martedì

il naufragio del piroscafo Sirio, il Titanic del Mediterraneo


Il 4 di agosto del 1906 il piroscafo Sirio, salpato da Genova due giorni prima, naufragò al largo della costa spagnola, nei pressi della Catalogna. Furono centinaia i cadaveri ripescati dalle acque e, successivamente, allineati sulla spiaggia. Quanti furono i morti non fu mai accertato. Quello che sapevano, e sappiamo, è che la maggioranza dei cadaveri erano di nazionalità italiana. Erano emigranti in viaggio per il Sud America.
La Sirio fu costruita a Glasgow, Scozia, ed inaugurata nel 1883. La nave aveva due fumaioli alti e sottili e tre alberi a goletta, imbarcazione a vela fornita di bompresso e due alberi leggermente inclinati verso poppa ed armati da vele.
La nave lasciò il porto di Glasgow il 19 giugno del 1883 e giunse a Genova il 27 giugno dello stesso anno. Ripartì il 15 luglio con destinazione Plata, in Argentina. Il piroscafo Sirio ero utilizzato per trasportare gli emigranti in Sud America.


Per il suo ultimo viaggio la nave salpò da Genova il 2 agosto del 1906 sulla rotta transatlantica per il Brasile, l'Uruguay e l'Argentina. Le stime parlarono di una nave quasi a pieno carico con 1200 passeggeri. Un centinaio di loro erano alloggiati nelle lussuose cabine di prima e seconda classe. La restante umanità era stipata nelle camerate di terza classe. In maggioranza si trattava di uomini tra i 16 ed i 30 anni, ma erano presenti anche intere famiglie con molti bambini. Provenivano da tutte le regioni d'Italia; in prevalenza dal Piemonte, Veneto, Sicilia e Campania. Un campione perfetto dell'emigrazione italiana di fine ottocento ed inizio novecento. La Sirio proseguì il suo viaggio della speranza passando di fronte a Capo Palos, sulla costa mediterranea della Spagna, il 4 di agosto. In quel punto il promontorio si prolunga sott'acqua per riemergere poco oltre a formare le piccole isole Hormigas. La profondità dell'acqua può essere molto bassa, arrivando in alcune zone dette Bassi ad appena 3 o 4 metri. Le rotte dell'epoca giravano all'esterno delle isole per evitare il pericolo di questi cosiddetti Bassi. Quel pomeriggio d'agosto del 1906 la nave, navigando a tutta forza, si incagliò vicino a Capo Palos poiché manteneva una rotta troppo rasente alla riva. La prora fu vista innalzarsi dall'acqua a causa dell'elevata velocità. Il comandante della nave francese Maria Louise, che assistette all'infausto evento, partecipando successivamente alle operazioni di salvataggio, raccontò il naufragio con le seguenti parole: «Vidi passare il piroscafo italiano Sirio che navigava a tutto vapore. Facevo notare il suo passaggio al collega di bordo quando osservai che esso si era improvvisamente fermato...Vidi la prua alzarsi, inabissando la poppa. Non vi era più alcun dubbio: il Sirio aveva avuto un urto. Subito feci dirigere il Marie Louise verso il Sirio. Udimmo allora una violenta esplosione: le caldaie erano scoppiate. Poco dopo vedemmo dei cadaveri sulle onde, nello stesso tempo delle grida disperate che chiamavano soccorso giungevano alle nostre orecchie».


I sopravvissuti racconteranno in seguito di famiglie intere che si gettavano in acqua senza saper nuotare. Una cantante lirica implorava un'arma da fuoco per suicidarsi ed un arcivescovo benediceva le vittime, in piedi sul relitto, prima di divenire anch'egli un cadavere nel mare di Capo Palos. Le lance di salvataggio furono messe fuori servizio dall'impatto. Secondo la testimonianza dell'ingegner Maggi, passeggero della nave Sirio, l'acqua entrò nelle cabine di prima classe, poi invase il corridoio di destra ed infine lo spazio attorno al boccaporto di poppa e il corridoio a destra della sala macchine. In quel luogo della nave si trovavano numerose donne con bambini che rimasero incastrati senza poter uscire. Il personale di bordo gettò una zattera in mare allontanandosi dalla nave insieme al terzo ufficiale. Rimasero a bordo solo gli ufficiali che persero quasi subito il controllo della situazione. Le cronache della tragedia destarono in Italia grande commozione. Il Corriere della Sera scrisse: «il primo senso di stupore degenerò in un batter d'occhio in un folle panico, producendo una confusione indescrivibile. I passeggeri, correndo all'impazzata e gridando disperatamente, rendevano impossibile l'opera di salvataggio.»

La stampa anglosassone raccontò di scene di feroce lotta per la sopravvivenza: naufraghi che si disputavano con coltelli e bastoni i pochi salvagenti. Gli stessi giornalisti riportano la notizia che alcuni naufraghi furono ricacciati in mare dalle scialuppe di salvataggio cui stavano cercando disperatamente di aggrapparsi. 
Le prime notizie diedero la visione di un comandante imbelle, che si suicidò appena si rese conto del disastro. La stampa anglosassone non perse occasione di dipingere gli emigranti italiani come potenziali delinquenti dal coltello facile. I giornali inglesi misero sotto accusa l'intera marina mercantile italiana, all'epoca in concorrenza con quella britannica. 
Tra le navi che corsero in aiuto del Sirio ci furono il Joven Miguel e il Vicenza Llicano. Il comandante del Joven Miguel fece accostare la sua nave alla Sirio ed imbarcò circa 300 naufraghi. Il salvataggio dei passeggeri da parte della Joven Miguel non fu esente da scene di panico. La nave non aveva carico a bordo per cui la presenza di tante persone minava la stabilità con il rischio di rovesciamento. Dato che i naufraghi non volevano scendere in coperta, l'equipaggio fu costretto a minacciarli con una pistola. Le vittime furono stimate inizialmente in 293 persone. Il computo totale giunse ad oltre 500.


Furono immediatamente aperte diverse inchieste sull'incidente. Le indagini appurarono che il capitano, Giuseppe Piccone, diresse con buon senso e giudizio le operazioni di salvataggio e fu l'ultimo a salvarsi. Le conclusioni delle indagini furono in netto contrasto con le prime informazioni che narravano di un equipaggio in preda al panico ed un comandante non in grado di dirigere le operazioni di salvataggio. Se il comandante fu scagionato per le operazioni seguenti il naufragio, fu ritenuto l'unico colpevole dell'incidente. La commissione d'inchiesta scartò l'avaria ed il cedimento strutturale, imputando ad un errore umano la disgrazia. Il comandante Piccone tentò di giustificarsi accusando le correnti marine e l'influsso delle miniere di ferro presenti sul quel tratto di costa spagnola che avrebbero, secondo la ricostruzione ritenuta poco credibile dalla commissione d'inchiesta, alterato il funzionamento della bussola. 
Piccone morì nella primavera del 1907 senza aver potuto chiarire la propria posizione e senza aver risposto alla domanda principale: perché navigava così vicino alla costa quando poteva tenersi al largo? 
Probabilmente esisteva un traffico di emigranti clandestini per cui la disgrazia fu causata dalla volontà del comandante, e dell'equipaggio, di effettuare soste non ufficiali per imbarcare illegalmente passeggeri senza documenti. Il Sirio aveva già effettuato una tappa sulla costa spagnola, ed altre avrebbe dovuto farne prima di attraversare l'oceano Atlantico. 
Agli inizi del Novecento gli emigranti erano merce preziosa, ma le loro vite valevano poco o nulla. Ai parenti delle vittime fu risarcito il costo del biglietto. 
A Capo Palos è stato dedicato un museo al naufragio del Sirio. Nel museo sono esposti anche i volantini che davano la possibilità di caricare i clandestini in scali non ufficiali. 
I resti del Sirio giacciono a gran profondità: la poppa si trova a circa 40 metri mentre la prua ad oltre 70. 
Dal 1995 la zona del naufragio è considerata una Riserva Marina per cui l'attività subacquea è delegata al Consiglio dell'Ambiente del Governo Regionale della Murcia.

Fabio Casalini

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia

Gianpaolo Fissore, Un inchino di troppo, Focus Storia 2016

Gian Antonio Stella, Odissee. Italiani sulle rotte del sogno e del dolore, Rizzoli 2004

Gian Antonio Stella, Sirio. Il Titanic degli italiani in cerca di fortuna nelle Americhe. Corriere della Sera del 7 agosto 2006

Blamed for Sirio disaster. Spanish official inquiry inculpates the captain and crew. New York Times del 9 agosto 1906

FABIO CASALINI – fondatore del Blog I Viaggiatori Ignoranti
Nato nel 1971 a Verbania, dove l’aria del Lago Maggiore si mescola con l’impetuoso vento che, rapido, scende dalle Alpi Lepontine. Ha trascorso gli ultimi venti anni con una sola domanda nella mente: da dove veniamo? Spenderà i prossimi a cercare una risposta che sa di non trovare, ma che, n’è certo, lo porterà un po’ più vicino alla verità... sempre che n’esista una. Scava, indaga e scrive per avvicinare quante più persone possibili a quel lembo di terra compreso tra il Passo del Sempione e la vetta del Limidario. È il fondatore del seguitissimo blog I Viaggiatori Ignoranti, innovativo progetto di conoscenza di ritorno della cultura locale. A Novembre del 2015 ha pubblicato il suo primo libro, in collaborazione con Francesco Teruggi, dal titolo Mai Vivi, Mai Morti, per la casa editrice Giuliano Ladolfi. Da marzo del 2015 collabora con il settimanale Eco Risveglio, per il quale propone storie, racconti e resoconti della sua terra d’origine. Ha pubblicato, nel febbraio del 2015, un articolo per la rivista Italia Misteriosa che riguardava le pitture rupestri della Balma dei Cervi in Valle Antigorio.

Nessun commento: