giovedì

Enriqueta Martì Ripollès, la vampira di Barcellona


Questa è la storia macabra e cruenta di una donna senza morale che riuscì per molto tempo a rapire e sfruttare bambini indifesi, costretti prima a prostituire il loro corpo con uomini ricchi e facoltosi, per poi essere fatti a pezzi allo scopo di utilizzarne i resti per confezionare pomate, unguenti e medicine miracolose, in grado di curare qualsiasi malanno e di assicurare l’eterna giovinezza. La protagonista di questa vicenda è Enriqueta Martì Ripollès, ricordata dalla storia come la vampira di Barcellona o la strega di Calle Poniente. 
Enriqueta era nata da una famiglia molto povera di un quartiere di Barcellona, Saint Filin de Llobregat, nel 1868. Il padre era alcolizzato, mentre la madre provvedeva al sostentamento della famiglia facendo le pulizie nelle case di chi la chiamava. Quelle misere condizioni di vita costrinsero la giovane a fare i lavori più disparati, fra cui la domestica e la nutrice. Stanca di arrivare a stento a mettere insieme il necessario per pranzo e cena, a 16 anni si avviò alla prostituzione nel quartiere del porto di Santa Madrona. A 20 anni sposò un suo cliente, Juan Pujalò, che la spinse a lasciare la strada, con il miraggio di una vita felice e confortevole. In realtà l’uomo era un pittore squattrinato e di poco talento, che faticava a guadagnare i soldi per mantenere il nucleo familiare. La donna, disperata, decise di tornare a prostituirsi, con grande disappunto del marito, che dopo circa 10 anni di convivenza decise di lasciarla. Enriqueta era ambiziosa e furba. Vide in questa situazione una opportunità di crescita. Riuscì a risparmiare abbastanza denaro per poter lasciare il bordello in cui lavorava e aprirne uno tutto suo nel 1909. L’esperienza accumulata la fece entrare in contatto con uomini facoltosi, anche dell’alta società di Barcellona, che a lei confidavano i loro desideri più lascivi, quelli che potevano prendere vita solo nei quartieri poveri della città, luogo ideale per realizzare le fantasie più inconfessabili. La giovane Martì si mise in attività. La sera vestiva i panni della signora, la mattina quella della mendicante, che con la sua aria innocente riusciva ad attirare, con una scusa, ignari bambini che rapiva per avviarli alla prostituzione. 


Per alcuni anni, ma non si sa quanti con certezza, prelevò con l'inganno un numero imprecisato di bambini figli delle classi più povere, dei mendicanti oppure semplici trovatelli abbandonati per strada. Nessuno li reclamò mai e il suo commercio di invisibili poté continuare indisturbato per lungo tempo. La donna godeva inoltre della protezione di alcuni uomini facoltosi e ben in vista di Barcellona, che le garantivano impunita con le forze dell'ordine. Col passare del tempo allo sfruttamento della prostituzione minorile aggiunse un altro traffico: il commercio di pozioni magiche e di unguenti miracolosi in grado di guarire qualsiasi malanno o dolore. La sua attività divenne ben presto fiorente e remunerativa, grazie al diffondersi di malattie come la tubercolosi e alla faciloneria con cui molti si accostavano a lei credendola una vera guaritrice. Creme, tisane, estratti di vario genere, erano tutti i prodotti ricavati dallo smembramento dei corpi dei bambini che rapiva. Alcuni erano selezionati apposta. Una volta uccisi sul tavolo della cucina della sua casa-bordello, li tagliava a pezzi e ne utilizzava alcune parti, tra cui i capelli, le ossa, gli occhi, il grasso di ventre e cosce, il sangue e il cervello. Una volta scoperti i suoi loschi traffici ci fu chi sostenne che la donna si nutrisse essa stessa del sangue dei piccoli uccisi, per mantenersi giovane e forte, e che compisse atti di cannibalismo. Non esistono prove a supporto di questa tesi. 
1912. Il 10 febbraio fu rapita, sotto gli occhi della madre che si era distratta solo per un istante, Teresita Guitart Congost. La piccola, di 5 anni, fu una delle tante vittime di rapimento che si ebbe nel giro di poche settimane a Barcellona. La popolazione insorse contro le istituzioni, che furono accusate di inefficienza per come avevano trattato fino a quel momento le numerose segnalazioni di sequestro che erano giunte alla polizia. Pochi giorni dopo, il 17 febbraio, una donna di nome Claudia Elìas, vide una bambina affacciarsi alla finestra di una casa situata al numero 29 di Calle Poniente. In quella casa era risaputo che abitava una donna, Enriqueta Martì Ripollès. La Elìas credette di riconoscere Teresita, la bambina rapita una settimana prima. I suoi sospetti si rafforzarono quando ricordò che la proprietaria di quell’immobile, e di molti altri, non era sposata e non aveva figli. Tornata a casa da suo marito, la donna decise di informare la polizia del suo sospetto. Le forze dell'ordine questa volta non poterono ignorare la denuncia, tanto più che la piccola in questione non era una bimba invisibile ma era figlia di un uomo molto popolare e benvoluto in città. 


Una squadra capeggiata dalla gente Ribot entrò nell'abitazione della ricca e misteriosa signora, con lo scopo di perquisire la casa e di accertare chi vivesse con lei. Certamente non immaginavano quello che avrebbero trovato. Al loro ingresso videro due bambine; secondo Enriqueta, una era sua figlia Angelita e l'altra, con la testa completamente rasata, una trovatella senza genitori che lei magnanimamente aveva salvato dalla strada. Gli agenti non credettero a quella storia, tanto più che le piccole avevano l'aria molto spaventata. Decisero così di fare loro alcune domande. La bimba senza capelli disse di chiamarsi Felicidad e che quel nome lo aveva scelto per lei quella signora. In realtà lei ricordava che il suo vero nome era Teresita. 
L'avevano trovata. Da quel momento partirono indagini più approfondite. Le due bambine furono allontanate dalla donna e interrogate a lungo: raccontarono di essere state attirate dalla Martì in Calle Poniente con la scusa di far loro vedere un gatto e che dopo un primo momento in cui si era mostrata gentile, improvvisamente era diventata cattiva ed aggressiva, costringendole ad entrare in quella casa anche se non volevano. Nei primi giorni con loro c'era un altro bambino di nome Pepito. Il piccolo una mattina era stato rinchiuso in una stanza, per punizione. Là dentro loro due non ci potevano entrare. Ma si sa, fatto un divieto ai bambini, quelli subito cercano di aggirarlo. E così fecero le due bimbe, curiose e desiderose di rivedere il loro amico. Approfittando di un momento in cui la donna era fuori per “delle faccende”, decisero di andare nella stanza proibita, per salutare Pepito. Ma lui lì non c’era; trovarono solo tanto sangue sulle pareti, sul tavolo e sul pavimento. L'odore lì dentro era terribile, faceva venire voglia di vomitare. Le piccole scapparono impaurite dimenticando la porta aperta. Enriqueta al suo rientro aveva scoperto la loro curiosità e così quella sera decise di punirle: servì loro una cena speciale, una zuppa nella quale galleggiavano due piedi di bambino. 


Quel racconto paradossale era solo l'anticamera dell'inferno che celava quella grande abitazione. In una stanza, che trovarono chiusa a chiave, rinvennero ossa intere e in polvere, capelli, brandelli di pelle, grasso umano, sangue coagulato, pezzi di piccoli corpi, tutto meticolosamente conservato ed etichettato. Erano quelli gli ingredienti delle sue pozioni, quelle che gli chiedevano amici e amiche dell'alta società di Barcellona, che erano a conoscenza di cosa faceva la donna, ma non se ne preoccupavano perché erano convinti che avrebbero in quel modo sconfitto l’inesorabile trascorrere del tempo e mantenuto una ferrea salute. 
Come trofeo personale la Martì era solita conservare, in modo minuzioso, ciocche di capelli delle sue vittime. Nella stessa scatola teneva l'elenco dei suoi clienti speciali, che acquistavano sia prestazioni sessuali che prodotti, annotato con precisione in un libro vecchio e consumato, che riportava strane formule incomprensibili ad un occhio inesperto. Solo la donna svelò il significato dei suoi scritti: ciascuna formula era un codice che celava il nome di uno dei suoi ricchi acquirenti. 
Portandola alla stazione di polizia, gli investigatori scoprirono che in passato la donna era già stata denunciata per sfruttamento della prostituzione, ma le indagini non avevano avuto seguito perché era intervenuto un personaggio pubblico importante di Barcellona in suo favore. Tutto fu insabbiato fino al giorno della sparizione di Teresita, una bimba che non poteva passare inosservata. In vari nascondigli della casa furono ritrovati scheletri di bambini, tutti di età compresa fra i 3 e gli 8 anni. Queste macabre scoperte convinsero le forze dell'ordine a cercare altre prove nelle precedenti abitazioni della donna. In ciascuna rinvennero altri resti umani. 
La popolazione si divise tra chi voleva giustizia ad ogni costo e soprattutto chiarezza su anni di insabbiamenti, e chi temeva di finire in uno scandalo di pedofilia e morte. Di preciso nessuno fu in grado di dire quanti bambini furono brutalmente uccisi da Enriqueta Martì. Molte ossa venivano ridotte in polvere per finire in misture portentose, mentre i corpi venivano smembrati e trasformati, addirittura a volte cucinati e consumati in macabri banchetti. Anche l'ex marito di lei, Juan Pujalò, fu coinvolto nelle indagini. Interrogato più volte dalla polizia, negò sempre ogni coinvolgimento. Non confermò mai di essere il padre della piccola Angelita, come invece sosteneva Enriqueta. Durante il periodo di detenzione anche la donna cambiò versione circa l'identità della piccola, affermando che Angelita in realtà fu sottratta alla nascita alla madre, una parente del suo ex marito, a cui lei stessa, che la assisteva durante il parto, avrebbe detto che la bimba era nata morta. Pujalò dimostrò la sua estraneità ai fatti e poi uscì di scena sparendo completamente. 
Dopo 15 mesi di detenzione nel carcere di Reina Amalia, il 12 maggio 1913, Enriqueta fu trovata morta nella sua cella. Era stata condannata a morte ma il boia non ebbe mai il piacere di incontrarla. All'inizio si pensò a un decesso per malattia o suicidio, ma dopo una breve indagine, fu accertato che la donna venne uccisa dalle sue stesse compagne di detenzione. Qualcuno racconta che quel giorno le campane di Barcellona suonarono a festa, ma come si sa, il passo tra realtà e leggenda è molto breve. Nessuno conobbe mai il luogo della sua sepoltura. Fu mantenuto segreto, forse per evitare inutili rappresaglie o macabre celebrazioni, forse per gettarla definitivamente nell'oblio, quello stesso a cui Enriqueta aveva condannato i bambini invisibili dei quartieri poveri di Barcellona che ebbero la sfortuna di incontrarla.

Rosella Reali

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia

Ruben De Luca, Vincenzo Maria Mastronardi, I serial killer, Newton Compton Editori, 2013 

Marc Pastor, La mala dona, ed. La Magrana, 2010 

Pierrot, I diari di Enriqueta Martí, Morales I Torres, S.L. 2009 

Fernando Gómez, Il Mistero di Calle Poniente, Huerga y Fierro Editores, 2007

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

quando gli abitanti di Tolosa deformavano il cranio dei loro figli

La deformazione cranica è una tecnica ancestrale praticata sui bambini. 
A Tolosa, in Francia, questa tradizione è perdurata fino all'inizio della prima guerra mondiale, dandole persino il nome di "deformazione Tolosana".

Non vengono da Marte o da un film di Hollywood. Questi strani crani allungati che riposano nelle cantine del Museo di Tolosa sono proprio umani ... e anche Tolosani!

Sono il risultato di una deformazione cranica volontaria sui neonati, una pratica diffusa fino al diciannovesimo secolo, specialmente nella nostra regione che le ha dato un nome: la "deformazione Tolosana".

"Intendiamoci, queste deformazioni non sono propriamente specifiche di Tolosa", dice Bertrand de Viviès, direttore dei musei di Gaillac e autore di libri sull'argomento, "porta questo nome perché i primi antropologi parigini che se ne interessarono, nel diciannovesimo secolo, fecero le loro osservazioni negli ospedali e nei manicomi di Tolosa "...


Una pratica universale

Si tratta di una pratica che risale fino al Neolitico (sono stati ritrovati dei crani deformati nella necropoli della città vecchia di Tolosa) e che ha interessato tutti i continenti, dal Perù alla Mongolia, maschi e femmine; la deformazione cranica consiste nel plasmare il cranio ancora morbido del neonato. In seguito, sono stati dei copricapi molto stretti a dare alla deformazione di Tolosa la sua forma particolare: allungata verso l'alto o all'indietro.

A destra: Cranio tolosano deformato, di Eugène Trutat, fotografo (1840 - 1910) - Museo di Tolosa

Ma perché distorcere i crani?

Bertrand de Viviès porta un po' di luce su questo mistero: "Potrebbe essere collegato alle invasioni borgognoni del Medioevo o dei Mongoli i cui cavalieri avevano il cranio deformato. La gente voleva somigliare a questa classe dominante.
Potrebbe anche essere per un motivo estetico. All'epoca si riteneva che avere il cranio allungato fosse più bello. È anche legato a un tabù sessuale per le donne che non dovevano mostrare la nuca e quindi indossavano sciarpe molto strette. Infine, può trattarsi anche di una ragione profilattica: un cranio deformato potrebbe prevenire certe malattie. "
Anche se conosciamo i motivi di questa pratica, è difficile determinare perché è rimasta nella nostra regione mentre spariva in Europa . "Questo rimane un mistero, ammette Bertrand de Viviès. Sappiamo inoltre che sono state le ostetriche, in particolare, che perpetuavano queste deformazioni.

La crociata dei medici

Dopo una vera e propria crociata della medicina contro queste pratiche, la deformazione di Tolosa si interrompe all'inizio della prima guerra mondiale. "I medici del diciottesimo secolo pensavano, erroneamente, che questa pratica rendesse le persone stupide. È falso, poiché hanno studiato il fenomeno soltanto nei manicomi, mentre ora sappiamo che il cervello si adatta al contenitore. Inoltre, se guardiamo i ritratti dei Capitouls (magistrati della città all'epoca medievale - NdT), ma anche di La Pérouse (ufficiale di marina dell'800 - NdT) o del medico Philippe Pinel (scienziato e medico alienista, precursore della psichiatria - 1745 - 1826 - NdT) , tutti questi uomini dotti presentavano la stessa modificazione ossea.
"Oggi dimenticata, la deformazione di Tolosa era comune 150 anni fa. Tanto che un Tolosano che viaggiasse nel passato si ritroverebbe circondato da esseri umani con crani ... di extraterrestri.

Tradotto da Catherine

Fonte: www.ladepeche.fr

fonte: LA CREPA NEL MURO

domenica

James Jameson e la bambina offerta per il pasto dei cannibali


Il XIX secolo vide un massiccio aumento del numero di resti umani custoditi nei musei grazie agli archeologi, ai medici ed agli antropologi. Queste categorie di scienziati erano impazienti di fondare le proprie teorie su prove concrete e questa volontà, che possiamo definire ferrea, fu il motivo principale per il quale si dedicarono alla raccolta di una sempre maggiore quantità di reperti. Tali resti furono di numero talmente elevato che, ancora oggi, i curatori dei musei inglesi non hanno smesso di occuparsi di tale lascito. L’enorme lavoro degli scienziati non sempre, potremmo sostenere quasi mai, attirava l’attenzione dei giornali. Furono poche le esperienze che smossero l’attenzione del pubblico, ancor meno quelle che indignarono l’immaginario collettivo. Un numero davvero esiguo di scoperte, o presunte tali, fece vacillare la legittimità di determinate imprese scientifiche ed umane. Una storia però raggiunse le prime pagine dei quotidiani nel 1890. 


Gli articoli avevano come protagonista James Jameson, collezionista ed appassionato di caccia grossa, esploratore e scienziato e, all’epoca delle prime pagine, da poco defunto. James Jameson non era un uomo qualunque, era l’erede della famosa Jameson Irish Whiskey, ancora oggi tra i principali produttori mondiali di Whiskey. Nacque nel 1856 ad Alloa, in Scozia, da Andrew e Margaret. Dopo l’istruzione elementare nelle scuole scozzesi, James studiò presso l’International College ad Isleworth. Successivamente entrò nell’esercito ma, nel 1877, decise di dedicarsi alle avventure. Nello stesso anno viaggiò tra Ceylon ed il Borneo, tornando a casa con un’incredibile collezione d’uccelli, farfalle e coleotteri. L’anno seguente andò nel Sud dell’Africa, cacciando leoni e rinoceronti. 


Nel 1881 Jameson tornò in Inghilterra con una collezione di grandi teste ed esemplari ornitologici, entomologici e botanici. Tra viaggi avventurosi e raccolte di reperti, si giunse al gennaio del 1887 quando Jameson si unì, come naturalista, ad una spedizione in soccorso d’Emin Pasha. Il comando delle ricerche fu affidato a Sir Stanley, famoso per la sciagura del colonialismo privato in Congo di Leopoldo II Re del Belgio. La spedizione ebbe non pochi problemi e la cruda realtà della vita quotidiana aveva mandato all’aria le speranze di James di raccogliere flora e fauna della regione del Congo. Inoltre, secondo i successivi resoconti dei giornali e le testimonianze giurate, pur di spezzare la monotonia della vita quotidiana ricorse ad un intrattenimento atroce: James Jameson fu accusato di aver pagato soldati africani per uccidere, smembrare e mangiare una ragazza sotto i suoi occhi. Secondo i testimoni, l’intenzione di assistere ad un atto di cannibalismo era stata sin dall’inizio del viaggio nella mente di Jameson. Secondo il siriano Assad Farran, interprete al seguito della spedizione, “Jameson era curioso sulla pratica del cannibalismo, che riteneva cosa comune tra i nativi. Mi chiese di vedere con i propri occhi un rito in cui una persona veniva mangiata. Pagò sei fazzoletti per acquistare una bambina di 10 anni che fu portata in un villaggio di cannibali. Mi fece riferire che quello era un regalo dell’uomo bianco, e che desiderava vederla mangiata”. Sempre secondo le testimonianze, Jameson osservò la scena con un album da disegno in mano e disegnò sei tavole per descrivere l’episodio. Il suo entusiasmo per tali brutalità si manifestò anche in altre maniere: una volta spedì in Inghilterra una testa d’africano, con tanto di collo e capelli, con l’intento di esporlo in casa. Secondo i testimoni, Jameson aveva fatto decapitare il nativo, in seguito aveva immerso nel sale la testa mozzata, prima di spedirla a Londra. Quando l’orrendo trofeo giunse in Inghilterra, alcuni specialisti di Rowland Ward, celebre casa di tassidermia, impagliarono la testa – anche se con cattivi risultati poiché la moglie di Jameson si lamentò in diverse occasioni della puzza del trofeo umano.


L’affaire-Jameson, relativo all’atto di cannibalismo nei confronti di una bambina di 10 anni, scoppiò nel novembre del 1890, quando il resoconto di tale avvenimento fu riportato in un articolo sul Times. Nell’aprile dello stesso anno, fece ritorno in Inghilterra Henry Stanley, salutato come eroe nazionale. Stanley descrisse i suoi viaggi in un libro, In Darkest Africa, che divenne in brevissimo tempo un best seller. Quell’atmosfera d’eroica sopravvivenza nell’Africa più nera fu irrimediabilmente rovinata dall’articolo su Jameson. Gli uomini di Stanley furono accusati di depravazione e diserzione. La condotta di Jameson aiutò ad incrementare la leggenda nera degli esploratori. Il giornalista del Times scriveva che “davvero la condotta di chi viaggia nell’Africa più nera è nerissima”. Nel frattempo si allungò la lista dei detrattori di Jameson. Un uomo di Stanley dichiarò che “all’epoca dei fatti, Jameson aveva parlato apertamente dell’episodio e che si sarebbe reso conto della serietà delle sue azioni solo molto più tardi. La vita nell’Africa centrale vale pochissimo e Mister Jameson si dimenticò sotto quale diversa luce quell’episodio sarebbe stato considerato una volta a casa”.


Alla fine del 1890, il New York Times pubblicò una lettera dello stesso Jameson che la moglie dichiarò d’aver ricevuto, e che a suo dire giustifica l’avventuriero. Nella lettera gli eventi furono narrati nel seguente modo: Non volevo credere al cannibalismo, ma un mercante di schiavi mi chiese sei fazzoletti per dimostrarmi il contrario. Pensavo che l'intera faccenda fosse un trucco che la tribù voleva giocarmi, e volevo vedere come andava a finire. Poi è successo tutto troppo in fretta, e non mi restò che assistere alla cerimonia. La cosa più straordinaria - conclude con la freddezza di un entomologo - è che la ragazza non ha mai emesso un suono, né ha lottato. Quando sono tornato all'accampamento ho fatto alcuni schizzi della scena ancora fresca nella mia memoria”.


Jameson non poté rispondere direttamente alle accuse poiché morì il 17 agosto del 1888 a Bangala sul fiume Congo.
Purtroppo la storia di reliquie, trofei e teste mozzate non si sarebbe conclusa con la morte di James Jameson.

Fabio Casalini

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia 

Frances Larson, Teste mozze: storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri, Utet, 2014 

HM Stanley, Darkest Africa, 1890 

Storia della colonna posteriore di Emin Pasha Relief Expedition, di Jameson stesso, a cura di sua moglie, la prefazione di suo fratello, Mr. Jameson, 1891 

Esperienze personali nell'Africa equatoriale, a cura di Surgeon TH Parke, 1891 

Documenti e registro della colonna posteriore, pubblicato sul Times (edizione settimanale 14 e 21 novembre e 5 dicembre 1890); Times, 7 e 24 dicembre 1890

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

venerdì

il documento CIA del 26 novembre 1985

Craxi, Andreotti e la crisi di Sigonella.



Un documento Cia (Central Intelligence Agency) risalente al 26 novembre 1985 e desecretato il 12 settembre 2009, qui riprodotto integralmente, e tradotto in italiano, apre degli squarci interessanti sulla vicenda del sequestro dell’Achille Lauro e sulla famosa crisi di Sigonella. L’11 ottobre 1985 i caccia americani intercettano l’aereo egiziano che sta portando in Tunisia i dirottatori della nave italiana e lo costringono ad atterrare nella base militare di Sigonella, in Sicilia. Venti carabinieri e trenta avieri dell’Aeronautica militare circondano l’aereo. Sono a loro volta circondati da una cinquantina di militari americani della Delta Force. Poi affluiscono alla base i rinforzi dei carabinieri, che circondano gli americani. Dopo ore di tensione, alla fine gli americani desisteranno.

Nel documento, la Cia definisce l’affaire dell’Achille Lauro e poi di Sigonella come la più grossa crisi diplomatica tra Italia e Stati Uniti del dopo guerra. Una crisi che ha reso evidente come spesso gli interessi italiani e americani non coincidano, soprattutto per quanto riguarda la politica medio orientale. Individuano nei fatti dell’Achille Lauro e di Sigonella la causa della caduta del governo Craxi, un governo comunque allineato con la Nato e gli Usa. Ma Craxi e Andreotti rappresentano un problema, perché questi due uomini sono pronti a non seguire i dettami americani nella politica che riguarda il Medio Oriente. E dopo Sigonella, ne sono sicuri, Craxi alzerà il prezzo (c’era già un prezzo?) su alcune cose che gli americani potrebbero chiedere. Inoltre c’è un diffuso malessere all’interno delle forze armate italiane, che data già alla vicenda del rapimento del generale Dozier del 17 dicembre 1981 (il documento Cia sbaglia l'anno con il 1983).
Alla luce di questo documento si può ben guardare con altri occhi a quello che accadde cinque mesi dopo Sigonella, e che è stato interpretato come un comportamento ‘falso’ di Bettino Craxi, che fintamente in pubblico avrebbe difeso la sovranità italiana, per poi nella realtà cedere agli americani su tutta la linea. Solo cinque mesi dopo la tanto osannata dimostrazione di orgoglio nazionale di Sigonella, infatti, nel marzo 1986 gli F111 Usa, provenienti dalla Gran Bretagna e ufficialmente diretti alle basi inglesi di Cipro, decollano dalla base siciliana  di Sigonella per attaccare e bombardare il golfo della Sirte. Craxi avrebbe trattato subito con gli americani e fatto quasi un atto di riparazione, concedendo segretamente a Reagan la base di Sigonella per attaccare la Libia di Gheddafi.  La giornalista italiana, Sofia Basso, analizzando materiale Usa recentemente declassificato, si è imbattuta in una nota confidenziale scritta a Reagan nella primavera 1986 dall’allora segretario di Stato americano, George Shultz, uscita dagli archivi segreti del Dipartimento di Stato. L’appunto di Shultz spiega che «i rapporti con Craxi erano eccellenti», l’episodio dell’Achille Lauro era ormai «cosa del passato» e che «su base confidenziale, l’Italia aveva permesso l’uso di Sigonella per operazioni di supporto in relazione all’esercitazione nel golfo della Sirte». A una sola condizione: la riservatezza. La Libia era accusata di essere il mandante degli attentati compiuti in varie parti del mondo da terroristi arabi. Reagan, senza consultare né il Congresso, né i partner europei, il 22 marzo 1986 inviò navi e aerei nel golfo della Sirte, che Gheddafi considerava acque territoriali libiche. Gli Usa colpirono due navi libiche e una base missilistica. Le cancellerie occidentali si divisero: Gran Bretagna e Germania applaudirono la dimostrazione di forza, il resto dell’Europa espresse forti dubbi. Il più duro nelle critiche agli Usa fu proprio Craxi il quale, in una seduta straordinaria del Parlamento, proclamò che non era con ripetute "esercitazioni militari" in un’area già scossa da forti tensioni che si poteva difendere il diritto internazionale. Il memorandum di Shultz rivelerebbe che Craxi voleva farsi perdonare l’episodio dell’Achille Lauro, ed essere considerato partner privilegiato degli Usa nelle relazioni tra Est e Ovest e essere ammesso nel gruppo dei cinque Paesi industrializzati. Per questo, in pubblico strillava contro gli americani ma, sottobanco, dava loro il via libera.
Ma quanto accaduto, invece, alla luce del documento Cia del novembre 1985 potrebbe nascondere altro, cioè una ‘concessione’ venduta cara: Craxi «Probabilmente è determinato a ricavare un prezzo maggiore, in futuro, per le sue ‘concessioni’ su tutta una serie di problemi». Così è scritto nel documento della Cia.  Si può ipotizzare dunque che la concessione ‘silenziosa’ di Sigonella cinque mesi dopo il grave scontro diplomatico dell’11 ottobre 1985 nascondesse un do ut des mai rivelato fino ad ora. Premiato nell'ottobre 1988 come “uomo dell'anno” dalla comunità italoamericana,  Craxi fu ricevuto da Ronald Reagan alla Casa Bianca, alla vigilia delle elezioni presidenziali che avrebbero visto la vittoria di George Bush senior. Era considerato il politico italiano con il più brillante futuro, anche in considerazione del lento deteriorarsi del potere democristiano. Colin Powell scriverà: «Craxi è il più potente leader politico italiano. Come Primo Ministro fra il 1983 e il 1987, ha forgiato una politica estera italiana più assertiva, sostenendo il dispiegamento in Italia dei missili nucleari a medio raggio, e unendosi a noi e agli altri alleati occidentali nell'inviare forze di pace in Libano, e dragamine nel canale di Suez. Da quando ha lasciato l'incarico nel 1987, ha energicamente appoggiato la decisione dell'Italia di accettare il ridispiegamento della nostra 401ma squadriglia di caccia dalla Spagna in Italia. Ha difeso la decisione del governo di dispiegare le navi italiane nel Golfo Persico, e di contribuire alla forza di osservatori delle Nazioni Unite che controlla il cessate il fuoco tra Iran e Iraq. Il partito socialista di Craxi è secondo in grandezza nella coalizione pentapartito al governo attualmente diretta da Ciriaco De Mita, che vi ha reso visita in giugno. Tutti gli osservatori politici in Italia predicono che Craxi diverrà ancora una volta primo ministro italiano. Abbiamo avuto la nostra razione di divergenze con Craxi in passato, in particolare sulla politica mediorientale e in relazione alla Libia. Ma, tutto sommato, egli è stato uno dei più saldi sostenitori dell'Occidente».
Ma di lì a poco cadrà il muro di Berlino, si aprirà il fronte balcanico, cambieranno il peso e il ruolo dell’Italia nel panorama internazionale. Cambieranno gli equilibri politici mondiali. In Italia nascerà la Lega nel 1989, il Partito Democratico della Sinistra nel 1991. Nel 1994 Berlusconi scenderà in politica. Nel frattempo spariscono la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista di Craxi, che forse era destinato a prenderne il posto in un contesto internazionale assai diverso. C’è bisogno di politici nuovi, magari meno esosi, e più affidabili.

Traduzione documento:
Punti di discussione per l'ADDI (Assistant Deputy Director for Intelligence).
Implicazioni sulla politica estera italiana in seguito al dirottamento.
Il dirottamento dell’Achille Lauro è stata una delle più serie sfide internazionali che alcun governo italiano abbia mai affrontato nel periodo post bellico. Ha abbattuto un governo stabile la cui politica estera era caratterizzata da un grosso sostegno per la Nato e gli Usa.
La crisi ha reso evidente ai leaders italiani e al pubblico che gli interessi italiani e americani non coincidono spesso. I legami italiani con Nato e USA sono stati la chiave di volta della politica italiana post bellica.
Il presidente del consiglio Craxi, il ministro degli esteri Andreotti, e il ministro della difesa Spadolini sono tutti determinati a mantenere i legami italiani con Nato e Usa, ma Craxi e Andreotti sono più pronti a rompere con gli Usa su specifici problemi, specialmente sul Medio Oriente.
Craxi quasi certamente incolpa gli Stati Uniti in grande misura per la caduta del (suo) governo.
Probabilmente è determinato a ricavare un prezzo maggiore, in futuro, per le sue ‘concessioni’ su tutta una serie di problemi.
Gli ufficiali italiani, soprattutto i militari, probabilmente saranno più diffidenti alle richieste americane, e più determinati a salvaguardare le prerogative italiane.
L’atto di forza degli Stati Uniti sull'asfalto a Sigonella e la sorveglianza dell'aereo di linea egiziano durante il volo dalla Sicilia a Roma, quasi certamente hanno irritato i comandi militari italiani.
Questa è la seconda volta che le unità speciali Usa hanno sollevato le forze italiane. Gli ufficiali italiani sono rimasti offesi da quello che considerarono un comportamento arrogante americano durante il rapimento Dozier nel 1983.

Documento reso pubblico il 12/09/2009

fonte: http://larapavanetto.blogspot.com/