«Dobbiamo usare il terrore, l’assassinio, l’intimidazione, la
confisca delle loro terre». Sembrerebbe Hitler, ma non è lui. «C’è
bisogno di una reazione brutale. Se accusiamo una famiglia, dobbiamo
straziarli senza pietà, donne e bambini inclusi. Durante l’operazione
non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti». A parlare non
è Himmler, non è Goebbels, ma il “padre” dello Stato d’Israele, David
Ben Gurion. Obiettivo di queste “raccomandazioni” affidate alle sue
memorie: «Ripulire la Galilea dalla sua popolazione araba».
Letteralmente: pulizia etnica. «Quell’uomo – accusa Paolo Barnard
– pronunciò quelle agghiaccianti parole 20 anni prima della nascita
dell’Olp, più di 30 anni prima della nascita di Hamas, 50 anni prima
dell’esplosione del primo razzo Qassam su Sderot in Israele». Problema:
la “narrazione” dominante in Occidente ignora questa atroce verità
storica in modo sistematico. E’ negazionismo: la stessa infamia che
pretende di negare l’abominio di Auschwitz.
«Se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i
nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti», dice l’intellettuale
ebreo Norman Finkelstein, i cui genitori furono vittime dell’Olocausto.
«Adesso anche gli ebrei si sono comportati come nazisti, e tutta la mia
anima ne è scossa», si sfoga il 17 novembre 1948 l’allora ministro
dell’agricoltura del neonato Israele, Aharon Cizling, dopo i primi
massacri compiuti dal nuovo Stato sui palestinesi innocenti. Sempre in
quell’anno, dal “New York Times” si leva la voce di Albert Einstein, che
definisce l’emergere delle forze di Menachem Begin, futuro premier
israeliano, come «un partito fascista per il quale il terrorismo
e la menzogna sono gli strumenti». Paolo Barnard cita anche il
compianto Edward Said, palestinese e docente di letteratura alla
Columbia University di New York, che nel 2008 pubblicò il saggio “Il
tradimento degli intellettuali”, puntando il dito contro «la vergognosa ritirata delle migliori menti progressiste d’America di fronte al tabù Israele».
Non vedo, non sento, non parlo: come le “tre scimmiette”, in troppi
ignorano deliberatamente «i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra
che il Sionismo e Israele Stato avevano commesso e ancora commettono in
Palestina, contro un popolo fra i più straziati dell’era
contemporanea». Di tradimento si tratta, aggiunge Barnard, «perché in
quella tragedia la sproporzione fra i rispettivi torti è così colossale
che non riconoscere nel Sionismo e in Israele un “torto marcio”, una
colpa grottescamente e atrocemente superiore a qualsiasi cosa la parte
araba abbia mai fatto o stia oggi facendo, è ignobile». In altre parole,
«è un tradimento della più elementare pietas, del cuore stesso dei
Diritti dell’Uomo e della legalità moderna: è complicità nei crimini
ebraici in Palestina», dal momento che «l’unica speranza di porre fine
alla barbarie», in quelle terre martoriate, «sta nella presa di
posizione decisa dell’opinione pubblica occidentale, nella sua
ribellione alla narrativa mendace che da 60 anni permette a Israele di
torturare un intero popolo innocente e prigioniero nell’indifferenza del mondo che conta, quando non con la sua attiva partecipazione».
Barnard accusa direttamente l’intellighenzia occidentale, la
“disattenzione” sospetta di televisioni e giornali, nonché l’indulgenza
puntualmente dimostrata, verso il governo di Tel Aviv, da parte di
opinion leader italiani come Marco Travaglio, Furio Colombo, Gad Lerner,
Umberto Eco, Adriano Sofri, Gustavo Zagrebelsky, Walter Veltroni. «Se
gli intellettuali non fanno il loro dovere di denuncia della verità, se
cioè non sono disposti a riconoscere ciò che l’evidenza della storia
gli sbatte in faccia da decenni, e se non hanno il coraggio di
chiamarla pubblicamente col suo nome – che è: pulizia etnica dei
palestinesi – mai si arriverà alla pace laggiù». E dato che «l’orrore
continua», non denunciarlo significa averne «piena e primaria
corresponsabilità». L’ipocrisia, aggiunge Barnard, sta nel fatto che i
negazionisti filo-israeliani «possono scrivere le enormità che scrivono
sulla tragedia di Gaza, sulla pulizia etnica dei palestinesi», senza
essere «ricoperti di vergogna dal mondo della cultura, dai giornalisti e
dai politici come lo sarebbe chiunque negasse in pubblico l’orrore
patito per decenni dalle vittime dell’apartheid sudafricana», a partire
da Nelson Mandela, «o i massacri di pulizia etnica di Srebrenica e in
tutta la ex Jugoslavia».
Purtroppo è l’evidenza della storia
a parlare: il progetto sionista di una “casa nazionale” ebraica in
Palestina nasce molto prima della Shoah, già alla fine dell’800, «con la
precisa intenzione di cancellare dalla “Grande Israele” biblica la
presenza araba». Popolazione da annientare «attraverso l’uso di
qualsiasi mezzo, dall’inganno alla strage, dalla spoliazione violenta
alla guerra diretta, fino al terrorismo
senza freni». I palestinesi, aggiunge Barnard, erano condannati a
priori nel progetto sionista, e lo furono 40 anni prima dell’Olocausto.
«Quel progetto è oggi il medesimo, i metodi sono ancor più sadici e
rivoltanti, e Israele tenterà di non fermarsi di fronte a nulla e a
nessuno nella sua opera di pulizia etnica della Palestina», che peraltro è diventata il motore permanente dell’instabilità geopolitica in tutto il Medio Oriente, seminando la piaga dell’odio.
Per quanto «assassina e ingiustificabile», anche se «non
incomprensibile», la violenza arabo-palestinese è sempre «una reazione,
disperata e convulsa», di fronte ad oltre un secolo di progetto
sionista, e in particolare «a 60 anni di orrori inflitti dallo Stato
d’Israele ai civili palestinesi». Atrocità talmente scioccanti da
costringere la Commissione dell’Onu per i diritti umani a chiamare per
ben tre volte le condotte di Israele «un insulto all’umanità», come
avvenuto nel 1977, nel 1985 e nel 2000, prima ancora dell’Operazione
Piombo Fuso che ha massacrato oltre 1300 abitanti di Gaza, per lo più
civili, compresi i bambini “arrostiti” dalle bombe al fosforo bianco.
«La differenza è cruciale», sottolinea Barnard: «Reagire con violenza a violenze immensamente superiori e durate decenni, non è agire
violenza». Per questo, «è immorale oltre ogni immaginazione invertire i
ruoli di vittima e carnefice nel conflitto israelo-palestinese, ed è
quello che sempre accade». Ed è altrettanto immorale «condannare il “terrorismo alla spicciolata” di Hamas e ignorare del tutto il Grande Terrorismo israeliano».
Le prove sotto sono gli occhi di tutti, ingombrano archivi e
biblioteche: si tratta di migliaia di documenti schiaccianti, citazioni,
libri, atti ufficiali e governativi, rapporti di intelligence americana
e inglese, dell’Onu, delle maggiori organizzazioni per i diritti umani
del mondo, di intellettuali e politici, nonché testimoni ebrei indignati
di fronte a uno spettacolo così insostenibile. Non mancano i saggi che
cercano di sintetizzare l’enormità dell’accaduto: dal celebre “La
pulizia etnica della Palestina”, dello storico israeliano Ilan Pappe, a
“Pity The Nation” di Robert Fisk, fino a “Perché ci odiano”, lavoro
dello stesso Barnard pubblicato da Rizzoli. Sterminata la documentazione
online da parte di organizzazioni civili ebraiche, anche israeliane: “Jewish voice for peace”, “Btselem”, “Zope Gush Shalom”, “Kibush”, “Rhr Israel”, “Other Israel”. Dati che trovano conferma anche negli archivi di Amnesty International e di Human Rights Watch, oltre che nella libreria delle Nazioni Unite a New York, alla voce “La questione palestinese”.
Dal grande libro dell’orrore: «Ephrahim Katzir, futuro presidente di
Israele, nel 1948 mise a punto un veleno chimico per accecare i
palestinesi, e ne raccomandò l’uso nel giugno di quell’anno». Ariel
Sharon, futuro “macellaio” dei profughi di Sabra e Chatila, prima ancora
di diventare premier fu condannato per terrorismo
nel 1953 dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per aver «rinchiuso
intere famiglie palestinesi nelle loro abitazioni, facendole esplodere».
Storica anche la preoccupazione dell’ambasciatore israeliano all’Onu,
Abba Eban, che nel 1981 protesta con Menachem Begin: «Il quadro che
emerge è di un Israele che selvaggiamente infligge ogni possibile orrore
di morte e di angoscia alle popolazioni civili, in una atmosfera che ci
ricorda regimi che né io né il signor Begin oseremmo citare per nome».
Nel dicembre 1982, nel contesto della guerra
in Libano, un’altra risoluzione dell’Onu definisce «un atto di
genocidio» il massacro dei palestinesi a Sabra e Chatila, condotto sotto
la «personale responsabilità di Ariel Sharon». Ancora nel 2007 il
sudafricano John Dugard, “special rapporteur” dell’Onu per i diritti
umani, scrive che l’occupazione israeliana non è altro che “apartheid
razzista sui palestinesi”, e che il governo di Israele dovrebbe essere processato dalla Corte di Giustizia dell’Aja.
«Esistono prove soverchianti che Israele usa bambini come scudi
umani, che lascia morire gli ammalati ai posti di blocco, che manda i
soldati a distruggere i macchinari medici nei derelitti ospedali
palestinesi», accusa Paolo Barnard. Prove che dimostrano che il governo
di Tel Aviv «viola dal 1967 tutte le Convenzioni di Ginevra e i Principi
di Norimberga, ammazza i sospettati senza processo e con loro centinaia
di innocenti, punisce collettivamente un milione e mezzo di civili
esattamente come Saddam Hussein fece con le sue minoranze sciite».
Ventimila i civili massacrati solo in Libano, tra il 1982 e il 2006, per
poi reclamare lo status di “vittima del terrorismo”.
Peccato originale, la storica controversia sul Piano di Spartizione
della Palestina del 1947, per la nascita dello Stato di Israele dopo la
smisurata tragedia dell’Olocausto: secondo il mainstream
occidentale quel piano fu respinto solo dagli arabi, ostili alla
consacrazione ufficiale dell’insediamento ebraico, mentre fu lo stesso
Ben Gurion – dice Barnard, citando i diari del politico sionista – a
rigettare la nuova mappa disegnata dall’Onu, benché privasse i palestinesi di ogni risorsa importante.
La prima guerra
arabo-israeliana del 1948, celebrata come eroico atto di resistenza del
neonato Stato ebraico, che gli arabi volevano “uccidere nella culla”?
«Fu una farsa, dove mai l’esercito ebraico fu in pericolo di sconfitta»,
replica Barnard. «Tanto è vero che Ben Gurion diresse in quei mesi i
suoi soldati migliori alla pulizia etnica dei palestinesi», come
confermato sempre dai suoi diari. E la Guerra
dei Sei Giorni nel 1967? «Fu un’altra menzogna, dove ancora Israele
sapeva in anticipo di vincere facilmente “in 7 giorni”, come disse il
capo del Mossad, Meir Amit, a McNamara a Washington prima delle
ostilità, mentre l’egiziano Nasser tentava disperatamente di mediare una
pace», come si evince dagli archivi desecretati della Johnson Library,
negli Usa. E via così, fino agli incontri di Camp David nel 2000:
«Furono un inganno per distruggere Arafat». Barnard lo dimostra nel
saggio “Perché ci odiano”, intervistando i mediatori di Clinton. «I
governi di Israele – aggiunge l’ex inviato di “Report” – hanno redatto 4
piani in sei anni per la distruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese sancita dagli accordi di Oslo, mentre fingevano di volere la pace».
Quei piani si chiamavano “Fields of Thorns”, “Dagan”, “The Destruction of the PA”, “Eitam”. Storia
capovolta fin dai preliminari, persino nel caso della sanguinosa
escalation per il controllo della Striscia: «La tregua con Hamas che ha
preceduto l’aggressione a Gaza fu rotta da Israele per prima il 4
novembre del 2008», come confermano il “Guardian” e lo stesso quotidiano
israeliano “Haaretz”, che denunciano «l’assassino di 6 palestinesi». E
queste, aggiunge Barnard, sono solo briciole della mole di menzogne che
ci hanno raccontato da sempre sulla “epopea” sionista: «Ricordo ai
nostri “intellettuali” di andarle a leggere, queste cose, che sono in
libreria accessibili a tutti, prima di emettere sentenze». Da parte
loro, siamo di fronte a una «ignoranza non scusabile», perché l’evidenza
storica traccia di Israele un profilo inquietante: «Uno Stato
innanzitutto razzista, poi criminale di guerra, poi terrorista, poi “canaglia”, poi persino neonazista nelle sue condotte come potere occupante».
Problema: continuare a seppellire «la grottesca sproporzione fra il
torto di Israele e quello palestinese» sotto quello che appare «un
oceano di menzogne e di ipocrisia», nella più totale indifferenza di
fronte allo strazio infinito di un popolo, «causa e causerà ancora
morti, agonie, inferno in terra per esseri umani come noi, palestinesi e
israeliani». Sono più di cento anni, conclude Barnard, che il nostro
mondo occidentale sta umiliando i palestinesi: li sta «tradendo,
derubando, straziando, con Israele come suo sicario». Per di più, da
almeno sessant’anni chiamiamo quelle vittime “terroristi” e i terroristi
“vittime”. «Questo è orribile, contorce le coscienze. Non ci
meravigliamo poi se i palestinesi e i loro sostenitori nel mondo
islamico finiscono per odiarci. Dio sa quanta ragione hanno».
fonte: LIBRE IDEE
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