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Andrea Matteucci, il serial killer di Aosta


Questa è la storia di un uomo come tanti, uno nato in una famiglia difficile, che al primo vagito ha respirato aria di difficoltà.
Andrea Matteucci nasce a Torino, il 24 aprile 1962. La sua è una famiglia operaia. Suo padre lavora in fabbrica, ma lo stipendio non basta. Ha precedenti penali per furto e ricettazione, ha sempre cercato di arrangiarsi anche in modi non leciti. Dopo pochi mesi dalla nascita del figlio scappa. Sparisce nel nulla lasciando nella disperazione la moglie e un neonato inconsapevole del fatto che tutta la sua vita sarà segnata.
Mamma Maria Pandiscia non ha molta scelta. Deve “campare”. Forse Andrea starà meglio a Foggia con una parente. Così il piccolo viene affidato a zia Lina, fino all’età di 5 anni. Il rapporto fra i due è sereno e felice. Lina è una mamma, dolce e gentile. Tutto procede bene, fino al giorno in cui una sconosciuta si presenta alla porta della loro casa a Foggia. Quella donna è la mamma di Andrea, ma lui non la conosce, non sa chi sia. Lo rivuole con sé e così, raccolte le sue cose, fra le lacrime, mamma e figlio vanno a vivere ad Aosta.
Poteva andare meglio? Forse sì, ma Andrea questo non lo saprà mai.
Viene messo in un istituto religioso, dove rimane fino ai 9 anni, quando cambia collegio. La mamma in casa fa la prostituta e lui lo sa.
Alla sera finita la scuola torna a casa a dormire, mal sopportato dalla madre e dal suo compagno, un uomo pieno di rabbia a violento. La donna lo vive come un peso e non come una gioia. Nel suo viso rivede il marito, il fallimento della sua vita. Inveisce spesso contro di lui, lo chiama coniglio, cagone, gli dice che è uguale a suo padre, senza futuro.
Andrea è frustrato dal lavoro della madre. Lei non fa nulla per nascondere ciò che fa, anzi lo costringe ad assistere ai suoi incontri, creando in lui un trauma insanabile. Da grande dirà: «faceva la prostituta e mi faceva assistere agli incontri con i suoi clienti. Io odio le donne che si fanno pagare per stare con gli uomini».
La violenza cresce attorno a lui e lui con essa. Mamma Maria si vanta spesso delle prodezze fatte durante l’esercizio del mestiere. Racconta al figlio di avere sparato ad un cliente, che aveva parlato male di lei, di averne ucciso un altro, e di averne evirato un terzo, perché si era rifiutato di pagarla.
Andrea ascolta, crede a tutto, infondo non ha motivo di non farlo. Respira degrado e violenza, umiliazioni e soprusi. Un giorno la madre gli racconta di aver ucciso il cane della vicina, solo perché le sta antipatica: lo ha impiccato a un albero del giardino. E la nonna? La mamma dice di averla uccisa, imbottendola di medicinali e la picchiandola sulla testa. Andrea la ricorda, anche lei piena di stranezze per lui incomprensibili: beveva l’aceto e aveva spesso allucinazioni durante le quali vedeva parlare i morti.
A 13 anni tutto cambia. Andrea ruba una bicicletta con un amico. Preso dal rimorso e dalla paura delle conseguenze decide di scambiarla con quello del suo compagno. Tornando a casa il patrigno lo vede e sapendo che quella bicicletta non gli appartiene, lo riempie di botte, lo porta in giro per il quartiere, urlando a tutti che è un ladro. L’umiliazione è forte. Andrea sente dentro di sé crescere una rabbia oscura, mai provata prima, sente nascere il desiderio di uccidere. La sua mente vacilla.
A 14 anni ne combina una grossa. Rapina la macelleria dove lavora. Ha una scacciacani in mano. Nessuno dei suoi colleghi lo prende sul serio, continuano a lavorare pensando a uno scherzo. Anche questa volta il rimorso è grande, quasi quanto la confusione nella sua testa. Si costituisce dopo una settimana. Forse allora Andrea è un bravo ragazzo. Il reato commesso non è grave, ma tanto basta perché sua madre e il compagno lo allontanino da casa. Aspettavano un pretesto.
Il tribunale non può far altro che metterlo in una comunità, dove rimane fino a 18 anni.
Quando esce torna a vivere con la mamma e il compagno. In casa rimane il meno possibile, il clima di disprezzo e ostilità attorno a lui non è cambiato. Lei continua ad insultarlo, accrescendo la sua rabbia, alimentando quel bisogno di uccidere, di vendicarsi, che sente sempre più forte dentro di sé.
Trova lavoro come meccanico, a Quart, comune vicino ad Aosta.
La sera del 30 aprile 1980 Andrea esce di casa. Incontra un uomo di nome Domenico Raso, di 50 anni, nella zona del Teatro Romano di Aosta. L’uomo è un commerciante, sposato, con due figli, segretamente omosessuale. Andrea gli piace. Lo avvicina e gli chiede se vuole appartarsi con lui, dietro all’Arco di Augusto. Il ragazzo accetta, senza pensare. Domenico gli chiede di fare l’amore. Adrea accetta di nuovo, ma quando gli si avvicina per baciarlo, il ragazzo gli sferra un pugno. L’uomo cade, faccia a terra, stordito, probabilmente sorpreso. In un attimo il ragazzo lo afferra per i capelli e lo colpisce alla schiena con un coltello che tiene alla cintura. La lama si incastra. Andrea si alza e se ne va, ma deve fermarsi, Domenico è solo ferito e ora urla forte, troppo forte, qualcuno potrebbe sentirlo. Pochi passi e riprende il coltello. Lo colpisce molte volte, mentre l’uomo resta morente a terra. Si allontana, sparendo nella notte, ancora sconvolto da quello che ha fatto, trafelato, sporco di sangue, pervaso da una sensazione mai provata prima. I giornali, giorni dopo, parlano dell’omicidio, commesso da persona ignota, in una città come Aosta, dove di omicidi non se ne vedono molti. I sensi di colpa lo raggiungono, condizionano i suoi sogni. Si ripromette di non farlo mai più.
Passano alcuni mesi. Arriva la chiamata al servizio militare. Andrea parte per Livorno, entra nella Folgore. Svolge tutto il servizio senza problemi, come barelliere. Si congeda un anno dopo con il grado di Caporalmaggiore. Pensa anche di “mettere la firma”, ma si congeda. Ci ripensa ma è troppo tardi.
Tornato ad Aosta conosce una ragazza, tramite un amico comune. È il 1983. Si sposano e vanno a vivere a Saint- Pierre. Si trasferiscono poi a Sarre e da lì a Villeneuve. Qui si stabiliscono e Andrea trova lavoro come commesso. Nel 1987 diventa padre. Tutto sembra andare bene, una famiglia normale, una vita normale. Il passato è lontano dimenticato. Almeno così sembra.
Un giorno Andrea si licenzia. Decide di diventare scalpellino. Prima va ad imparare il mestiere in una bottega, poi ne apre una sua ad Arvier, paese poco distante dal suo. Ma il lavoro non gira bene, non va come dovrebbe. E anche la vita con sua moglie diventa difficile. Non hanno più rapporti intimi, sono due estranei che litigano ogni giorno. In famiglia è un continuo tira e molla: un giorno insieme, uno distanti, con i suoceri sempre in mezzo a sostenere la figlia. Andrea sente crescere lo stress.
È il 1992. Una sera esce per andare a sfogarsi: vuole trovare una prostituta con cui fare l’amore, come fa da un po’ di tempo. Ha di nuovo litigato con sua moglie. Quella sensazione sopita da tanto rinasce dentro di lui in modo prepotente. In tasca ha una pistola che spara un pallettone, una di quelle usate per abbattere le mucche. Nel suo girovagare con il furgone passa da Brissone. Vede una ragazza che gli piace, bionda, minuta, con gli occhiali. Le chiede il nome: Daniela Zago, torinese di 30 anni. Si appartano, ma dopo un po’ comincia ad andare tutto storto. Lui non riesce a fare l’amore, è troppo stressato, arrabbiato. Lei ha fretta, vuole tornare indietro, ricominciare a lavorare. La riaccompagna. Fa un giro e poi ci ripensa. Torna da lei, le chiede di nuovo di salire e di riprovare. Lei accetta. Una volta sul furgone lui le domanda: “hai dei figli?”. Quando lei dice di noi, lui le spara alla nuca. Sangue dappertutto, ma Daniela non è morta è ferita. Chiede di essere portata in ospedale. Andrea acconsente, ma in realtà la conduce in un altro posto e le spara di nuovo: sta volta muore. Riparte per Arvier, si ferma vicino al suo laboratorio, scava una buca e la seppellisce. Torna a casa, più sereno, sollevato, per aver liberato il mondo da una persona “indegna”, volgare. Rientrato, regala alla moglie i gioielli che ha sottratto alla ragazza, per farsi perdonare delle incomprensioni di qualche ora prima. Quello che è accaduto gli resta in testa, per un mese, poi una notte torna dove ha seppellito Daniela, la dissotterra, la taglia a pezzi e poi la mette in un bidone. Le dà fuoco. Dopo qualche ora di lei non resta che cenere, che viene dispersa in una discarica.
Ad aprile del 1992 Andrea e la moglie si separano. Il bambino resta con la mamma. Lui va di nuovo a vivere Villeneuve, dove finalmente incontra il suo vero padre, quello che lo aveva abbandonato appena nato. L’uomo, scontati i suoi debiti con la giustizia, vorrebbe instaurare un rapporto con il figlio, farsi perdonare. Ha un lavoro in Puglia, una vita e vorrebbe che ora Andrea andasse con lui.
Il ragazzo accetta, ma ancora una volta le cose non sono come dovrebbero.
Il padre in realtà ha un magazzino dove ricetta camion rubati e convive con una donna che ha una figlia, Anna Maria. Andrea gli ha dato tutti i suoi risparmi, fidandosi di quell’uomo che infondo non conosce. Non può più tornare indietro, senza soldi. Così accetta di aiutarlo in questa attività illecita, mentre a poco a poco si innamora della figlia della compagna di suo padre.
Ma Andrea non è felice. Quella vita non fa per lui. Inizia a rubare furgoncini ad Aosta, dove va a vivere con Anna Maria, per poi portarli in Puglia dal padre, che li smonta e li rivende sul mercato nero. Di nuovo il rapporto con la sua ragazza va in crisi. Le liti continue lo stressano e anche quel frequente viaggiare non gli va giù. Ancora una volta la suocera si mette in mezzo e il loro rapporto finisce.
Nell’agosto del 1994, una sera che è particolarmente triste, esce di casa con la pistola in tasca. Sente il bisogno di sfogarsi. Cerca una prostituta con cui fare l’amore, come è solito fare negli ultimi tempi, in cerca di quella serenità smarrita da tempo. Comincia a girare quando, vicino a Chambave, vede una ragazza di colore che gli piace. Si chiama Clara Omarei Bee, ha 26 anni, è nigeriana. Accetta di salire con lui, non vede alcun pericolo in quel giovane con l’Ape Piaggio. Si appartano. La ragazza non è gentile, ha fretta, è scontrosa. Lui vorrebbe chiacchierare, ma lei non vuole, deve tornare sulla strada. Iniziano a litigare, volano parole, urla. Andrea le dà un pugno in faccia, poi tira fuori la pistola e le spara in testa. Aspetta un po’ di tempo, infila un preservativo, poi ha un rapporto sessuale con il corpo della ragazza. Riparte con l’Ape Piaggio, va a casa a Villeneuve, dove nel frattempo si è ritrasferito, la fa a pezzi con un coltello. Torna ad Arvier, con i resti insanguinati, li mette nel bidone usato anni prima e gli dà fuoco. Resta solo cenere, che Andrea conserva per una notte a casa. Il giorno dopo se ne disfa gettando tutto nella Dora Baltea. Si sente meglio.
Il 10 settembre, un mese dopo, è in giro con una Fiat Uno: sta andando a caccia. Sa quello che vuole fare. Incontra una prostituta di colore, Lucy Omon, vicino a Nus. Vanno a casa di lui, dove hanno un rapporto completo. Ne avranno un altro in auto, tornando verso la statale dove la ragazza lavora.
All’ultimo Andrea cambia strada, va ad Arvier, al solito posto. Improvvisamente quell’uomo gentile cerca di ucciderla, soffocandola con un cuscino che ha in auto. Non ci riesce. Ci riprova con uno straccio ma la ragazza riesce a fuggire.
Passano dei mesi, otto per l’esattezza. Andrea ha una nuova fidanzata, Anna. Con lei va tutto bene, ma quella sensazione dentro di lui non si assopisce più. Nell’aprile del 1995 viene condannato per furto d’auto. Non va in carcere, ha solo l’obbligo di firma a Saint- Pierre. Può continuare la sua vita. Il 12 maggio, con un furgone, va verso Arnauld in cerca di compagnia. Sulla strada vede una ragazza che gli piace. È albanese, si chiama Albana Dakovi, ha 20 anni. Si appartano e fanno sesso sul furgone. Lui la riporta al suo posto e se ne va. Alle 18 ci ripensa, torna da lei. Si appartano di nuovo, ma questa volta Andrea vuole solo parlare. Lei non capisce, comincia ad agitarsi, hanno una discussione durante la quale lui le dà uno schiaffo. L’uomo perde la testa. La spinge fuori dal furgone. La raggiunge con una chiave inglese in mano e la colpisce alla testa. Poi afferra un coltello, la pugnala più volte e le taglia la gola. La rimette nel furgone, per disfarsi del cadavere. Ma lungo il tragitto si ferma a fare benzina, non può permettersi di rimanere a secco. Decide di andare a Villeneuve. Porta Albana in casa, la mette in uno stanzino e si siede a pensare. Dopo sette ore decide di avere un altro rapporto sessuale con lei, con il preservativo. Il giorno dopo deve partire per la Puglia, deve portare un furgone a suo padre. Lascia la ragazza morta nello stanzino e se ne va. Il 17 maggio, al suo rientro, la fa a pezzi con il solito coltello, la porta ad Arvier, la mette nel bidone, lo stesso, e le dà fuoco. Butta le ceneri nella Dora. Di lei conserva una catenina d’oro, che Andrea pensa di regalare ad Anna.
Dopo un mese Andrea vien arrestato. Un testimone lo ha visto caricare sul furgone Albana, prima che lei sparisse. Trovano sul suo mezzo tracce di sangue della ragazza. È il 26 giugno 1995.
Andrea nega tutto, mente. La pressione è forte, sente aumentare lo stress. Il giorno dopo viene reinterrogato e ammette che è responsabile della morte della giovane, ma che è stato un tragico incidente. La sua versione non regge. Si contraddice. Tramite il confronto con vecchi casi irrisolti, fra cui quello di un omosessuale di Aosta avvenuto negli anni ’80 e quelli di due prostituire sparite nel ’92 e nel ’94, emergono collegamenti e prove a suo carico. Viene interrogata anche una giovane scampata ad un tentato omicidio, Lucy Oman, che lo riconosce come il suo aggressore. Andrea non ce la fa, crolla, ammette i delitti, l’aggressione. Ha ucciso 4 persone, ha compiuto atti di necrofilia, ha commesso atti di vilipendio sui cadevi e li ha distrutti.
Il 16 aprile 1996 la corte di Assise di Aosta dichiara Andrea Matteucci, un uomo all’apparenza normale, colpevole dell’omicidio di Albana e del tentato omicidio di Lucy. Per gli altri reati commessi resta la sua confessione ma non ci sono prove schiaccianti. La sua condizione mentale, refertata da esperti, fa accettare il ragionevole dubbio. Deve scontare 24 anni di carcere. Ma la sua vicenda non è finita qui. Al processo d’appello vien riconosciuto colpevole di tutti e 4 gli omicidi. La condanna è a 30 anni di carcere, tenuto conto del vizio parziale di mente.
Nel 2017, a 54 anni, Andrea Matteucci, il serial Killer di Aosta, torna in libertà. Ha passato gli ultimi anni in un ospedale psichiatrico a Reggio Emilia. Probabilmente continuerà la sua vita in una struttura sanitaria in Valle d’Aosta, ma questo noi non lo sappiamo, è tronato ad essere un uomo comune dal passato oscuro.

Rosella Reali

fonte: https://viaggiatoricheignorano.blogspot.com/

Bibliografia
Carlo Lucarelli, Massimo Picozzi - Serial Killer - 2003 - Oscar Mondadori 

http://www.serialkiller.it/serialkiller 

https://www.lastampa.it/2017/03/12/aosta/il-ritorno-a-casa-di-mister-hyde 

http://www.ansa.it/valledaosta/notizie/2017/03/10/serial-killer-aosta-tornato-in-liberta

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

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