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James Jameson e la bambina offerta per il pasto dei cannibali


Il XIX secolo vide un massiccio aumento del numero di resti umani custoditi nei musei grazie agli archeologi, ai medici ed agli antropologi. Queste categorie di scienziati erano impazienti di fondare le proprie teorie su prove concrete e questa volontà, che possiamo definire ferrea, fu il motivo principale per il quale si dedicarono alla raccolta di una sempre maggiore quantità di reperti. Tali resti furono di numero talmente elevato che, ancora oggi, i curatori dei musei inglesi non hanno smesso di occuparsi di tale lascito. L’enorme lavoro degli scienziati non sempre, potremmo sostenere quasi mai, attirava l’attenzione dei giornali. Furono poche le esperienze che smossero l’attenzione del pubblico, ancor meno quelle che indignarono l’immaginario collettivo. Un numero davvero esiguo di scoperte, o presunte tali, fece vacillare la legittimità di determinate imprese scientifiche ed umane. Una storia però raggiunse le prime pagine dei quotidiani nel 1890. 


Gli articoli avevano come protagonista James Jameson, collezionista ed appassionato di caccia grossa, esploratore e scienziato e, all’epoca delle prime pagine, da poco defunto. James Jameson non era un uomo qualunque, era l’erede della famosa Jameson Irish Whiskey, ancora oggi tra i principali produttori mondiali di Whiskey. Nacque nel 1856 ad Alloa, in Scozia, da Andrew e Margaret. Dopo l’istruzione elementare nelle scuole scozzesi, James studiò presso l’International College ad Isleworth. Successivamente entrò nell’esercito ma, nel 1877, decise di dedicarsi alle avventure. Nello stesso anno viaggiò tra Ceylon ed il Borneo, tornando a casa con un’incredibile collezione d’uccelli, farfalle e coleotteri. L’anno seguente andò nel Sud dell’Africa, cacciando leoni e rinoceronti. 


Nel 1881 Jameson tornò in Inghilterra con una collezione di grandi teste ed esemplari ornitologici, entomologici e botanici. Tra viaggi avventurosi e raccolte di reperti, si giunse al gennaio del 1887 quando Jameson si unì, come naturalista, ad una spedizione in soccorso d’Emin Pasha. Il comando delle ricerche fu affidato a Sir Stanley, famoso per la sciagura del colonialismo privato in Congo di Leopoldo II Re del Belgio. La spedizione ebbe non pochi problemi e la cruda realtà della vita quotidiana aveva mandato all’aria le speranze di James di raccogliere flora e fauna della regione del Congo. Inoltre, secondo i successivi resoconti dei giornali e le testimonianze giurate, pur di spezzare la monotonia della vita quotidiana ricorse ad un intrattenimento atroce: James Jameson fu accusato di aver pagato soldati africani per uccidere, smembrare e mangiare una ragazza sotto i suoi occhi. Secondo i testimoni, l’intenzione di assistere ad un atto di cannibalismo era stata sin dall’inizio del viaggio nella mente di Jameson. Secondo il siriano Assad Farran, interprete al seguito della spedizione, “Jameson era curioso sulla pratica del cannibalismo, che riteneva cosa comune tra i nativi. Mi chiese di vedere con i propri occhi un rito in cui una persona veniva mangiata. Pagò sei fazzoletti per acquistare una bambina di 10 anni che fu portata in un villaggio di cannibali. Mi fece riferire che quello era un regalo dell’uomo bianco, e che desiderava vederla mangiata”. Sempre secondo le testimonianze, Jameson osservò la scena con un album da disegno in mano e disegnò sei tavole per descrivere l’episodio. Il suo entusiasmo per tali brutalità si manifestò anche in altre maniere: una volta spedì in Inghilterra una testa d’africano, con tanto di collo e capelli, con l’intento di esporlo in casa. Secondo i testimoni, Jameson aveva fatto decapitare il nativo, in seguito aveva immerso nel sale la testa mozzata, prima di spedirla a Londra. Quando l’orrendo trofeo giunse in Inghilterra, alcuni specialisti di Rowland Ward, celebre casa di tassidermia, impagliarono la testa – anche se con cattivi risultati poiché la moglie di Jameson si lamentò in diverse occasioni della puzza del trofeo umano.


L’affaire-Jameson, relativo all’atto di cannibalismo nei confronti di una bambina di 10 anni, scoppiò nel novembre del 1890, quando il resoconto di tale avvenimento fu riportato in un articolo sul Times. Nell’aprile dello stesso anno, fece ritorno in Inghilterra Henry Stanley, salutato come eroe nazionale. Stanley descrisse i suoi viaggi in un libro, In Darkest Africa, che divenne in brevissimo tempo un best seller. Quell’atmosfera d’eroica sopravvivenza nell’Africa più nera fu irrimediabilmente rovinata dall’articolo su Jameson. Gli uomini di Stanley furono accusati di depravazione e diserzione. La condotta di Jameson aiutò ad incrementare la leggenda nera degli esploratori. Il giornalista del Times scriveva che “davvero la condotta di chi viaggia nell’Africa più nera è nerissima”. Nel frattempo si allungò la lista dei detrattori di Jameson. Un uomo di Stanley dichiarò che “all’epoca dei fatti, Jameson aveva parlato apertamente dell’episodio e che si sarebbe reso conto della serietà delle sue azioni solo molto più tardi. La vita nell’Africa centrale vale pochissimo e Mister Jameson si dimenticò sotto quale diversa luce quell’episodio sarebbe stato considerato una volta a casa”.


Alla fine del 1890, il New York Times pubblicò una lettera dello stesso Jameson che la moglie dichiarò d’aver ricevuto, e che a suo dire giustifica l’avventuriero. Nella lettera gli eventi furono narrati nel seguente modo: Non volevo credere al cannibalismo, ma un mercante di schiavi mi chiese sei fazzoletti per dimostrarmi il contrario. Pensavo che l'intera faccenda fosse un trucco che la tribù voleva giocarmi, e volevo vedere come andava a finire. Poi è successo tutto troppo in fretta, e non mi restò che assistere alla cerimonia. La cosa più straordinaria - conclude con la freddezza di un entomologo - è che la ragazza non ha mai emesso un suono, né ha lottato. Quando sono tornato all'accampamento ho fatto alcuni schizzi della scena ancora fresca nella mia memoria”.


Jameson non poté rispondere direttamente alle accuse poiché morì il 17 agosto del 1888 a Bangala sul fiume Congo.
Purtroppo la storia di reliquie, trofei e teste mozzate non si sarebbe conclusa con la morte di James Jameson.

Fabio Casalini

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia 

Frances Larson, Teste mozze: storie di decapitazioni, reliquie, trofei, souvenir e crani illustri, Utet, 2014 

HM Stanley, Darkest Africa, 1890 

Storia della colonna posteriore di Emin Pasha Relief Expedition, di Jameson stesso, a cura di sua moglie, la prefazione di suo fratello, Mr. Jameson, 1891 

Esperienze personali nell'Africa equatoriale, a cura di Surgeon TH Parke, 1891 

Documenti e registro della colonna posteriore, pubblicato sul Times (edizione settimanale 14 e 21 novembre e 5 dicembre 1890); Times, 7 e 24 dicembre 1890

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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