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la Vergine di Norimberga


Il termine inglese fake news, notizie false in italiano, indica articoli redatti con informazioni inventate o distorte e resi pubblici con l’intento di disinformare o diffondere notizie fasulle attraverso i mezzi di comunicazione. Lo storico Marc Bloch, nel libro Le guerre e le false notizie, specificò che “una notizia falsa è solo apparentemente fortuita, o meglio, tutto ciò che vi è di fortuito è l’incidente iniziale che fa scattare l’immaginazione; ma questo procedimento avviene solo perché le immaginazioni sono già preparate e in silenzioso fermento”. Le informazioni false, o distorte, sono sempre esistite. Una di queste invenzioni, entrata prepotentemente nella cultura di massa, è la Vergine di Norimberga o Vergine di ferro. Si pensava fosse una macchina di tortura medievale a causa di una storia raccontata da Johann Philipp Siebenkees, filosofo tedesco vissuto nel XVIII secolo, il quale sosteneva che fosse stata utilizzata la prima volta nel 1515 a Norimberga. Il resoconto si basa sulla testimonianza di Gustav Freytag, contenuta nel Bilder aus der deutschen Vergangenheilt, che narra la pena inflitta ad un falsario che rimase all’interno della macchina di tortura per ben tre giorni. Le prime storie che citano la vergine di ferro, come strumento utilizzato per infliggere pene atroci, risalgono agli inizi del XIX secolo, pochi anni dopo la morte di Siebenkees. Come abbiamo visto, l'’utilizzo di quest’ipotetica macchina della tortura è un mito che risale al secolo precedente, il XVIII, diffuso con l'intento di rafforzare l’idea che le persone nel medioevo fossero incivili. 


A tutto oggi non esistono prove che tali terrificanti macchinari di morte siano stati inventati nel medioevo, neppure che siano stati utilizzati allo scopo di tortura. Tutto questo nonostante la loro presenza massiccia nella cultura di massa. Secondo Wolfgang Schild, professore di diritto penale e storie del diritto penale all’Università di Bielefeld, le presunte vergini di ferro nacquero riunendo reperti trovati nei vari musei. Lo scopo di tale operazione? Creare oggetti spettacolari destinati allo sfruttamento commerciale della loro esposizione. La vergine di ferro della fine del XVII secolo, periodo in cui visse il filosofo – presunto inventore dello strumento di morte – Siebenkees, potrebbe essere stata costruita in seguito all’errata interpretazione di uno Schandmantel, mantello o cappotto della vergogna, o Schandtonne, barile della vergogna, medievali. Questo strumento di tortura, noto anche con il nome di cappotto spagnolo, entrò in uso nel XIII secolo. Gli Schandmantel erano fatti di legno e rivestiti di lamiera. Le vittime erano costrette ad indossare questo dispositivo in pubblico, nelle vie e nelle piazze delle città. Quando i condannati a questa gogna passavano di fronte alla cittadinanza, erano insultati ed umiliati. 


I cittadini si divertivano a lanciare al loro indirizzo verdure marce. Lo Schandmantel era utilizzato principalmente come punizione per i bracconieri e le prostitute. Lo Schandtonne, il barile della vergogna, era appesantito lungo il bordo inferiore e attorno all’apertura del collo. Se l'ispirazione non giunse dal mantello – o barile – della vergogna, è possibile che l'inventore abbia attinto dalla tortura e successiva morte di Marco Atilio (o Attilio) Regolo? Le torture a cui Regolo fu sottoposto, taglio delle palpebre per l'abbacinamento e il rotolamento da una collina dentro una botte irta di chiodi, si ritiene fossero frutto della propaganda bellica romana – Seneca parlò di crocifissione come metodo di esecuzione – alimentando le già nutrite schiere di notizie storiche false. Eppure secondo la versione di Tertulliano e di Agostino d'Ippona, Sant'Agostino, Marco Attilio Regolo fu “fu stipato in una scatola di legno stretta, chiodata con unghie affilate su tutti i lati in modo che non potesse inclinarsi in nessuna direzione senza essere trafitto”. La versione di Agostino è riportata nell'importante scritto La Città di Dio


Risulta possibile che il filosofo tedesco abbia attinto a queste versioni per creare un oggetto fantasioso? Non lo possiamo sapere. Siamo però a conoscenza di un'altra possibile fonte di ispirazione, l'Apega di Nabis – noto anche come l'Apega di ferro. Tale strumento fu descritto da Polibio come un antico dispositivo di tortura, molto simile alla Vergine di Norimberga. Fu inventato da Nabis, re che governò Sparta come tiranno dal 207 al 192 avanti Cristo. Etienne Jean Monchablon, nel Dizionario compendiato di antichità, descrisse l'Apega come un automa inventato da Nabis di Sparta. Il Tiranno gli diede lo stesso nome della moglie poiché quella macchina ne rappresentava la figura e le rassomigliava perfettamente. Il Re se ne serviva per far morire crudelmente quelli che avevano la disgrazia di non piacergli. L'Apega era magnificamente vestita ed era assisa sopra una sedia, con le braccia ed il seno ripieno di punte di ferro che rimanevano nascoste sotto i vestimenti. Quando Nabis non otteneva ciò che desiderava, prendeva per mano la macchina infernale ed avanzava verso la persona che voleva uccidere. Appena giunti nei pressi del malcapitato, l'Apega lo abbracciava, lo stringeva accostandoselo al petto, e lo faceva perire trafitto da tutte le parti delle punte di cui disponeva. Monchablon utilizzò Polibio come fonte per la sua narrazione. Grazie alla ricerca storica, abbiamo compreso che esistevano diverse potenziali fonti d'ispirazione per il creatore della Vergine di Ferro. 


Secondo il folcloristico mito, come funzionava la macchina infernale di recente invenzione? La Vergine di Norimberga consiste in una specie di armadio metallico a misura d'uomo, di forma femminile, piena di aculei che penetravano la carne senza ledere gli organi vitali. In condannato, ipoteticamente, veniva fatto entrare in questa specie di sarcofago e, una volta che si chiudevano le ante, veniva trafitto dagli aculei in ogni zona del corpo. La morte sarebbe giunta lentamente tra atroci dolori. La Vergine ha un aspetto antropomorfo con volta da fanciulla, arricchito da una Gorgiera – colletto pieghettato che fece parte dell'abbigliamento aristocratico maschile e femminile dal XVI a XVII secolo. Il termine deriva dal francese gorge ovvero gola – in legno o metallo modellato affinché si potesse scorgere lo sguardo misericordioso della Madonna. Il corpo della macchina della morte è rigido e formato da una coppia di porte. Nel complesso misurava circa 2 metri per uno di larghezza. Come decorazione, molti aculei taglienti che avevano il compito di infilzare il condannato schivando gli organi vitali appena la doppia porta si richiudeva. In alcuni modelli della Vergine di Norimberga, era presente un lungo chiodo destinato ad infilzare il pene o la vagina dei condannati. Malgrado non esistano documenti storici che siano in grado di confermare l'utilizzo della Vergine di Ferro, il mito vuole che i chiodi avrebbero potuto tenere in vita la vittima anche per due o tre giorni in un perpetuo stato di agonia, sino a quando alla riapertura delle porte gli aculei non si sarebbero sfilati dilaniando le carni e provocando la morte per dissanguamento in pochissimi istanti. 


La Vergine di Norimberga fu esposta per la prima volta al pubblico agli inizi del XIX secolo ma andò perduta nel bombardamento alleato del 1945. Una copia fu venduta al conte di Shrewsbury nel 1890, insieme a molti altri strumenti di tortura, e venne esposta alla World's Columbian Exposition di Chicago del 1893. Agli inizi degli anni sessanta del secolo scorso questa copia fu battuta all'asta ed oggi si trova al Medieval Crime Museum di Rothenburg ob der Tauber. In quel museo, come in molti altri dedicati alla tortura, sono presenti oggetti di fantasia venduti per originali e veritieri. Molti di questi strumenti di morte spesso sono avvicinati alla Santa Inquisizione o all'Inquisizione medievale, creando confusione su quello che realmente avveniva all'interno dei tribunali ecclesiastici. Non serve creare oggetti stravaganti di tortura in riferimento all'Inquisizione, poiché le pratiche utilizzate dai solerti frati, o dagli amici tormentatori, ci ricordano quanto dolore hanno provato donne ed uomini per il solo fatto di allontanarsi dall'ortodossia.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Jürgen Scheffler. "Der Folterstuhl - Metamorphosen eines Museumsobjektes". Zeitenblicke. Retrieved January 25, 2006

Graf, Klaus (June 21, 2001), Mordgeschichten und Hexenerinnerungen - das boshafte Gedächtnis auf dem Dorf

Pomeroy, Sarah B. (2002p), "Elite Women, The Last Reformers: Apega and Nabis and Chaeron", Spartan Women, Oxford University Press US


FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

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