giovedì

prima di Enrico De Pedis, fu Archita Valente

Rudolph Gerlach

Nel gennaio del 1917 è in corso a Roma, davanti al tribunale militare, un processo per spionaggio a favore dei tedeschi e degli austriaci. Sotto giudizio ci sono sei persone, e l’imputato principale è il prelato bavarese Rudolph Gerlach, cameriere segreto di Benedetto XV. Deve rispondere di aver tramato contro l’Italia e di aver pagato le spie. E’ processato in contumacia perché con un accordo segreto tra Vaticano e il governo italiano, il prelato è stato fatto sparire oltre confine, in Svizzera. La vicenda di spionaggio che coinvolge il cameriere segreto del papa, è in relazione con l’inchiesta sugli atti di sabotaggio che hanno mandato a picco le corazzate Brin e Leonardo, la più grande catastrofe della Marina italiana. Tra gli arrestati vi è anche uno strano personaggio, l’avvocato Archita Valente, spia doppia al servizio del controspionaggio italiano e di quello austro-germanico. Valente si dichiarava figlio naturale di un uomo di Stato italiano, e secondo la stampa internazionale dell’epoca, lo metteva in imbarazzo con continue richieste di soldi. Grazie ai suoi illustri natali, Archita era stato assunto dalla polizia segreta, incarico che gli aveva permesso di procacciarsi amicizie al ministero dell’Interno, avvalendosi anche della protezione di un altissimo funzionario che si era innamorato di sua moglie. Scoppiata la guerra si era messo a fare il doppio gioco. Finito nell’affaire Gerlach, Archita Valente è riconosciuto colpevole di tradimento, ma scampa alla fucilazione perché gli sono riconosciute le attenuanti di non aver provocato gravi danni alle forze armate, e di aver manifestato sintomi di alterazioni psicopatiche. E’ rinchiuso nelle carceri di Avellino, e lì ufficialmente muore nella prima decade del novembre 1918. Tuttavia, quando nel settembre 1935 il vice capo della polizia Carmine Senise trasmette nota alla prefettura di Taranto, dove era nato il Valente, con la richiesta di fare accertamenti sulla sua morte, la prefettura risponde al Viminale che nessuna comunicazione era giunta al comune nel 1918. Ma come mai Archita Valente era finito nel carcere di Avellino, considerato un luogo infernale? La scelta del carcere era stata fatta dal ministero dell’Interno, da cui appunto dipendeva la gestione delle carceri. Nonostante i certificati sintomi di problemi mentali, il Valente era stato rinchiuso in un carcere dalla fama assai sinistra. Costruito dai Borboni, leggenda raccontava che lo stesso architetto che lo aveva progettato, conscio di aver creato un luogo di tortura, si fosse alla fine ucciso. Il carcere era in periferia, aveva mura massicce di otto metri e intorno un fossato profondo sei metri. Le celle erano lunghe e strette, e al posto delle finestre c’erano delle bocche di lupo, piccole aperture di aerazione, dalle quali non si poteva vedere il cielo. In carcere Archita riceveva giornalmente la visita della bella moglie Elvira Pesapane, che ogni mese riceveva un assegno mensile di 250 lire dal Vaticano. Un sussidio illimitato. Il Vaticano pagava ad Archita Valente il suo silenzio sul coinvolgimento di alti prelati della Santa Sede nelle operazioni di spionaggio condotte da Gerlach?
Negli atti di morte del comune di Avellino per l’anno 1918, si registra che il 6 novembre è deceduto in carcere il detenuto Archita Valente. Il decesso doveva essere comunicato al tribunale, e avrebbe dovuto restarne traccia negli atti giudiziari trattati dalla procura, cui spettava anche di disporre l’eventuale autopsia. La notizia non compare nei registri del 1918. Nemmeno la locale questura comunica la morte della spia alla direzione generale della Ps, che pure l’aveva avuta elle sue dipendenze. Le circostanze della morte sono tutt’oggi oscure, anche perché la documentazione del carcere di Avellino anteriore agli anni Venti è andata perduta. Non sappiamo quale sia il referto di morte, né se sia stata compiuta un’autopsia. Sappiamo però che la morte di Archita Valente generò una particolare attenzione nelle autorità ecclesiastiche, dalle quali ricevette un trattamento speciale. Il corpo di Archita Valente, infatti, sarà seppellito non in terra comune, ma nella cappella del Carmine, tra i marmi di uno dei più antichi monumenti sepolcrali del cimitero di Avellino. I registri cimiteriali indicano la data del 7 novembre 1918. In un giorno certo non fu possibile fare tutti gli accertamenti sulle cause del decesso. Le tombe nella cappella sono dodici, quattro all’esterno e otto nel sotterraneo divise in due file. In quella di sinistra, al numero 12, fu deposto il corpo di Archita Valente. Il sepolcro apparteneva alla parrocchia del Carmine, la più importante di Avellino, per l’altissima devozione con cui era venerata dagli avellinesi la madonna del Carmine. Di norma quelle dodici tombe della cappella accoglievano i resti di alti prelati o di laici che si erano distinti per opere di carità e per donazioni alla Chiesa. Nei registri della parrocchia si conservano i dati sui lasciti dei cittadini che hanno avuto il privilegio di una tomba nella chiesa madre o nella cappella del Carmine, ma non c’è alcun riferimento all’inumazione di Archita Valente. Inumazione che necessariamente doveva essere avvenuta con l’intervento della confraternita della Trinità e la parrocchia del Carmine. Qualcuno dal Vaticano doveva essere per forza intervenuto direttamente, perché era un caso eccezionale che fosse stata concessa a un condannato la sepoltura in una cappella parrocchiale tra i benemeriti della Chiesa. Così come certamente accadde nel caso di Enrico De Pedis, ritenuto responsabile di sequestri di persona, traffico di droga e affari con Cosa Nostra, assassinato in un regolamento di conti, e sepolto poi nella basilica di sant’Apollinare in Classe a Roma, a fianco della tomba di un cardinale. Nel caso di De Pedis, l’autorizzazione fu data dal cardinale Poletti, in considerazione delle opere di bene fatte dal bandito. Il che conferma che in questi casi assai rari, le scelte sono fatte dall’alto. Allo stesso modo si può presumere che la Santa Sede avesse riconosciuto ad Archita Valente la benemerenza di non aver tradito. C’è anche chi pensa che in realtà fosse stata orchestrata una finta morte della spia, vista la strana destinazione di un ‘nevrastenico’ in un carcere durissimo. In effetti, dal carcere di Avellino c’era stato qualche caso di evasione con la complicità di agenti di custodia.  Certo è che ancora nel 1943, vi fu qualcuno al ministero dell’Interno che si chiese che fine avesse fatto realmente Archita Valente. Uno scrupoloso funzionario si era forse accorto che il fascicolo della spia non era mai stato aggiornato con la data della morte. Il Viminale chiese notizie alla prefettura di Taranto e alla questura di Roma. Il 6 giugno 1943 il questore della capitale informò il Viminale che nei registri del tribunale militare Archita Valente risultava deceduto. L’11 giugno arrivò da Taranto la risposta che Valente risultava morto nella prima decade del novembre 1918. Ad oggi il mistero non è stato risolto. Ad oggi si può osservare che determinati accadimenti nella storia italiana si ripetono, significativamente.

Fonte: A., Paloscia, Bendetto fra le spie, Editori Riuniti, Roma, 2007.

fonte: http://larapavanetto.blogspot.it/

Nessun commento: