spasso nei santuari del massimo potere
post-democratico, nella speranza che fosse accreditato come uomo di
fiducia, per poi varare (dietro il paravento del populismo) le politiche
anti-italiane richieste dalla peggiore élite finanziaria globalista. Di
Maio ha annaspato, come poteva, nel mare agitato della politica.
Accanto a Salvini, in pochi mesi è letteralmente scomparso
nell’anonimato dopo essersi coperto di ridicolo: ha trasformato in
burletta il reddito di cittadinanza e ha tradito persino i Gilet Gialli,
prima blanditi e incoraggiati nella loro lotta contro Macron e poi
abbandonati. Nel giro di qualche settimana, Di Maio ha baciato la
pantolofola di Angela Merkel, reduce dal Trattato di Aquisgrana
stipulato proprio con Macron. Colpo finale: l’appoggio a Ursula von der
Leyen, candidata della Merkel per la Commissione Ue. Una coltellata a
Salvini, vibrata in modo premeditato per far cadere il precario governo
gialloverde e le sue promesse di cambiamento, già insabbiate da mesi
proprio grazie ai 5 Stelle. Killer prescelto per l’operazione: Giuseppe
Conte, l’avvocato venuto in apparenza dal nulla, anche lui accuratamente
selezionato da Grillo
e imposto, senza colpo ferire, alla belante scolaresca dei sudditi
grillini. Che ora, sempre su ordine del Capo, si preparano al suicidio
collettivo definitivo: il governo con l’odiato Pd.
C’è da immaginare le risate che si sarà fatto, Grillo, nell’assistere
allo spettacolo dell’obbedienza cieca, da parte dei suoi
semi-parlamentari terrorizzati all’idea di perdere la poltrona. Un
domatore istrionico, l’ex comico, ma spietato: chi non si allinea ai
diktat, viene buttato fuori. A questo sono servite le espulsioni del
passato: a far capire a tutti che nella caserma 5 Stelle non c’è posto
per la libertà. “Uno vale uno”, era lo slogan orwelliano coniato dalla
neolingua grillina: il contrario della verità. Uno spettacolo, appunto.
Tutto da ridere? Non proprio, se oggi il signor Grillo ha in mano le
chiavi del governo italiano, preparandosi a maneggiare – domani – anche
quelle del Quirinale, che vorrebbe prenotare per il diletto Romano
Prodi. L’incrollabile club dei cretini nazionali ha dato del fascista a
Salvini, inorridendo di fronte alla richiesta di “pieni poteri” da parte
del leghista, fingendo di non capire che il leader della Lega ha inteso
denunciare il vero potere,
lo Stato Profondo che lo ha finora sabotato in ogni modo, ricorrendo
anche all’uso spericolato di una parte della magistratura. Il club dei
cretini nazionali potrà ora godersi i pieni poteri di Beppe Grillo,
l’uomo-ombra, attraverso i suoi burattini: l’avvocato Conte e i
traumatizzati parlamentari grillini avvinghiati alle loro poltrone, in
compagnia dei docilissimi colleghi renziani, altrettanto incollati allo
scranno e spaventati dall’idea delle elezioni. L’Italia “subisce
ancora”, come Fantozzi: è la dura legge del Britannia.
fonte: LIBRE IDEE