venerdì

Pippo, la bestia assassina di bambini

L’odore del sangue, il rumore della carne lacerata, le grida, le lacrime dei bambini, il dolore. I suoi occhi freddi, profondi come l’abisso, non hanno mai avuto un attimo di esitazione. 142 sono le sue vittime accertate, ma il pozzo nero della sua anima racchiude ben altri segreti, che forse non conosceremo mai. 
Luís Alfredo Garavito Cubillos è nato il 25 gennaio 1957 in Colombia, a Génova, una graziosa cittadina nel dipartimento di Quindío. I suoi amici lo conoscono come Trivilín, Pippo, l’amico di Topolino, a causa della sua andatura ciondolante, dovuta ad un difetto congenito ad una gamba che lo costringe a zoppicare. Dopo il suo arresto sarà ricordato come “la bestia”. 
La sua non è una famiglia di quelle del Mulino Bianco, non c’è una grossa tavola imbandita attorno alla quale riunirsi, non ci sono feste e risate e soprattutto manca l’affetto dei genitori. Ha 6 fratelli più piccoli. Il padre lo maltratta fin dalla tenera età, non lesinando botte e violenze di ogni genere. È un bambino intelligente, che va bene a scuola; la frequenta fino alla quinta elementare, poi il clima politico generale nel paese costringe tutta la famiglia al trasferimento a Ceilàn, nella valle del Cauca. Il papà è sempre più violento, con tutti, arrivando ad accoltellare la madre di Luís Alfredo mentre è incinta durante una lite scoppiata per futili motivi. Ma al peggio non c’è mai fine. Violenza chiama violenza e le persone che frequentano casa sua non sono certo raccomandabili. La sua visione negativa della vita diventa ancor più nera il giorno in cui un amico del padre, che abita vicino a loro, lo rapisce, lo lega al letto e lo violenta sottoponendolo a incidibili sevizie. Luis Alfredo non parla, è sconvolto. Si sente umiliato e ha paura. Il suo silenzio dà via libera a quell’aguzzino che frequenta casa sua regolarmente, che beve birra con suo padre sulla veranda nelle sere d’estate. Le molestie continuano per due anni, fino al giorno in cui la famiglia si trasferisce nuovamente, andando a vivere a Trujillo. La prospettiva di un nuovo inizio lo aiuta per qualche tempo, ma sembra quasi che il destino si accanisca con lui, o forse, chi sta attorno a lui, percepisce lo stato di abbandono e violenza in cui i bambini sono costretti a crescere. Viene nuovamente stuprato. Questo ennesimo sopruso cambia nel profondo il suo carattere e il suo essere. Inizia a rivolgere le sue attenzioni verso i bambini, cadendo in una spirale di orrore che lo accompagnerà per tutta la vita. 
Durante l’adolescenza viene arrestato. Un giorno passando nei pressi di una stazione, un bambino che sta giocando attira la sua attenzione. Un impulso incontrollabile lo spinge a rapirlo e a cercare di abusare di lui. Luís Alfredo sente il bisogno di possederlo, ma il bambino si divincola, urla, piange. Alcuni passanti si accorgono di quello che sta accadendo e chiamano la polizia, che interviene subito e lo porta in carcere. 
Risolta la questione con la legge il ragazzo torna casa, ma trova la porta chiusa. Il padre lo allontana, non vuole più saperne di lui e delle sue follie. Comincia così la sua vita da solo. Trova lavoro come bracciante agricolo, guadagna abbastanza per permettersi una casa e forse una stabilità. Ma le sue pulsioni notturne, quelle inconfessabili, arrivano con il calare del sole, con l’alcol di cui abusa. Gli piace appartarsi con i ragazzini che si prostituiscono per strada per pochi soldi; si sente appagato, padrone della situazione, forte. Sente allontanarsi il ricordo di ciò che era stato lui, una vittima impaurita degli abusi peggiori, della violenza fuori e dentro casa. Cerca disperatamente la normalità, una donna che lo aspetta la sera, una famiglia che lo riempia di quell’affetto che da bambino non ha conosciuto. 
Conosce una ragazza, Luz Mary. Per un po’ Luís Alfredo crede che tutto possa cambiare, che stando accanto a lei potrà risolvere i suoi problemi, quelli di cui non parla a nessuno. Vanno a vivere insieme, ma il sesso non funziona, non va proprio. Non riescono ad avere un rapporto completo, lui non ce la fa. Nonostante tutto restano insieme diversi anni. Dopo qualche tempo si trasferiscono ad Armenia, nel Quindío, una grande città con oltre 200.000 abitanti. Un territorio di caccia infinito per lui, per la sua fame più nera. 
Trova lavoro in un supermercato. Ogni giorno entra in contatto con un numero considerevole di potenziali vittime, tutte minorenni. Li osserva, li ascolta ridere, chiacchierare, li avvicina senza parlare, annusa il loro odore, sfiora la loro mano dando il resto in denaro o porgendo una cosa. Gli gira intorno come fa un predatore, assaporando il momento in cui sferrerà il suo l’attacco. Sente crescere la pulsione verso di loro a tal punto che durante la pausa va a caccia di bambini, nelle cittadine vicine. 
Il suo agire è sempre lo stesso: li avvicina con il suo aspetto rassicurante, li convince a salire in auto con una promessa, li rapisce e li porta in un luogo isolato, dove li lega e li violenta, certo del loro silenzio, lo stesso che lui aveva mantenuto molti anni prima. 
Nel 1980 Luís Alfredo ha 23 anni. All’apparenza “Pippo” è uno come tanti. Quel suo lato oscuro è ben nascosto dalla vergogna delle sue vittime. Ma la sua evoluzione continua. Giorno per giorno si trasforma nel mostro che poi conosceremo dopo l’arresto. Inizia a sentire delle “voci” che guidano le sue azioni. 
Al rapimento e al brutale stupro, si aggiungono sevizie e torture di vario genere, inferte con vari attrezzi: candele, lamette, accendini, corde… lo scenario si complica, la violenza cresce incontrollata. Secondo le indagini svolte, un bambino al mese sarebbe finito nelle mani di Garavito dal 1980 al 1992. Un numero impressionante di vittime. Il passare del tempo fa maturare in lui un sopito istinto omicida. 
Una sera, mentre si aggira ubriaco in un giardino pubblico di Jamundì, posa lo sguardo da predatore su un bambino di nome Juan Carlos. Decide in un attimo che deve essere suo. Lo avvicina, con la solita aria rassicurante, nonostante la puzza di alcol del suo fiato, gli offre dei soldi in regalo. I due i appartano in un luogo isolato e la ferocia dell’assassino viene a galla. Lo violenta con brutalità, lo sevizia e poi lo accoltella. 
La sua vera natura si è compiuta, da quel giorno indossa i panni del killer spietato, meticoloso, metodico, organizzato. 
Dopo pochi giorni colpisce di nuovo, a Tulùa. Attende il calare della sera, assume alcolici fino a stordirsi, avvicina un bambino, lo porta in un luogo isolato, lo fa bere e inizia il suo rituale di sesso e morte. 
Tagliare le sue vittime gli piace, gli dà grande soddisfazione. Impara a praticare un’incisione verticale nell’addome dei piccoli, talmente profonda da lasciare scoperte le viscere., ma non abbastanza da uccidere subito. La coscienza della morte che sopraggiunge negli occhi dei bambini lo fa sentire forte, quella fiammella che si spegne lentamente, che lo fa sentire padrone della loro vita. Muoiano dissanguati, fra le lacrime e il fetore della paura. 
Il suo agire a volte cambia; si spinge a sperimentare torture nuove. Otto delle sue vittime saranno trovate senza dita. Finita l’ebrezza del momento, cessate le voci che lo guidano, Luís Alfredo piange. Il rimorso lo assale, si ripromette di non farlo più. Recita la Bibbia, implorando perdono a Dio. Fino alla prossima volta, magari fino a domani. Passano 6 anni. L’assassino perfetto, che si sposta, di città in città, di regione in regione, invisibile, imprendibile. La mappa dei suoi spostamenti è considerevole. Tracce del suo passaggio sono ritrovate in 51 posti differenti. 
Tra i suoi luoghi preferiti c’è Pereira ed è proprio lì che le autorità trovano le fosse comuni utilizzate da Luís Alfredo: affiorano dalla terra i resti di 42 bambini, scomparsi dalle strade invase da droga e prostituzione. Mischiato fra la gente comune che cerca di dimenticare ogni sera le proprie miserie, Garavito è un cacciatore capace, silenzioso e discreto. E le sue prede sono come lui, fantasmi fra tanti, bambini senza volto che se spariscono nessuno rimpiange. Molti vivono per strada di espedienti, chiedendo l’elemosina, vendendo il proprio corpo per sopravvivere o per procurarsi la dose quotidiana. 
Solo il ritrovamento delle fosse comuni di Pereira smuove la situazione. A farsi delle domande per primo è il medico forense che esamina i resti ritrovati: il dottor Carlos Hernàn Herrera riconosce una mano comune. Individua un filo conduttore che gli permette di tracciare un profilo: la violenza sessuale, le sevizie, le ferite con armi da taglio e un colpo finale alla gola, che separa la testa dal resto del corpo. 
Finalmente partono le indagini, non più solo per sparizione di minore, ma per omicidio. I primi ad essere presi in esame sono i violentatori di bambini. Sbuca un nuovo cadavere. Herrera, chiamato sul posto trova, oltre al cadavere, alcuni indumenti che si presume siano dell’assassino. Qualcosa lo ha disturbato, costringendolo a lasciare sul luogo dell’aggressione, occhiali, pettine, scarpe e pantaloni. Il patologo aggiunge elementi al suo profilo: è un uomo, magro, probabilmente zoppo, alto circa m. 1,65. Le indagini portano a due possibili sospetti, uno è Luís Alfredo, schedato per un precedente arresto a Tunja. In quel caso è fermato con l’accusa di aver stuprato, decapitato ed evirato un ragazzino. Nonostante i sospetti, Garavito ottiene, grazie al suo aspetto innocuo, l’appoggio della comunità intera, che crede che sia finito per caso nei guai. Le porte del carcere per lui si aprono, il predatore è libero di continuare ad uccidere gli invisibili delle strade delle Colombia. 
Questa volta è diverso. Il profilo porta a lui, le autorità vogliono vederci chiaro e vanno a casa del sospettato. 
È l’aprile del 1998. Bussano alla porta, forte. Apre una donna, la sua convivente. Le spiegano perché sono lì, quali sono le accuse che contestano al suo compagno. Il suo viso tradisce un sincero stupore: Luís Alfredo un assassino stupratore? Non è possibile che quell’uomo con cui vive come un fratello, che mai ha dato segno di squilibrio, sia un sadico assassino di bambini, non ci può credere. Iniziano la perquisizione e trovano quello che non speravano: appunti di viaggio, biglietti del bus, ricevute di banca, ritagli di giornale. Luz Mary dice che è normale, il suo compagno viaggia per lavoro, come possono sospettare di un uomo buono come il suo Luís Alfredo? 
Ma la fortuna lo assiste ancora, e le attenzioni si spostano su un altro sospettato. 
È ora di traslocare, così la famiglia Garavito torna a Génova nel giugno del 1998, dove tutta la vita ruota attorno alla coltivazione del caffè di montagna colombiano. 
A lavorare nei campi sono i spesso i bambini, da soli, prede a portata di mano del cacciatore. Nessuno fa caso se sparisce qualche bambino, è già capitato in passato. Pochi giorni e cominciano a comparire le prime vittime. Fra le piante di caffè vengono rinvenuti i corpi di tre ragazzini di 9,12 e 13 anni. Sono stati torturati e smembrati. Dopo un esame più attento emergono i segni della violenza sessuale. Gli inquirenti indagano, cercano collegamenti con altri crimini simili e arrivano a Garavito. Ancora una volta nessuno lo arresta, infondo le precedenti indagini non hanno portato a nulla, e il suo aspetto inoffensivo non lo rende un pericolo agli occhi della gente. Ma prima o poi Pippo commetterà un errore. 
Quel momento arriva il 22 aprile 1999. Fa molto caldo, la giornata è afosa. La strada di Luís Alfredo si incrocia con quella di un ragazzo di 16 anni di nome Brand. Il giovane fa lo sfasciacarrozze a Villavicencio, è in pausa pranzo e si apparta dalla sede di lavoro per fumare una canna lontano da occhi indiscreti. Improvvisamente sente delle urla, forti, di terrore, di dolore. Corre verso l’origine di quel grido straziante e vede un uomo chinato su un ragazzino nudo, legato mani e piedi. Il piccolo si chiama John Ivàn, ha 12 anni e il volto segnato dalle lacrime. Brand si avvicina, capisce subito che qualcosa non va, che quello che sta vedendo è sbagliato. Luís Alfredo lo rassicura, gli dice che è solo un gioco fra amici e nel farlo taglia la fune che lega i piedi del bambino. Appena libero, il piccolo e il suo inconsapevole salvatore scappano per i campi, senza mai voltarsi, corrono fino a raggiungere le prime case. Ai soccorritori racconta di essere stato avvicinato da un uomo sconosciuto, zoppicante, mentre vendeva i biglietti della lotteria nella piazza del paese. In un attimo si è ritrovato nei campi, nudo, legato, in balia di un mostro. Le forze dell’ordine si mobilitano. Comincia una caccia all’uomo che deve portare a un colpevole. Garavito è fermato mentre sta cercando di fuggire, approfittando della notte. John Ivàn lo riconosce subito. Luís Alfredo nega tutto, ma lo zaino che si porta dietro lo inchioda: nel suo interno ci sono un coltello, un tubetto di vaselina, una corda. I dubbi si dissipano in un attimo. La folla che si è radunata attorno a loro vuole giustizia subito, la polizia deve intervenire per impedire il linciaggio. 
A capo delle indagini c’è il sergente Pedro Babatita. Le accuse che vengono rivolte al Garavito sono pesanti: gli contestano 118 omicidi. Lui ascolta, calmo, distaccato, stupito di quelle accuse. 
Poi, dopo l’ennesimo interrogatorio, crolla, scoperchiando l’abisso che si nasconde dentro di lui. Racconta del suo passato violento, di come adesca i bambini per avere rapporti sessuali con loro, delle sevizie, ripetute a volte per ore, della lenta agonia a cui li sottopone per vedere la vita scivolare via: un colpo sotto al cuore, il taglio lento in verticale, due tagli sulle natiche, poi sulle mani e attorno alle costole. Dopo il dissanguamento, la decapitazione. E di nuovo “Pippo la bestia piange”, si dispera. Poi si calma e riprende a parlare. Racconta della sua agenda, quella su cui ha annotato tutti gli omicidi commessi, in ordine cronologico, con data, luogo. 142… un numero impressionante. Seguono 7 ore di confessione. Un fiume di sangue. 
Ed ora Luís Alfredo che fine ha fatto? In Colombia la pena più pesante che si possa comminare è di 40 anni di reclusione, cioè circa 102 giorno per ogni vittima. 
Vengono ritrovati altri cadaveri, ma Luís Alfredo non si attribuisce questi omicidi. Nessun nuovo processo a suo carico può essere istituito senza prove concrete. Nel frattempo il suo comportamento irreprensibile lo aiuta ad avere uno sconto di pena. 24 anni è il tempo totale che lo separa dalla libertà, circa 62 giorni di carcere per ogni vita rubata. Vive in isolamento, periodicamente è trasferito, quando gli altri detenuti vengono a sapere chi è: tutti lo vogliono morto, i bambini non si toccano. Diverse organizzazioni in Colombia si sono mobilitate per impedire la sua scarcerazione, raccogliendo nuove prove, mentre lui dal carcere afferma, con convinzione, che una volta uscito diventerà pastore della chiesa evangelica e girerà tutte le strade della Colombia per diffondere il Vangelo. Riprenderà la caccia da dove l’ha interrotta…. 

Rosella Reali

fonte: I VIAGGIATORI IGNORANTI

Bibliografia
"172 niños víctimas de Luis Alfredo Garavito" (in Spanish). Fiscalía General de la Nación. Archived from the original on 28 September 2007. 

Blanco, Juan Ignacio. "Luis Alfredo Garavito". murderpedia.org. 

"Man admits killing 140 children in Colombia"CNN. 30 October 1999. Archived from the original on 7 September 2005. 

"Pirry entrevista a Luis Alfredo Garavito"Universia (in Spanish). 7 June 2006. Archived from the original on 7 July 2011.

ROSELLA REALI
Sono nata nel marzo del 1971 a Domodossola, attualmente provincia del VCO. Mi piace viaggiare, adoro la natura e gli animali. L'Ossola è il solo posto che posso chiamare casa. Mi piace cucinare e leggere gialli. Solo solare, sorrido sempre e guardo il mondo con gli occhi curiosi tipici dei bambini. Adoro i vecchi film anni '50 e la bicicletta è parte di me, non me ne separo mai. Da grande aprirò un agriturismo dove coltiverò l'orto e alleverò animali. 
Chi mi aiuterà? Ovviamente gli altri viaggiatori.
Questa avventura con i viaggiatori ignoranti? Un viaggio che spero non finisca mai...

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